Il linguaggio dell’arte precede la scrittura e trae origine da un sistema di segni che rappresentavano eventi, sentimenti, cose. Quando Champollion riuscì a decifrare la pietra di Rosetta, scoprì che i geroglifici erano una scrittura che aveva radici ermetiche. L’interpretazione della scrittura geroglifica ha dominato la cultura dell’Occidente da Platone fino a Champollion il quale riuscì a dare significato ai simboli e allegorie di una forma di scrittura che può anche esprimere concetti astratti. La scrittura degli Egizi infatti non esprime concetti mediante sillabe aggiunte una all’altra , ma mediante il significato degli oggetti che sono stati copiati e mediante il loro significato figurativo che, per pratica, si è impresso nella memoria. Per esempio, gli Egizi tracciano il segno del falco, per loro significa tutto ciò che accade rapidamente dato che questo animale è la più rapida delle creature alate, il concetto dipinto è quindi trasferito, mediante appropriata metafora, a tutte le cose rapide a tutto ciò che ha proprietà di essere rapido. Il coccodrillo è simbolo di ciò che è male. Per significare il mondo viene rappresentato un serpente ravvolto su se stesso che si morde la coda. Indicano l’anno con il Sole e la Luna che misurano il tempo. Il mese viene rappresentato con ramo. Il fato con una stella, il leone per rappresentare il coraggio, Ibis per indicare il cuore, la fenice per indicare la vicissitudine delle cose. Essi avevano cura di non mostrare le teorie dei sapienti a uomini che giudicavano indegni, sottraevano agli ingegni volgari la comprensione delle cose perché non potessero farne cattivo uso, mentre i saggi potevano comunicare senza bisogno di parole – sine loquela – ma solo attraverso i simboli. Non c’è dubbio che tracciare simboli richiedeva un certa abilità manuale molto affine all’arte, tanto è vero che gli scrivani Egizi erano spesso gli stessi artisti a cui veniva affidata la creazione di sculture di carattere religioso e funerario. Appare evidente il paradossale accostamento, in tema di rappresentazione di segni e figure, tra due universi distanti. La Chiesa Cattolica, avendo rinunciato alla iconoclastia, ha reso possibile la pittura del Rinascimento italiano. Tuttavia la pittura, come tutta l’arte oggettivata, si presta al possesso del singolo, apre la strada al mercato che finisce per svilire l’arte, non solo perché la rende oggetto tra gli oggetti, ma anche perché finisce per affidare al gusto della massa l’evoluzione, o involuzione, della produzione artistica. Esattamente ciò che è avvenuto. La scrittura e l’arte egiziana ha permesso che arrivassero fino a noi le tracce e i simboli della più antica a importante civiltà africana. Mescolandosi all’idea di una filosofia scritta dagli antichi Egiziani sugli obelischi, di una riposta e segreta sapienza sacerdotale velata dalle immagini e comprensibile solo agli iniziati, connettendosi ai temi dell’ermetismo, del neoplatonismo, dell’allegorismo, della letteratura emblematica, alla interpretazione dei geroglifici attraverso gli scritti di Plotino, Orapollo, Marciano Capella, Marsilio Ficino, Francesco Colonna, Pierio Valeriano, Andrea Alciati fino a Athanasius Kircher, questa cultura esoterica, incomprensibile ai non preparati, arriva quasi inalterata fino al XVII secolo. Il riscontro nel mondo dell’arte di questa profonda cultura si riflette nella iconologia così ben indagata da Erwin Panofsky.
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