Solipsismo creativo  0

Raffaello ci ha rappresentato in un dipinto simbolico il processo originario dell’artista. Nell’opera “Trasfigurazione”, la metà inferiore con il ragazzo ossesso, gli uomini in preda alla disperazione lo sostengono, gli smarriti e angosciati discepoli, ci mostranp il rispecchiarsi dell’eterno dolore originario , dell’unico fondamento del mondo: l’illusione.  Egli rappresenta  un riflesso del  contrasto tra mondo “reale” e illusione. L’artista non interpreta il mondo, lo crea. Egli è strumento della trasformazione della realtà. Per realizzare il passaggio tra l’immanente e il trascendente deve sottostare a un etica della forma, esigenza primaria del conosci te stesso. L’estetica moderna è immersa nella soggettività. L’artista soggettivo è un pessimo artista. Senza oggettività, senza pura e disinteressata contemplazione del reale che deve essere trasformato, non sarà mai possibile una vera produzione artistica degna di questo nome. Schopenhauer suddivide le arti tra oggettive e soggettive. Secondo il filosofo il soggettivo non appartiene all’arte. E’ necessario che l’artista  si liberi  dal solipsismo creativo e diventi un medium attraverso il quale la realtà è assorbita e trasformata. Dunque la tecnica non può essere arte, il ready made non può essere arte. La dignità estetica che costituisce l’arte deve essere preceduta da una epistemologia capace di concretizzare l’idealità del  pensiero in forma: l’eidos. La nostra epoca si crede superiore, usa lo sprezzante epiteto  di “preudoidealismo”, rifiuta ogni forma di spiritualità, si crogiola nella propria inutile abbondanza.  L’odierna accettazione dell’estetico industriale costituisce un ossimoro concettuale. Nonostante il profluvio di testi di filosofia e critica d’arte,  nessuno è ancora riuscito a definire con precisione il sostantivo arte sviluppando un ragionamento semplice e chiaro sul piano della realtà sottratta a intuizioni ingannevoli. Questo perché la semplicità è un concetto complesso.            The-end-500

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Il bambino di Eraclito.  0

Il piacere socratico della conoscenza trasmette un’illusione diffusa di poter guarire l’eterna difficoltà  dell’esistenza, l’arte dovrebbe aiutare con un seducente velo di bellezza. Purtroppo in questo nostro tempo l’arte è degenerata fin dalle fondamenta. C’è stato un tentativo di coraggiosa saggezza da parte di  Kant e Schopenhauer che, senza indulgere all’ottimismo, hanno gettato una tenue luce sul mondo “Come volontà e rappresentazione”.

L’arte come consolazione metafisica si lascia provvisoriamente andare, come Mefistofele  fa con le Lamie tentatrici, ma si arena in  una generale angustia fino a diventare illogica nella sua stessa contraddittorietà perché non ha più nessuna visione. L’artista, insterilito dalla materialità, rinuncia a creare, si affida a precostituite virtualità tecniche, caricature della realtà.

Il deserto del pensiero incapace di imprimere energia all’esistenza banalizzata in frammentato edonismo. L’arte in origine nasce per attutire la tragicità della vita. La convinzione di avere conquistato la natura è la cifra della nostra Era che confonde conquista con distruzione. L’inutilità  dell’ansia di ricostruire il mondo è descritta con una metafora da Eraclito l’oscuro,  descrive un fanciullo che giocando disponga pietre qua e là, innalzi  mucchi di sabbia  per subito dopo disperdere tutto.

Parafrase dell’eterna ripetizione della cultura e della storia anticipata dalle profezie di Socrate sull’arte, riprese dal suo allievo Platone che per poter essere sue  discepolo distrusse le sue poesie.

Una  massima  ispirava la filosofia socratica: “ La virtù è il sapere; si pecca solo per ignoranza; il virtuoso è felice”. Ora è chiara, per chi  la voglia vedere, la ragione dell’inutilità dell’arte contemporanea,  come di gran parte dell’esistenza dei più.       Torrente a Limone

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L’oro di re Mida e la verità di Sileno.  2

In “Nascita della tragedia” Nietzsche scrive: “Io sono convinto dell’arte come compito più alto della vera metafisica di questa vita” . In realtà egli si riferiva a un arte che ha cessato di esistere con l’avvento delle avanguardie.  Fu un atto di estrema dabbenaggine  e insieme di presunzione pretendere di cancellare l’epistemologia dell’arte. Pierre Hadot sottolinea come l’abbandono della trascendenza a favore della totale immanenza abbia amputato la parte creativa degli esseri umani. Il modello etico dei contemporanei  si riduce a una estetica dell’esistenza, una forma di dandismo di massa incolto e tutto sommato triste. Gli antichi consideravano apollinea l’arte della scultura e più in generale figurativa. L’arte musicale era invece ritenuta dionisiaca. Appare ovvio che quando l’arte si affida ai ready made, per ciò stesso rinuncia a creare a favore del recuperare attraverso la parola i resti della produzione di massa. Schopenhauer indica come segno distintivo  dell’artista l’attitudine di rendere naturale il sogno traducendolo in forma. Apollo, come dio di tutte la capacità figurative, e insieme divinanti, corrisponde alla  sua radice etimologica che significa  “splendente”, la divinità della luce, domina anche la bella parvenza del mondo greco e forse fornisce l’estro a Zeusi, Parrassio e gli altri geni dell’arte  che hanno lasciato la loro impronta in una civiltà che stata lievito dell’occidente prima dell’avvento dei Lumi. Forse l’Arcadia, vissuta o immaginata, è stata solo uno sprazzo di luce subito spento dalla nostra ingordigia di esistere. Un’antica leggenda narra che re Mida inseguì a lungo nella foresta il saggio Sileno, seguace di Dionisio. Quando lo raggiunse il re domando quale fosse la cosa migliore e più desiderabile per l’uomo.  Dopo un lungo silenzio Sileno sbottò in un sorriso beffardo e disse:  Siete una stirpe miserabile ed effimera, figli del caso e della pena, meglio per voi sarebbe stato non essere mai nati. Oggi Apollo, Dionisio, Sileno,  tutta la schiera di dei inventati per consolarci nel buio esistenziale del quale non sappiamo attribuire un senso, sono stati cancellati, così il pensiero creativo e la sapienza della filosofia umanistica che ha tentato inutilmente di raddrizzare il legno storto dell’umanità.    zeusi - 500

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Brevi cenni sull’iconoclastia  1

aaaaaaaaaaICONCLASTIA..500Il tema della iconoclastia ha una lunga storia che risale ai tempi di Costantino e Silvestro. Nell’impero bizantino nei secoli ottavo e nono ci fu una forte opposizione all’uso delle immagini,soprattutto nel culto religioso. E’ noto che la religione islamica non permette la raffigurazione del corpo umano e più in generale delle immagini sacre. Non c’è dubbio che se avessero prevalso gli iconoclasti non avremmo avuto il Rinascimento così come lo conosciamo. In ogni caso la diatriba sulla iconoclastia coinvolse anche i Lumi, Diderot scrisse; “ Amico mio se amiamo la verità più che le Belle Arti preghiamo Iddio per gli iconoclasti”. Tuttavia nel 1° volume della Encyclopédie che porta la data 1751, nell’articolo Arts redatto da Diderot vi è una lunga appassionata argomentazione sulle attività liberali, ma alla pittura, scultura, architettura è dedicato poco spazio. In un volume di supplemento, edito nel 1776 viene pubblicato un lungo articolo  Beaux Arts, dello svizzero Sulzer, autore di “Teoria generale delle Belle Arti”, in quattro volumi. Nel suo articolo lo studioso elvetico affronta il tema sociale dell’arte anticipando di tre secoli Hauser, egli  attribuisce all’arte una funzione politica, l’uso dell’immagine in funzione di autopromozione sociale, per ciò stesso esprime riserva sul tipo di sviluppo iniziato con il mercato dell’arte a partire dai Paesi Bassi. E proprio nella sua storia sulla secessione  dei Paesi Bassi che Schiller tenta di attribuire alla plebe la responsabilità dell’iconoclastia per allontanare la responsabilità della Borghesia. Per Rousseau la pittura e la scultura erano strumenti di corruzioni, quasi un Talebano avantilettera. E’ sorprendente come tra i filosofi fosse acuta la percezione del possibile cattivo uso dell’arte, una sorta di profetica visione di ciò che sarebbe puntualmente accaduto. Paul Heinrich Dietrich d’Holbach lanciava un monito: “ Sotto un cattivo governo i capolavori dell’arte servono solo a decorare il sarcofago della nazione”. Goethe e Goya  si preoccupano  dell’ istruzione degli artisti e della loro capacità di rappresentare in forme incisive gli aspetti sociali e i comportamenti del potere, cosa che lo stesso Goya realizzò nelle sue incisioni.

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Neri e donne hanno un anima?  0

Nella parte de  “L’Ideologia tedesca”  in cui Karl Marx dà la propria interpretazione della filosofia di Feuerbach e cita Hegel.

A pagina 13 edizione del 1967 Editori Riuniti, Marx  scrive: “ Non è la coscienza che determina la vita, ma la vita che determina la coscienza”. Perché  la vita non è avulsa dalla realtà, ma piuttosto un percorso attraverso il quale l’essere umano può attuare un processo di crescita culturale e morale.

A pagina 151 della stessa opera e stessa edizione, scrive: “ Il negroidismo è concepito come “il fanciullo”, perché Hegel (Filosofia della storia pag, 89 dice: “L’Africa è il paese dell’infanzia della storia”. “Nella determinazione dello spirito africano (negro) dobbiamo rinunciare del tutto alla categoria dell’universalità”, ancora pag. 90 ossia il fanciullo e il negro pur avendo dei pensieri non hanno ancora il pensiero.

“Nei negri la coscienza non è ancora arrivata a una ferma obiettività, come per esempio Dio, la legge, in cui l’uomo avrebbe l’intuizione della propria essenza”…..”cosicchè manca del tutto la conoscenza dell’essere assoluto”.

Il negro rappresenta l’uomo naturale allo stato libero. Nel Medioevo i filosofi della Patristica e della Scolastica  dibattevano se i neri e le donne avessero un’anima. Accennare al tema oggi non è politically correct, quindi si è sbrigativamente considerati razzisti e reazionari.  In realtà la questione è più ampia e complessa perché impone una domanda: “Perché personaggi dotati di grande cultura, si sono posti tale problema? Oggi viviamo in una democrazia formale nella quale la legge è costituita da codicilli e cavilli di vario genere, alcuni dei quali erano già stati messi in luce da Francois Rabelais nel suo capolavoro “Gargantua e Pantagruele”. Nel frattempo la situazione etica generale è di gran lunga peggiorata. Perché il razzismo è soprattutto rivolto verso i neri? Perché in ogni paese, Africa compresa, i neri costituiscono un problema?  Perché in parallelo con la crescita esponenziale della visibilità e potere femminile la società subisce un tracollo etico? Perché la maggioranza del mondo femminile si schiera sempre a favore di neri e omosessuali? Perché nonostante le indubbie conquiste femminili, la prostituzione e la pornografia non sono diminuite ma di gran lunga aumentate? Perchè anche nel mondo dell’arte le donne hanno dato ampio spazio alla esposizione del  corpo e alla sessualità esplicita ed esibita? Tutto avviene con la complicità di una classe politica ignorante e corrotta. Restano domande in attesa di risposte, non di slogan osceni, cortei  e polemiche senza costrutto.

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Artisti e artigiani.  1

Protagonista della storia  non è stata la classe operaia o la grande borghesia, ma piuttosto i piccoli borghesi. Nel campo dell’arte come della letteratura e nella politica. Hegel e Kar Marx esprimono un giudizio negativo sulla piccola borghesia. J.J. Rosseau fece della volontà del singolo individuo la base della società, egli era figlio di orologiaio. Altri intellettuali dell’Epoca erano provenienti dal ceto piccolo borghese, Alembert era un trovatello allevato da un vetraio. Harpe  allevato in un istituto di carità , Marmontel  figlio di un sarto del villaggio, Chamfort  era un trovatello, Beaumarchais era anch’egli figlio di un orologiaio. Il  “Contratto sociale”di Rosseau non ha mai trovato applicazione nel governo di nessun paese, al più i suoi testi hanno ispirato talune tendenze sociali d’impronta pedagogica. “Emilio” e “La nuova Eloisa”, la cui carica escatologica si rivelò modesta. Dai tempi dell’antica Grecia all’800,  l’arte fu appannaggio della piccola borghesia. Mentre letteratura e musica era prodotti esclusivamente del pensiero, l’arte comportava un lavoro manuale,  come tale rifiutato da nobili e alto borghesi. Come scrive Max Weber in “Storia economica e sociale dell’antichità”, gli artisti in Grecia erano considerati alla stregua di medici, cantori indovini, appellati con il termine demiourgòs. La posizione sociale e la considerazione degli artisti prese l’abbrivio con l’avvento del mercato dell’arte che ebbe origine nei Paesi Bassi. La maggior parte degli artisti non ricavava di che vivere solo con la pittura. Gli stenti di Rembrandt e di Hals sono un fenomeno prodotto dall’anarchia economica verificatasi  all’inizio dal mercato dell’arte. Van Goyen per vivere commerciava in tulipani, Hobblema era esattore, van de Velde aveva un negozio di telerie, Jan Steen Aert van de Velde erano bettolieri. In Italia il mercato dell’arte in pratica non esisteva ancora,  gli artisti lavoravano per lo più su commissione. Tutti comunque appartenevano alla piccola borghesia sempre in fermento per la propria precaria condizione sociale ed economica, ma incapaci di prendere davvero posizione fino a quando la Rivoluzione francese del 1789 dette un forte scossone alla società del tempo e scatenò l’ira di una massa indistinta che sfogò nella violenza le proprie rivalse e il proprio odio. Fu un momento relativamente breve perché, prima Napoleone, poi la restaurazione ricrearono le condizioni di dominio delle èlite. Prontamente gli artisti dettero vita allo stile Napoleonico, detto anche Neo Classico. Jacques-Louis David e Antonio Canova furono tra i principali esponenti di quella forma d’arte che precede il Romanticismo. Abbiamo dunque la conferma di come  l’arte segua i tempi e li rappresenti quasi sempre in omaggio al potere. Oggi  viviamo in una società che Zygmunt Bauman ha definito “liquida”, gli artisti sono soggetti a una sorta di sbandamento socio- culturale, pertanto si limitano a seguire il mainstreem, sostantivo che significa “corrente principale” , detto in altri termini un conformismo che pretende di essere progressista.        aaaaaaaanewlettere-26-Febbraio-2019.jpg-500

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Verità e rappresentazione.  0

Secondo Aristotele è corretto chiamare la filosofia “scienza della verità”. Egli attua la distinzione tra filosofia teoretica il cui fine è verità, e la filosofia pratica volta a indirizzare le azioni. Molta filosofia moderna è impegnata a demolire lo stesso concetto di verità, a partire dal pensiero debole, fino a “A cosa serve la verità?” di Pascal Engel e Richard Rorty (2005). Per superare la difficoltà di trovare argomentazioni convincenti sul piano filosofico la scelta è stata tagliare il nodo,  negare  l’esistenza stessa della verità. Il pensiero debole è andato oltre, ha negato ogni fondamento alle ragione etica che è alla base della verità. L’insipienza della cultura contemporanea, ben salda nella propria dotta ignoranza, si comporta come i pipistrelli i quali vedono meglio nel buio e ogni barlume di luce li disturba. Molti di questi soloni, cantori della libertà, pensano e agiscono pro domo Cicero, usano cioè la filosofia per giustificare le proprie perversione diventano tanto meno esecrabili quando si cancellano ragioni etiche e veritative. I filosofi dovrebbero stabilire cosa costituisce un valore di riferimento sul quale si impernia l’intera struttura di relazioni umane, tanto più utile oggi che l’umanità è avviata a raggiungere i 10 miliardi di persone nell’arco di pochi anni. Il principio elementare di distinzione tra vero e falso inquinato da teorie ancipiti la cui giustificazione sarebbe  sottrarsi ai dogmi, mentre in realtà lo scopo è sottrarsi al “dogma” della ragione logica. In questo modo tutte la vacche sono bige,  ci si trova liberi nella vasta prateria della libertà. In base a questo arruffato noema si attua un processo di ectesi nel quale la ragione non ha più voce. La libertà è un falso mito e le illusioni che lo nutrono  collidono con natura e storia. Gioca a favore dei  creatori di questi pleonasmi concettuali, il fatto che la storia ha tempi lunghi, anche se già ora si profilano le prime conseguenze del malinteso mito di libertà, nei tempi lunghi la società umana sarà sempre meno gestibile. Dopo il progressivo abbandono di ogni riferimento alla natura, seguirà una progressiva disumanizzazione sotto specie scientifica come ipotizzato da Susan Greenfield in “Gente di domani” (2003). “Domani, poi domani e domani,/così il tempo striscia via, a piccoli passi, da un giorno all’altro/ fino all’ultima sillaba del ricordo del tempo/ e tutti i nostri ieri hanno rischiarato gli sciocchi/ la vita verso la polvere della morte…” (Monologo di Macbeth di William Shakespeare).          nuova-news-del-29-gennaio

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Sensibilità e creazione.  0

Diceva Rimbaud:” noi non siamo al mondo”. Siamo chiusi nei nostri interessi particolari nei ristretti orizzonti della quotidianità. Le città moderne riducono ulteriormente lo spazio della nostra visione limitata a tutto ciò che è artificiale e costituisce la nostra vita. Il mondo vero è quello che riusciamo a ricreare dentro di noi, il resto è consumo e necessità. In un  profondo pensiero, Biagio Pascal diceva  “sotto un certo rapporto, io comprendo il mondo, sotto un altro rapporto esso mi comprende”. Ma oggi ha ancora fondamento questo pensiero? Scrive Maurice Merleau-Ponty in “Fenomenlogia della percezione” “Ci sono due modi d’essere e due soltanto: l’essere in sé, che è quello degli oggetti  dispiegati nello spazio, e l’essere  per sé che è quello della coscienza”. Il tempo non agisce sulle cose, le lascia a se stesse, prede della propria essenza. Ciò che chiamiamo “soggettività” è qualcosa di molto ambiguo, perché presuppone la nostra chiarezza del pensiero, cosa che implica il dominio della nostra mente. In realtà i nostri pensieri sono fuori dal nostro controllo, non controlliamo, se non in minima parte le nostre stesse sensazioni e decisioni. Noi siamo il prodotto di una cultura, per quanto modesta essa sia, di esperienze che restano dentro di noi, delle irrefrenabili tendenze del nostro corpo. A ciò, oggi, si aggiungono i potenti e pervasivi mezzi di comunicazione di massa che ci condizionano. Dunque i nostri atti e le nostre scelte sono fuori dal nostro controllo mentale che spesso viene addirittura giudicato negativamente. La questione del libero arbitrio è stata affrontata dalla filosofia scolastica senza giungere a conclusioni convincenti. Gli scienziati dibattono sullo stesso concetto di “coscienza” come di qualcosa che è legato alla percezione e alla consapevolezza. Forse non corrisponde al vero la visione dell’essere umano come individuo libero, sol che lo voglia. Credo che il mito della libertà abbia prodotto guasti sociali enormi. Intanto quando si parla di libertà, soprattutto  il femminismo, ci si riferisce sempre e soltanto al corpo. Le insulse espressioni “Devi volerti bene” non sono che una forma idiota di solipsismo che si traduce in negatività. Volersi bene non implica che possesso o soddisfazione, entrambi sempre incompleti e provvisori. E’ piuttosto la capacità di auto dominio che ci consente di attuare scelte libere e consapevoli, viatico a una possibile libertà. Difficilmente riusciamo a dominare i nostri pensieri ma, attivando una volontà consapevole, potremmo forse controllare meglio il nostro corpo dando ad esso la libertà di scegliere la misura in cui vivere. La nostra stessa percezione si acuisce, come quando nel  silenzio irrompe un suono. Come la rumorosità diffusa, anche la diffusa suggestione, a sesso, a consumo, sensazioni forti ed estranianti, attutiscono la nostra sensibilità e ci rendono più rozzi e insensibili.        aaaaaaaNEWSLETTER-ULTIMA

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In forma di parole.  0

Come per l’arte plastica anche la letteratura si presta a interpretazioni plurime. Il “Trattato sull’origine dei romanzi” , scritto da Pierre-Daniel Huet nel 1670, affronta tema storico e filosofico insieme alla funzione e qualità  della narrazione. “La Biblioteca di Babele” di Jorge Luis Borges pubblicato nel 1941, traccia un quadro surreale del mondo dei libri. Quando leggiamo un romanzo il nostro apprezzamento si basa sul contenuto o sulla qualità della scrittura? Per Roland Barthes la letteratura non è che la ricerca della parola giusta. Questa sintesi riduttiva sottovaluta l’aspetto “storico” di ogni romanzo che abbia lasciato il segno. “Papà Goriot”, la  “Commedia umana” , entrambi di Honoré de Balzac. “I miserabili” di Victor Hugo. “L’uomo senza qualità” di Robert Musil. “I Buddenbrook” di Thomas Mann. Sono alcuni romanzi che rappresentano altrettante pietre miliari nella storia della letteratura. Rappresentano ciuoè i temi di un epoca, filtrati dalla sensibilità dell’autore. Gregor Samsa resta nell’immaginario di chiunque abbia letto “La metamorfosi”. Come “Madame Bovary” di Gustave Flaubert è rimasta, fino a non molti anni fa, lo stereotipo della adultera. Oggi con il rilassamento dei costumi e la totale perdita di valore tutto si perde nel porto delle nebbie di una uniformità francamente squallida. Se la letteratura si riduce al piacere, o divertimento di leggere senza problemi di forma e contenuto, così come avviene nell’arte plastica, si apre la strada a libri come “Cinquanta sfumature di grigio”, non a caso scritto da una donna Erika Leonardi. Purtroppo non sembra che la letteratura incida molto sul linguaggio e sul costume quotidiano. Si dice che in Italia si leggano pochi libri e giornali, un dato negativo, anche se in paesi in cui si legge di più il livello medio del linguaggio quotidiano non è certo più elevato. La ragione è semplice: abitudini e linguaggio sono influenzati molto di più da cinema e tv di quanto lo siano dalle letteratura che pure è sempre più orientata a stimolare le pruderie piuttosto che alla elaborazione di un pensiero creativo e trasfigurante. Vi è inoltre da prendere  atto che nella letteratura come nell’arte plastica è sempre maggiore la presenza femminile che impone i temi tipici del mondo delle donne: intimismo e sesso. Considerato che i giornali lungi dal contrastare le tendenze peggiori le assecondano, quando non le esaltano attraverso articoli e recensioni, il quadro complessivo non è confortante, abbiamo la conferma che la cultura contemporanea non solo non è antidoto al degrado, ma se forse lo alimenta.        Gigli-sullo-sfondo500

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Dalla avanguardia alla maniera.  0

Nel VII libro (Zeta) della Metafisica Aristotele affronta il tema  di sostanza e forma. “…a proposito della sostanza il “nostro” discorso mostra che la forma non si genera (non si crea) …”. La materia e costituita da cose, sassi, fuoco, legno, per la cui modifica occorre l’intervento dell’uomo. Per descrivere un opera si usa spesso impropriamente il sostantivo “creazione” . Lo scultore può produrre cerchi, sfere, cubi, figure umane. Egli usa materiale esistente in natura variamente forgiato. Nel realizzare la forma egli ha per riferimento figure geometriche o figure umane. Può anche scegliere di creare sculture informi o variamente plasmate. L’abilità dell’artista è nel dare forma alla materia imitando ciò che esiste o modificando la materia in modo informale. In quest’ultimo caso si pone il problema del significato come vedremo più avanti per l’arte astratta. In cosa consiste la “creatività”? Nel caso in cui l’artista si limita a realizzare manufatti prodotti industrialmente in forma di quadrati, cubi, parallelepipedi di grandi dimensioni l’intervento dell’artista è ancor più limitato. Discorso parzialmente diverso per la pittura. Anche in questo caso  siamo in presenza di utilizzo di materiale esistente. Se si tratta di figurazione vi è il ricorso alla mimesi, mentre nella pittura astratta non vi è imitazione ma, come nella scultura a cui abbiamo accennato sopra, si pone il problema del significato. E’ possibile che la lettura dell’opera sia di tipo emozionale. L’artista manipola il colore creando effetti che possono avere un impatto emotivo, una impressione, quello che è stato definito “Espressionismo astratto” sul quale sarebbe necessario dilungarsi più di quanto sia possibile in questo contesto. In questo caso entrano in gioco le suggestioni derivanti dalla critica e dalla conclamata notorietà dell’autore. Le avanguardie dell’inizio del secolo scorso hanno realizzato opere il cui carattere è “ideologico”, nascono cioè da un idea per lo più con intenti di provocazione. L’arte concettuale invece tende a dare forma ad un concetto. Purtroppo questi procedimenti artistici sono quasi totalmente falliti per almeno due ragioni. Innanzi tutto non hanno avuto effetto provocatorio, tanto che quelle opere sono finite nella maggiori gallerie del mondo e nei musei. In secondo luogo sono state fagocitate dal mercato diventando oggetto d’investimento. Ma il fallimento maggiore è dato dal “successo” , ovvero tutta l’arte è diventata avanguardia, ogni spinta di provocazione di originalità è diventata maniera, accademia, prassi.

Mural di Jackson Pollock 1943

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