Archives for : febbraio 2014

L’arte contemporanea è reazionaria?  4

La denominazione “considerazioni sull’arte” non è stata scelta a caso. I pensieri che esprimo, necessariamente frammentati, rischiano di cadere nella semplificazione. E’ l’inconveniente del mezzo che impone i tempi. In ogni caso le mie non sono tesi, ma ipotesi. E’ mia convinzione che, nonostante le pretese delle avanguardie, giustificate con teorie dalla apparenza progressista, l’arte contemporanea sia in larga misura reazionaria, regressiva, sia per l’suo dei materiali, sia per il linguaggio che esprime. In questa occasione ho scelto di scrivere il testo, anziché parlare a braccio come faccio di solito, perché l’argomento richiede più che mai di evitare impacci e imprecisioni, per quanto possibile.Il mondo dell’arte appare dinamico, in realtà a muoversi non sono le idee, ma il mercato, la libertà di cui gode l’artista appare spesso priva di costrutto. Vi è stato di fatto un ribaltamento dal mercato per l’arte, dall’arte per il mercato, con tutta la serie di condizionamenti che questo comporta. L’aspetto regressivo dell’arte si manifesta anche con il ricorso alla tecnica, l’artista, adducendo la commistione di materiali e strumenti, finisce per obliterare la stessa essenza dell’arte. Viene in mente la frase di Karl Marx che György Lukàcs pone all’inizio del trattato di Estetica: “essi non lo sanno, ma lo fanno”. Il comportamento quotidiano dell’uomo è insieme il punto di inizio e di arrivo di ogni attività umana. Ho affrontato questo tema nel mio libro “La logica del quotidiano” nel quale sostengo che la ricezione e riproduzione della realtà è compito dell’artista che si propone finalità di comunicazione sociale attraverso il filtro della sensibilità.
L’antichissimo etimo della parola metodo, contiene l’idea della via verso la conoscenza, implica l’imperativo per l’artista di raggiungere determinati risultati. Ma questo non è possibile quando l’artista pone la pregiudiziale della propria libertà che si traduce in una forma autoctona, e ritiene di avvalersi di forme tecnologiche indistinguibili da altri ambiti. L’artista nel momento in cui si pone come referente a se stesso, deve usare i propri mezzi, in primis sensibilità e cultura. Il percorso delle avanguardie è approdato nelle Accademie dimostrando la strumentalità del rifiuto del metodo.
Scelta che ha trovato avvallo di alcune frange della filosofia contemporanea, per esempio Paul K. Feyerabend che nel 1975 pubblicò “Contro il metodo”, sottotitolo “Abbozzo di una teoria anarchica della conoscenza”. La conoscenza è ricerca, filtro del già detto, immaginare che il metodo intralci il percorso è un anacoluto concettuale. Ciò che conta è la meta, ovvero l’opera, la scoperta. Non pare che Feyerabend abbia innovato la scienza che, a differenza dell’arte, ha punti di verifica nel percorso di rinnovamento, mentre l’arte, sottratta a giudizio di merito si presta ad infinite mistificazioni. Non c’è dubbio che esiste un limite alla pretesa di dare organicità al sapere, ed esiste il rischio sclerotizzazione formale, tanto più nel campo dell’arte, l’ambito per eccellenza della creatività. Ma proprio qui sta la sfida, come hanno dimostrato alcuni grandi maestri contemporanei. La scelta formale e metodologica, viene ad assumere necessariamente un significato contenutistico, si traduce in una determinata visione del mondo legata a come viene interpretata o filtrata o manomessa la realtà, ecco perché non è giustificato il rifiuto ancìpite che gli artisti accampano.
L’immanenza operativa, l’uso della materia, neutralizzano le velleità antiestetiche, al più offrono pretesto per sottrarsi al canone e quindi alla creazione vera, ripiegando su espedienti di tipo provocatorio e/o mondano. L’oggettiva struttura categoriale dell’opera d’arte non può essere ogni volta inventata dal singolo artista, o sedicente tale. La condanna più volte pronunciata contro l’arte, da Platone, Tertulliano, fino a Kierkegaard, aveva una valenza totalizzante in coerenza alla quale l’artista avrebbe dovuto cambiare mestiere, o quanto meno il sostantivo sotto cui colloca il proprio lavoro. Nulla di tutto questo è stato fatto. Gli artisti hanno scelto di gingillarsi ora con l’ideologia, ora con l’autoreferenzialità, espressa nella forma dell’arte per l’arte. Il percorso così realizzato, non solo non ha nulla di realmente innovativo, cosa può esserci di innovativo nel recupero sotto specie artistica di orinatoi e merda? ma si perde e si annulla nell’oggetto, rinuncia alla dialettica formale, diventa produzione materialistica fine a se stessa, in funzione del mercato.
Darwin ritenne di scoprire le categorie dell’arte già negli animali espressione di puro istinto, arte contemporanea “di te fabula narratur” .Pavlow, attraverso i suoi studi ha accertato che l’attività nervosa superiore è una conquista dell’ homo sapiens. Gli animali che ci hanno preceduti nella scala dell’evoluzione avevano rapporti con l’ambiente attraverso impressioni immediate.
Ma senza addentrarci in questo vasto e importante argomento, per quanto detto, va da se l’arte è conseguenza di una rivoluzione semiologica e linguistica, la cui negazione è palesemente un atto regressivo che nega determinati traguardi antropologici e limita il rapporto tra linguaggio e forma.

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Visione, memoria, inganno  0

La questione estetica, accantonata dalle avanguardie, si riaffaccia nella forma artificiosa del consumo. L’ontologia estetica è di per se artificiosa, invenzione di una civiltà che si affida alla apparenza e si avvale delle manipolazioni del pensiero estetico ridotto a celebrazione del consumo. L’impropria definizione di arte Pop, riduce il popolare al consumismo. Nulla di più lontano dalla radice contadina della civiltà preindustriale. Abbiamo dato corpo a una quantità di ingannevoli apparenze, diventate produttrici di miti effimeri e icone della società contemporanea. La nostra potrebbe essere definita la civiltà dell’inganno. Per J.J. Rousseau, “l’uomo che pensa è un animale depravato”. Per Musil la scrittura è contro natura, egli affermava: “ sono nato da una donna, non da un calamaio” (Oggi diremmo da un PC.) La difficoltà dell’artista contemporaneo di realizzare qualcosa di davvero significativo, deriva dall’eccesso d’immagini e di comunicazione. Possiamo risentire la voce di una persona deceduta da tempo. Possiamo vedere contraddetta la legge di gravità, quando vediamo risalire sul trampolino un tuffatore che era finito in acqua. Questi sono semplici, puerili, inganni rispetto alle possibilità che la tecnica ha di creare un mondo virtuale al quale siamo ampiamente assuefatti da cinema e tv. E’ pensabile che tutto ciò non abbia influenze sulla psiche del paradigmatico “uomo della strada”, il quale è totalmente inconsapevole che le proprie azioni e scelte sono predeterminate da suggestioni più o meno sublimali. L’arte contemporanea si arrabatta tra ready made, squali, in formaldeide, alberi esposti tali e quali, merce dei grandi magazzini, ricostruzioni di intere farmacie, tentativi patetici di mascherare la propria inutile inadeguatezza. La fotografia rappresenta l’appropriazione di frammenti di realtà, che però spesso è costruita. Celebre la polemica sulla autenticità della fotografia di Robert Capa che raffigura un miliziano colpito da un proiettile. L’artista sembra abbia rinunciato da tempo al confronto con la tecnica, l’accetta supinamente. Il pittore coglie le sfumature del cielo, il carattere di una persona attraverso l’espressione del viso. Dettagli che la riproduzione meccanica non è in grado di cogliere. presagi500

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Cultura e monete  1

www.artefutura.org blog artefutura. Il discorso sulla valorizzazione dei beni culturali è inficiato di una buona dose di ambiguità. Intanto si dovrebbe chiarire a cosa ci si riferisce quando si parla di beni culturali. Se per beni culturali s’intende monumenti, città storiche, musei, non c’è dubbio che le promozione può essere semplicemente affidata a competenti di pubblicità & marketing. Se invece richiamandosi ai beni culturali si ha in mente anche la produzione contemporanea, allora il discorso si fa più complesso. E’ del tutto ovvio che produrre beni culturali implica avere cultura. Sembra che questo aspetto, del tutto sia trascurato. Scuola, tv giornali, Internet, tutto ciò che dovrebbe indirizzare i giovani, e contribuire alla loro formazione cultura, sembra vada nella direzione opposta. Si scrive cultura si legge business. Nessuna intenzione di demonizzare l’aspetto economico della cultura, ma forse è necessario mantenere una netta distinzione, e chiarezza di obiettivi. Da tempo è diffuso il vezzo di parlare della cultura della droga, cultura del vino, cultura della strada, cultura della trasgressione e via elencando. La cultura si valorizza in misura inversamente proporzionale alla sua monetizzazione. Vediamo cosa accade nell’arte contemporanea. Si rende necessaria un’ermeneutica del linguaggio, un approfondimento semantico del termine cultura. Roland Barthes sostenne negli anni ’70-’80 che la moda è un linguaggio. Se ci si guarda attorno dovremmo dedurne che oggi il linguaggio della moda balbetta in strada e si affida all’enfasi declamatoria nelle sfilate. Due livelli che sono la metafora delle crescenti differenze sociali. Pensare allo sfruttamento del patrimonio culturale dell’Italia, è tutt’altra cosa dal pensare di creare cultura. La formazione culturale confluisce nella società ma si si forma in modo personale. Detto in altre parole si può leggere e book o libro cartaceo, ma si deve leggere, studiare, ci si forma in modo individuale, non esistono espedienti o scorciatoie. E’ questo il punto dolente. La propaganda della e per la cultura sir riduce ad espediente mediatico se nel contempo non si precisa la necessità di un impegno personale. Si può ottenere una laurea pagando, ma non si potrà mai acquisire un buon livello di cultura se non con lo studio, la lettura, l’impegno personale costante.

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Dove tornare?  0

Un film poco ricordato intitolato: “Salvate la tigre”. Interprete Jack Lemmon. Tema del film la difficoltà di comprensione tra generazioni. Lemmon dà un passaggio ad una ragazza che fa l’autostop. Finiscono a letto e dopo avere fatto sesso iniziano un dialogo surreale. Ognuno dei due cita cantanti, attori, personaggi che l’altro/tra non conosce. Mi è venuto in mente questo film leggendo un articolo sulla “la nostalgia contemporanea” .Non siamo mai andati via, e tuttavia desideriamo tornare a qualcosa a qualcuno. “Nostalgia” è un composto di due termini greci. “Nostos”, tornare a casa, “Algos”, sofferenza, struggimento. Il termine è stato coniato da un medico Svizzero alla fine del XVII secolo. Oggi, nel mondo globalizzato in cui viviamo, nel quale la casalinga di Voghera va tranquillamente a Cuba, 7 giorni 6 notti tutto compreso, c’è spazio per la nostalgia? Leggendo l’articolo ho provato una profonda tristezza. La nostalgia di cui si parla, sembra più che altro legata ad oggetti tecnologici, non a persone, atmosfere, situazioni, ma alle tracce che la tecnologia dissemina nella nostra esistenza. Per circa circa il 50% delle copie primo incontro avviene sul web. La rete sembra marcare i tempi della nostra esistenza, il terribile vuoto esistenziale colmato da oggetti, contatti frettolosi, sesso immediato. Quando, nel 1978, pubblicai il libro “Operazione Nostalgia”, termine che da allora è entrato nel lessico giornalistico, scrivevo del cinema hollywoodiano degli anni 1950 –60. Le cinquanta fotografie che accompagnano il breve scritto, richiamavano costumi, trance de vie, amori. Non vi erano, nei film d’allora, scene di nudo, quando la coppia entrava in camera da letto chiudeva la porta alle spalle. Oggi veniamo trasformati, volenti o nolenti, in guardoni. Scene tutte uguali, frettolosi e agitati spogliarelli, seguiti da ansiti e scene di sesso. Alla lunga una grande noia, per nulla eccitante. Viviamo un frenetico presente nel quale il sentimento sembra legato agli organi sessuali. Siamo senza memoria e senza futuro. Abbiamo però l’I PAD, I POD, PC, da essi traiamo dozzinali pensieri, e superficiali contatti. Mai come in questo caso vale la celebre affermazione di MacLuhan: “ il mezzo è il messaggio” Abbiamo una vita virtuale, ci aiuta a dimenticare la vita reale che non sappiamo e forse non vogliamo vivere. E’ il tempo degli amori virtuali e della rassegnazione al reale. operazione  nostalgia

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Non c’è creazione solo produzione  5

E’ diffusa e tuttavia assolutamente impropria l’espressione:” l’artista crea”. L’artista non crea nulla. Creare significa far sorgere qualcosa dal nulla. L’artista si limita ad assemblare materiali diversi, esattamente come l’operaio, al quale infatti era equiparato dall’antica saggezza dei greci. Egli utilizza la materia esistente alla quale da una forma diversa. Colori, tela, marmo, ferro, bronzo, tutti materiali con i quali l’artista da forme per lo più antropomorfe. Il ready made, è una mistificazione, basata sulla presunzione che l’artista, o sedicente tale, si attribuisca la facoltà di modificare lo status di un oggetto semplicemente mutandone la dislocazione. L’inganno è reso possibile, non solo dal degradato clima culturale che caratterizza la nostra epoca a partire dall’inizio del secolo scorso, ma soprattutto dalla complicità di critici, o sedicenti tali, che avvallano azioni di assoluta irrilevanza logica. In origine il ready made era null’altro che una forma di provocazione a cui gli stessi artisti, non attribuivano importanza, in seguito al clamore dei media e al fluire di teorie paradossali, questa forma di adulterazione dell’arte si è diffusa e ha preso piede. La massa, la cui stupidità è alimentata da giornali e TV, ha finito per credere davvero che sacchi di rifiuti, merda e orinatoi fossero una nuova forma d’arte. Il resto è storia di oggi.

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La ragazza con l’orecchino  4

Philippe Daverio e Bonito Oliva hanno espresso pareri contrastanti sulla mostra sulla messa in mostra a Bologna dell’opera di Vermeer “Ragazza con il tubante”. Più nota come la ragazza con orecchino di perla. Qual è la tua opinione? Pensi anche tu sia una forma di esibizionismo anti culturale, un puro avvenimento propagandistico oppure che sia utile esporre una sola opera del grande maestro fiammingo? Foto dell’opera. (Particolare) vemeer

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