Archives for : gennaio 2017

L’arte tayloristica.  0

La dedica di Nietzsche di “Così parlò Zarathustra” , “Per tutti e per nessuno” è, secondo Herbert Marcuse, applicabile anche all’unità dell’arte. Forse dovremmo aggiornare le affermazioni di Marcuse in ragione dello snaturamento dell’arte e al progressivo inaridimento creativo sostituito dal massiccio ricorso agli ausili tecnici. La critica, che non fa il suo mestiere, ricorre a procedimenti assiologici, estranei alla ortodossia ed epistemologia dell’arte. Al termine dell’Introduzione alla “Per la critica dell’economia politica”, Marx afferma: “Ancora oggi l’arte dell’antica Grecia esercita su di noi un grande fascino”. Questa affermazione, ha lasciato perplessi molti intellettuali “progressisti”. La modernità raramente affronta i problemi di cultura, ma pone attenzione alla tecnica. I problemi che non sa chiarire preferisce archiviarli. L’ontologia dell’arte è in carattere con la realtà produttiva di tipo fordista, non più in uso nelle fabbriche. L’arte rientra a tutti gli effetti nella generalizzata produzione di merci. E’ stata applicata in modo estremo l’affermazione di Walter Benjamin sulla perdita di aurea dell’arte come conseguenza della produzione seriale. Perché le attuali produzioni non possono rientrare nella categoria ontologica dell’arte? Semplicemente perché, a differenza della scienza che deve protocollare ogni nuova scoperta in modo da rendere possibile l’attuazione ad altri scienziati dello stesso procedimento, l’arte è per definizione non codificabile. Anche quando la stessa opera viene ripetuta, non è mai esattamente uguale alla precedente. Salvo i casi dell’arte seriale, serigrafie, incisioni ecc. Ma in quel caso, è scontato che l’opera riprodotta abbia un valore inferiore all’originale. A parte il fatto che anche per realizzare incisioni e serigrafie è necessario saper creare un modello originale, oltre a conoscere la tecnica di riproduzione, salvo il caso, in cui, come faceva Warhol, si riproduca una riproduzione fotografica. La gran parte delle opere dell’arte contemporanea, specie se di grandi dimensioni , non vengono realizzate dall’artista, ma da tecnici i quali adottano procedimenti in cui sono coinvolti fonderie, tecnici elettronici ecc. L’artista si limita ad offrire un’idea e si esime dalla realizzazione. Il taylorismo produttivo consente una grande produzione e giustifica i cospicui investimenti in pubblicità & marketing che sono la cifra dell’arte contemporanea. E’ successo qualcosa di simile, come denuncia Matthew Arnold: con l’avvento della industria culturale, nata per promuovere la cultura di massa e naufragata nel crollo esponenziale del livello culturale generale. Il mercato dell’arte può permettersi oggi di assoldare intellettuali più o meno noti per pubblicizzare fiere ed eventi, tentando per questa via di conservare una pallida impronta culturale a una produzione artistica che con la cultura ha lo stesso proverbiale rapporto del diavolo con l’acqua santa. Diana-Arbus-20

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Nuovi approcci all’arte.  0

Domenica 15 gennaio 2017, Lettura, l’inserto culturale del Corriere della Sera, ha pubblicato una specie di forum tra direttori delle tre principali fiere dell’arte italiane. Due sono donne. Tutti hanno ricchi curricula in campo accademico e incarichi nelle istituzioni artistiche. Dunque, persone come si dice, qualificate. Sorge spontanea una domanda: qualificate per cosa? Forse semplicemente a svolgere il compito che svolgono abitualmente nei loro interventi sui media, vale a dire fungere da cassa di risonanza per il mercato? I curricula servono a dare un’impronta culturale alle fiere dell’arte? Ma non è solo questo. A destare preoccupazione, per chi ama l’arte, è la mentalità di questi “esperti”. Voglio citare un brano in cui, Ilaria Bonacossa, la direttrice di Artissima, esprime il suo pensiero: “ Gli artisti italiani hanno un rapporto, come dire, paralizzato con la classicità. Qualsiasi che abbia, che so, fatto l’accademia, è tenuto a conoscerla. Ho studiato negli Stati Uniti, dove gli studenti finiscono invece per conoscere la storia dell’arte a spot, seguendo un corso sul Rinascimento un altro sul Settecento mentre manca quello che c’è nel mezzo. Questo però da loro la possibilità di un approccio molto più libero, appropriandosi della storia dell’arte, specie di quella del dopoguerra, in modo decisamente più personale, informale. Può essere limitante, si possono prendere cantonate assolute, ma c’è più libertà nell’acquisizione della storia dell’arte, perché non è necessario sapere che prima di Botticelli c’è stato Giotto”. Mi scuso per questa lunga citazione che ritengo utile, a parte la prosa della “direttrice” un po’ così, per capire la mentalità di chi in qualche misura influisce su produzione e consumo dell’arte. In breve per la Bonacossa, non solo non è necessario studiare a fondo il nostro straordinario patrimonio culturale, ma il farlo diventa una sorta di handicap che ci svantaggia di fronte all’ignoranza degli studenti statunitensi. E’ a persone di questo genere che le istituzione affidano la direzione di Enti per l’arte. Traspare una sorta di servilismo culturale purtroppo molto diffuso tra i nostri intellettuali, nonostante la perdita totale di credibilità degli USA dopo le politiche criminali di questi ultimi decenni, continuano a vedere negli Stati Uniti un faro di democrazia, civiltà e cultura. Se a questo si aggiunge l’impronta femminista di matrice USA, abbiamo la cartina di tornasole per valutare le scelte delle “nuove” critiche d’arte”., ormai larga maggioranza. More solito, è sottinteso che la libertà è più importante della conoscenza. Durante i miei corsi alla Pepperdine University a Malibù, CA, ho avuto impressioni diametralmente opposte a quella di Bonacossa. Gli studenti vorrebbero essere guidati alla conoscenza, sono interessati a conoscere a “fondo”, non per spot, la storia dell’arte che in larga misura coincide con la storia del nostro paese. Purtroppo in USA, e non solo, prevalgono soggetti come Arthur C. Danto e George Dickie, seguiti pedissequamente dalla critica europea e da queste nuove leve ai vertici delle istituzioni dell’arte. Il mercato dell’arte è esploso perché la finanza statunitense ha intravisto la possibilità di speculazioni milionarie. Dopo che la merda è diventata oggetto d’arte era inevitabile l’archiviazione del detto:”Il denaro è lo sterco del diavolo” . Dunque, la strada è tracciata. Il percorso produzione – consumo ha il pieno avvallo di chi domina il mondo dell’arte. aaaaaaaaaa-CXON-QUESTO-SEGNO-VINCERIAI

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Arte, produzione, consumo.  0

Se per Nietzsche, agli inizi, il nemico principale era il commediante, per Platone era il mago, lo stregone, l’uomo della metamorfosi, colui che mutava aspetto. Platone aborriva la mutevolezza. Gli egizi avevano una propensione alla statica, era il loro modo per sfuggire alla inevitabile precarietà dell’esistenza. Secoli dopo Kierkegaard esprimeva l’elogio della ripetizione. La nostra epoca è invece ossessionata dall’ansia del nuovo a prescindere da valori e significati possibili. Prevale la ricerca del ludico, in contrasto con una realtà sempre più drammatica. L’arte è gioco. Prediamo sul serio i giocattoli perché non sappiamo cos’è serio e perchè siamo giocattoli noi stessi. Un dipinto si può osservare in molti modi: come rappresentazione di qualcosa che appartiene al mondo o come rappresentazione di qualcosa di invisibile. Comunque lo si voglia definire in entrambi i casi l’opera d’arte appartiene alla mimesi, imitazione che trascende la realtà per dare forma alla sensibilità della quale l’artista fa dono al mondo. Plotino distingueva con nettezza le due visioni. Se un dipinto si riconosce nel sensibile dell’imitazione nasce il pathos , l’emozione che si manifesta in un processo interno a chi guarda. Ma oggi è ancora così? Vi era una cultura popolare abbastanza diffusa che vedeva nell’arte romanica un’arte ingenua, al contrario dell’arte Gotica che si assumeva fosse stata inventata dai teologi. Ma in sostanza l’approccio all’arte, anche se non soprattutto, in epoca di bassa scolarizzazione delle masse, era di carattere contemplativo. Un’arte destinata a raccontare la storia e nutrire l’immaginario. Le sculture romaniche contenevano tracce di rappresentazioni simboliche della storia e del mito. L’elaborazione dei segni equivaleva ad elaborare un linguaggio la cui lettura era resa possibile a diversi livelli. A volte poteva dare l’impressione di una certa rozzezza , di infantilismo grafico che dava forme elementari a pensieri elevati. Inizia dal Gotico la marcia verso ciò che viene chiamato realismo nell’arte figurativa. Si manifesta il dispiegamento di un’abilità manuale che andrà perdendosi, scivolando nella maniera che consiste essenzialmente nel far bene cose delle quali sfugge il significato. Se consideriamo in un’ottica più generale, come chiarisce la bio -fisiologia sull’inevitabile degrado di tutto ciò che vive, la vitalità dell’arte non fa eccezione. Dopo avere raggiunto l’apice nel Rinascimento inizia un percorso di degradazione che consiste in primo luogo nell’ignoranza del significato del proprio agire. Con il prorompente sviluppo del mercato, sarà inevitabile passare il testimone alle classi e ai luoghi in cui il mercato maggiormente prospera. Amstedam, Londra, Parigi, New York approdo inevitabile alla Factory, fabbrica dell’arte che si avvale dei media per propagandare la propria produzione. Siamo ai giorni nostri . aaaaaaaaaaaDali

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Il corpo e il pensiero.  0

Siamo giunti al punto in cui è forse necessario un vero e proprio riposizionamento culturale. La cultura umanistica, anche quando non è accantonata del tutto, è comunque vista come una forma inutile di snobismo culturale, una forma di sapere che non serve alla produzione. La scuola deve preparare al lavoro. Questo è il leitmotiv trasmesso dai media. Il valore della vita umana non può, o non dovrebbe, essere orientato solo alla produzione. Anche l’arte è da tempo entrata in un circuito di produzione-mercato. Le risorse culturali che migliorano la nostra umanità vengono orientate in senso ideologicamente impuro. La cultura ha una posizione ancillare rispetto al mainstreem corrente. La letteratura non è più, come diceva Roland Barthes, “la ricerca della parola giusta”, ma piuttosto la ricerca dell’espediente che suscita curiosità, appare provocatorio. Non conta la forma ma il contenuto. La letteratura ha rinunciato al ruolo di orientamento scegliendo di seguire il pensiero unico, dandone un’interpretazione che trovi il consenso delle masse. L’etica è sicuramente estranea all’orientamento sociale generalizzato. Ne abbiamo conferma ogni volta che accendiamo la tv, apriamo un giornale, seguiamo un network. Vi è l’esibizione di un narcisismo pervasivo. Si discute da tempo sulla funzione del web, se renda stupidi o semplicemente amplifichi la stupidità. Quello di cui non si parla è la ragione per la quale sul web le ragazzine e le loro madri sentano la necessità di esibire la propria anatomia e gli organi genitali, molto più dei maschi. E’ possibile, come scriveva Nietzsche: “ Il ripetersi di esperienze di soli corpi , ci distoglie dal pensiero”. Vi è inoltre la paura della solitudine, incapacità di vivere davvero in modo autonomo la propria vita e quindi, come scrive Nietzsche:” Troppo frettoloso è il solitario nel tendere la mano a colui che incontra”. Anche nell’arte vale lo stesso concetto. Un personaggio come Picasso, che pure era immerso nella mondanità, arrivava a dire:” Senza grande solitudine nessun serio lavoro è possibile”. Ma c’è ancora qualcuno che apprezza un “serio lavoro” nell’arte, nella letteratura, nel teatro? Aggressività e competizione sono la cifra della nostra società priva di riferimenti etici, ma soprattutto priva di pace. Henry James il 28 ottobre 1895 annotò nei suo taccuino un breve incontro con Mrs Procter è l’affermazione di questi:” Nulla è più appagante che stare in compagnia di un libro” . I tempi sono cambiati e i libri pure, ma esistono pur sempre i classici che la maggior parte dei giovani non ha letto, Moby Dick. La commedia umana di Balzac. La vita e le opinioni di Tristram Shandy Gentiluomo. Di Laurence Sterne e un gran numero di altri libri a cui vale la pena di dedicare un po’ di tempo sottraendolo eventualmente a quello speso su network. aaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaS

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