Archives for : dicembre 2014

Elan Vital  0

Il principio della scienza è totale estraneità da sè, concentrazione sul dettaglio. In una parola: riduttività. Ogni scienza si occupa di un particolare settore, un frammento della realtà. Cosa significa l’affermazione di Derrick de Kerckhove: i bambini imparano senza leggere. Imparano cosa? I contenuti reperibili sui motori di ricerca sono parte di una cultura precedente acquisita sui libri. Sono stati messi in rete da coloro che hanno studiato con metodi tradizionali. Non c’è altro modo di apprendere se non attraverso la lettura e lo studio. Sapere non è ancora capire. Il nozionismo aborrito dal ’68, è ora in auge tramite il web. Motori di ricerca ed enciclopedie del web, forniscono dati succinti. La storia è ignorata. La cultura  contemporanea inventa neologismi privi di senso. Considerare la scoperta del tatto attraverso la tecnologia touch screen,  è una stupidaggine madornale, quasi  quanto  l’affermazione che siamo nell’epoca della post scrittura. Forse siamo nell’epoca della post intelligenza umana a cui tenta di supplire la tecnica. E’ un’ illusione. La nuova narrativa è per lo più espressione di sesso, crimine e noia. Anche gli esordienti sembrano assorti nel descrivere esperienze negative, conseguenza di un vuoto interiore che è prodotto, oltre che dalla precocità di esperienze di ogni genere, quasi tutte negative, anche dalla dispersione mentale facilitata dalla tecnologia. Rimpiangere, disprezzare, decidere,credere, pregare, imparare, riflettere, valutare, far di conto, ricordare, amare, odiare, gioire, essere tristi, ottimisti, pessimisti, incerti, convinti, fiduciosi, tutte queste, e moltissime altre reazioni richiedono l’attivazione di stimoli, di  valutazioni specifiche. Per questo il grande neurologo Gerard Edelman, sosteneva che noi viviamo in un presente ricordato, nel momento in cui ne diventiamo consapevoli è già trascorso. Immaginare i giovani annoiati,  appare  un ossimoro. E invece è realtà. Forse semplicemente non ci sono più giovani, ma individui con pochi anni. Neppure ai bambini è consentito di essere umani. Sfruttati dai media, in primis la tv di Stato alla quale paghiamo lo scotto di essere idiota. La breve esperienza dei bambini mette a rischio, oltre alla loro incolumità, anche nei confronti delle madri, la loro salute mentale. Le prime scorie che un tempo la famiglia filtrava,ora li compiscono direttamente. La famiglia non c’è più. Ho fatto un tentativo il cui esito è significativo. Inserendo su motori di ricerca la citazione di uno dei cardini della filosofia di Bergson:  “Elan vital”, appaiono una quantità di link relativi a  palestre e centri di massaggi. Questo è il mondo che la tecnologia ha in larga parte contribuito a creare.

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L’arte della natura, la natura dell’arte  0

 

 

Quando Hegel conferisce il primato dell’arte sulla natura considerando l’arte creazione dello spirito, apre suo malgrado, il vaso di Pandora i cui effluvi finiscono per far evaporare lo spirito a cui egli si riferisce, lasciando la nuda materia come realtà e rappresentazione. La bellezza è rifiutata in quanto non esiste più la spiritualità che essa può riflettere. La bellezza che, secondo  Hegel , è parvenza sensibile dell’idea , disturba, in un mondo in cui l’idea è considerata  estranea  all’arte. Se così non fosse non si darebbe importanza alla triste boutade di Picasso “ho impiegato tutta la vita a imparare a dipingere come un bambino”.  A meno di supporre che il percorso di conoscenza ed esperienza sia  soltanto perdita di tempo, tanto ci sono i filosofi addetti alla ricerca di significati. L’artista come demiurgo che si pone al di sopra della natura ed acquisisce autoreferenzialità  fino al punto in cui si ritiene esentato dalla creazione avendo titolo per decidere cosa è arte, può scegliere qualunque manufatto. Il bello soccombe al kitsch della modernità.  Hegel ha fatto da battistrada a Duchamp,  e a tutti gli arbitrii delle avanguardie tanto arroganti quanto culturalmente sprovvedute. Come la descrizione dello spirito non lo crea, anzi se mai lo corrompe con pleonastiche verbosità, l’arte non è chiarita, si piega sotto il peso dei paralogismi, il segno significante soccombe alla  sofistica ricerca di un significato che non c’è. La filosofia dell’arte non crea e non aiuta a capire, piuttosto  devia il senso, si presta ad inventare  alibi all’insignificanza formale. L’arte “bella” non è mai stata solo simbolica o solo rappresentazione, ma costituiva la simbiosi di entrambi gli aspetti. L’idea espressa nella materia, l’edos. Da prima si è rinunciato al simbolo, poi si è considerata superflua la forma creata rifugiandosi nella triviale rappresentazione tautologica della realtà precostituita, ovvero al ready made . A questi passaggi la filosofia dell’arte ha tentato di attribuire  significati. Con forzatura metonimica si è preteso di fare di un frammento la rappresentazione di un improbabile tutto. All’insignificanza dell’arte segue il fallimento della filosofia  che la descrive.

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L’arte è la Fenice.  0

L’arte è per Nietzsche un commovente ricordo delle gioie della giovinezza, l’artista come una reliquia. La pretesa dell’Illuminismo di svelare attraverso la ragione l’antico incanto del mondo è miseramente fallita,  non solo perché troppa luce, come il buio, finisce per impedire la visione, ma soprattutto per le troppe contraddizioni che l’euforia della ragione ha prodotto.  Mettere una prostituta sul trono e adorarla come dea ragione. Compiere massacri in Vandea. Pessimi viatici per la modernità. L’Illuminismo è stato un lampo subito spento dal fiume di sangue. Solo le anime belle come Kant hanno pensato che la ragione, pura o pratica, rimuovesse il grumo di stupida malvagità che da sempre incombe sull’umana natura. I disastri di una ragione priva di spiritualità le avremmo visti nel 19° secolo. I milioni di morti di Verdun,  massacri di civili inermi della 2° Guerra mondiale, Hiroshima e Nagasaki, sono state le prime spaventose avvisaglie di ciò che la belva umana, con l’ausilio della tecnica, era in grado di fare. Il massacro continua anche oggi. Anche  l’ arte si è lasciata permeare dalla tecnica, ha perso fiducia nella propria capacità di contrapporre al cinismo la propria visione del mondo. Martin Heidegger, non è stato ascoltato quando metteva in guardia contro la stupidità della tecnica, zittito da ciance su una “classicità tecnologica”.  Quella di Olafur Eliasson, più che un’opera d’arte, può essere vista come una sequenza di un film di fantascienza. Non testimonia di una nuova arte, ma della rimozione della differenza tra arte e tecnica. Se accostiamo  Brillo Box  alle sue opere e a quelle di Bill Viola, appare chiaro un riferimento univoco ad una ontologia dell’arte è improponibile. Siamo di fronte ad  espressioni che sono agli antipodi. Così l’arte, dopo lungo travaglio, levatrice la cosiddetta filosofia dell’arte, abortisce . La funzione simbolica dell’arte attraverso l’empiria è caduta nel vuoto di autoreferenzialità priva di valore. Non è in grado di rappresentare nè la disumanità, né la residua umanità. Da sempre l’arte segue zoppicando i tempi.  Come i poliziotti, arriva sempre in ritardo sul luogo del delitto. Vi è qualcosa di commovente nei tentativi di tenere in vita una cosa morta. La rianimazione avviene con una sorta di insufflazione, un bocca a bocca tra il cadavere dell’arte e la filosofia. Se l’arte è morta, la filosofia non stà troppo bene e cerca di tenersi sveglia ricordando le favole dei vecchi sapienti, quando ancora c’era spazio per l’ottimismo. Non è vero che la dichiarazione di morte dell’arte fatta da Hegel, lasci spazio a un nuovo inizio, che infatti non c’è stato. Lasciandosi permeare dalla tecnica, l’arte ha mutato natura. La fenice è risorta trasformata, qualunque cosa sia, non è più arte. E’ patetica,forse fraudolenta, la pervicacia nel voler usare il sostantivo arte per questa nuova cosa che oscilla dalla tecnica  ad esibizionismi corporali femminili,  vuoto assoluto di progettualità simbolica, nessuna idea propositiva, solo un bailamme mondano, una umanità sotto vuoto spinto.  .         william blake10

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Dove casca l’asino della critica.  0

Una delle prerogative dell’ignoranza di ritorno, sembra essere l’ossessione del senso comune, giudicato banale. Questa avviene in ogni ambito, ma raggiunge una dimensione ipertrofica nel campo della critica e filosofia dell’arte dove abbondano le più astruse elaborazioni verbali per costruire improbabili teorie. Proviamo a partire dall’inizio. Un laureato in giurisprudenza, ingegneria, medicina, e in tutte le altre facoltà che aprono la strada a prestazioni professionali, prima di poter esercitare la propria attività deve dare un esame che gli consente l’ammissione al proprio ordine professionale. Anche per fare l’usciere in una società o Ente, l’aspirante deve sottoporsi a un test dopo avere presentato credenziali e titoli di studio. Nulla di diverso accadeva nel Medioevo per essere ammesso alle corporazioni  degli artisti e a Gilde. Gli artisti, prima di poter operare, dovevano frequentare per anni la bottega di un maestro, in ogni caso le loro opere erano giudicate per la loro qualità, facilmente comprensibile anche un profano. Non c’è persona, per quanto ignorante, che non resti incantata di fronte a un’opera del Beato Angelico, Botticelli, Raffaello, Tiziano e via elencando. Oggi la “modernità” ha soppresso tutto questo. E’ vero che esistono Accademie e facoltà di estetica, ma i docenti sono in buona parte  gli stessi che hanno operato per ridurre l’arte nello stato in cui si trova.  Si dice: è considerata un’opera d’arte un manufatto scelto come  tale dall’artista. Ci si dimentica di chiarire chi è l’artista? Come acquisisce tale status? Dalla frequentazione dell’Accademia? A parte che le accademie sfornano ogni anno decine di artisti “virtuali”. Vediamo le credenziali di alcuni dei grandi maestri.  Mario Merz da ragazzo vendeva giornali per le vie di Torino. Alberto Burri era un medico. Andy Warhol un grafico pubblicitario, tanto abile da essere riuscito, senza cambiare metodo di lavoro, a far accettare come opere d’arte le sue realizzazioni grafiche e multipli. Dunque critica e filosofia dell’arte si sono prestate  a rimuovere  le basi stesse della preparazione di coloro che, in base alle loro elaborate teorie sull’ontologia dell’arte, dovrebbero decidere cos’è arte, cioè gli stessi  artefici delle opere. Ci troviamo di fronte a situazioni surreali. La metafisica, cacciata dalla filosofia/filosofia, ha trovato rifugio in una sottospecie: la filosofia dell’arte. Non è in predicato la libertà di chiunque di dedicarsi all’arte, anzi i dilettanti sono spesso maggiormente motivati. Cosa diversa è creare miti, intessere  esegesi fantasiose come è avvenuto per l’arte contemporanea , con disprezzo di ogni  plausibilità e logica. Gli orinatoi, i sacchi di rifiuti, la merda, spacciati per arte, sono conseguenza di questa “negligenza” iniziale che ha proliferato, nel senso letterale del termine,  in misura esponenziale. L’ incapacità di definire etimologia reale della forma, aggiunta a  mancanza di sensibilità hanno prodotto il disastro a a cui assistiamo impotenti. La tesi:  tutto è arte, da un potere enorme a mercanti e imbonitori. Basta entrare nel cerchio magico, possono essere utili sesso,  politica, amicizia,  genere. Quello che invece è superfluo è sapere cos’è l’arte e come si realizza un vera opera d’arte. Altro che collocare l’opera nella narrazione, come sostiene qualche filosofo, difficilmente in buona fede.  Va da sè che, arrivati a questo punto, la fitta trama di interessi , l’intreccio di teorie fantasiose e decettive, non è più dipanabile. Riportare l’orinatoio di Duchamp al proprio uso sarebbe considerato un sacrilegio, anzi anche solo a proporlo, si va incontro all’accusa di essere reazionari  e  ignoranti. Dunque, non possiamo far altro che ripetere con  Wittgenstein: va bene così.        cap canaveland500

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Travaso Cuore in Micromega: ideologia della perversione.  0

robertmapplethorpe44La stampa è considerata uno dei pilastri della democrazia moderna. Tuttavia un analista dei media fa emergere  che la loro parzialità priva il pubblico della possibilità di comprendere  il mondo reale, quanto  meno avere un atteggiamento critico sulle maggiori distorsioni. Questa affermazione è suffragata da elementi  che emergono quotidianamente dalla lettura dei giornali e osservazione della Tv. Non è del tutto vero  l’assunto che il campo dell’informazione è “posseduto” dai capitalisti che assumono personale per confezionale e vendere un prodotto. Per rendere il  “prodotto”  accettabile da un gran numero di persone, può servire l’uso di massicce dosi di demagogia.  La struttura dei media è costruita in modo da promuovere l’adesione alle idee convenzionali, a volte rivestite da un “progressismo” di facciata.  Quanti  milioni spendono per pubblicità sui media le case di moda? E’ inevitabile che anche le loro iniziative nel campo dell’arte trovino vasta eco, a prescindere dalla qualità degli artisti proposti.  Un critico, un commentatore, avranno  tanto più successo quanto più sapranno vendere aria fritta per aria nuova. E’ del tutto evidente, per chi voglia vedere, che la stampa italiana si accoda alle notizie diffuse dalle  agenzie internazionali, per lo più anglosassoni, e comunicazioni provenienti da organi governativi. La mancata reazione alle menzogne di George Bush per giustificare l’attacco all’Iran è significativa. Non diversamente è stata  manipolata la pubblica opinione per giustificare l’attacco alla Libia, deciso  da Francia, Inghilterra, USA. Non c’è stato un solo presidente Usa che non abbia scatenato una guerra di aggressione a una nazione indipendente, con la scusa di difendere o esportare la democrazia, vale a dire il modello di vita americano  considerato per definizione il solo accettabile. Forse in troppi hanno  introiettato la tesi di Hobbes sul monopolio degli Stati all’uso della  violenza. Si parla di torture e violenza in Ruanda, Bosnia  e paesi  del Medio Oriente, ma è stata messa la sordina a Guantànamo.  Le conseguenze delle guerre scatenate dagli USA , Inghilterra, Francia per ragioni economiche, ricadono su tutti. Tutto ciò e reso possibile anche grazie alla complicità dei media. Ogni tanto in Europa qualche intellettuale tenta una critica. Pierre Bourdieu si è scagliato contro la regina dei media: la Tv. Purtroppo le critiche non hanno effetto, anche  per la poca credibilità dei  promotori che trascurano l’essenza del problema. L’influenza dei media è facilitata dalla distrazione delle  masse, incoraggiate  e coltivare vizi privati dagli stessi intellettuali che muovono critiche su altri fronti. Vi è poi una crescente ignoranza a cui la tecnologia fa da paravento. Le sfumature di grigio, e lo spettacolo del calcio, bastano a inebetire le masse che si sentono libere ed emancipate. Massiccia è l’azione promozionale a favore della mediocre  arte contemporanea. La cultura sostituita da pubblicità & marketing.  E’ questo il nocciolo della questione. La comunicazione , secondo Armand Mattelart, diventa il paradigma stesso della “conoscenza” e quindi del potere. E’ chiaro che, se la missione dei media, come qualcuno ha sostenuto, è quello di formare l’opinione pubblica,  giornalisti e critici sono in larga misura inadempienti. A questa già non facile situazione, negli ultimi anni si è aggiunta la distorsione informativa che deriva dalle contrapposizioni di genere. Vi sono casi conclamati di mistificazione della realtà basati su distorte posizioni propagandistiche al servizio di ideologie prive di concretezza e logica. Non basta la libertà di poter esprimere le proprie opinioni sulla rete per migliorare il mondo. Se tutto ciò che la liberalizzazione dei costumi ha portato  è l’offerta di sesso ed  esibizione pornografiche. Eppure tutto ciò è difeso strenuamente dai Pasdaran del liberismo, costituito anche  da reduci di una  sinistra in disarmo  che tradisce se stessa abbracciando le più trite teorie e perversioni borghesi. Nel circo Barnum di  politica, stampa, cultura, arte, è proibito ogni accenno all’etica, anche solo al senso del limite. Leggere certi giornali di sinistra, sembra di sfogliare il Travaso, rivista porno qualunquistica degli anni ’50. Non è un caso che l’ex direttore di Cuore, sia uno degli opinion maker di uno dei più diffusi quotidiani italiani. In questa melma qualunquista, in cui destra e sinistra hanno entrambe il colore del fango, l’arte naviga a vista, realizza mostre dal romantico e significativo titolo “Caga e muori”, scritto però in inglese – Siamo o non siamo in piena globalizzazione! – Ecco dunque che dal triste panoramica si scorge una certa logica, quanto meno una parziale spiegazione dell’anfibolia contemporanea.

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Va bene così di Piergiorgio Firinu  0

“Va bene così” Piergiorgio Firinu

Dalla nascita delle cosiddette avanguardie storiche, è andata maturando l’idea che si esprime nella domanda: “ Che tipo di concetto è “arte”?. I filosofi si sono avventati sull’arte forzandone l’interpretazione  assumendo che l’arte non abbia una propria autonomia, ma necessità dell’ermeneutica filosofica . Per riempire le pagine di libri si citano filosofi a sproposito forzandone le teorie.  Wittgenstein, con la solita icastica concisione, ha detto che spesso quando si parla di arte si arriva al “va bene così”.  Le “teorie dell’arte” non l’hanno rinnovata, ma distrutta. Il problema, se mai, è che il va bene così è detto dello pseudo artista, o provocatore, mentre il filosofo si prodiga per trovare un senso a ciò che senso non ha;  come farebbe altrimenti a  riempire  pagine di libri assolutamente  inutili? Si attuano  così una  quantità  di  forzature ermeneutiche che equivalgono ad  altrettanti  truismi. La inadeguatezza delle teorie non è dovuta alla complessità dell’arte, che in realtà è tanto più complessa quanto più  si allontana dalla propria natura. Le teorie sull’arte, per numero e artificiosità, hanno sostituito il dibattito Medioevale sul sesso degli angeli. Descrivere le proprietà che l’occhio non coglie, significa spesso formulare teorie spurie che non chiariscono ma confondono. I limiti della filosofia dell’arte sono intrinseci, detto in altre parole la filosofia dell’arte quando non è dannosa è inutile. Non cambia natura anche quando la si infarcisce di citazioni, per lo più improprie, Frege, Adorno, Cantor non hanno mai usato la loro scienza per dare spiegazioni  di cosa è l’arte.

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