Scrive Marcuse: “ Un intima necessità distingue l’opera d’arte autentica da quella non autentica, e questa è l’impossibilità di cambiare di una sola riga un singolo suono”. Si tratta certo di una “tirannia della forma”. Tuttavia con ciò non viene meno l’immediatezza dell’espressione, ma solo la falsa immediatezza, falsa nella misura in cui trascina con sé il mondo riflesso di una realtà mistificata.
In difesa della forma estetica,Bertolt Brecht osservava nel 1921: “Mi accorgo di diventare sempre più un classico”. Sono vani tutti gli sforzi esasperati dell’impressionismo per espellere con ogni mezzo certi contenuti banali destinati a diventare prima o poi classici.
Si rimprovera ai classici la sottomissione alla forma mentre in realtà, in un’opera riuscita, è la forma ad essere sottomessa.
In ogni caso, se la tesi di Marcuse è corretta, dovremmo concludere che tre quarti delle opere teatrali classiche sono state cancellate dalla lettura e messa in scena in chiave contemporanea. Significa che l’arte web, che ha la pretesa di attuare una interpretazione in chiave tecnologica di opere classiche, è totalmente negativa.
L’essenzialità, o se si preferisce l’aridità formale di molte opere contemporanee, deriva dalla incapacità di trasfigurazione estetica di una realtà che si fa materia di pensiero.
Alcuni personaggi letterari sono entrati a far parte del nostro immaginario, dei nostri ricordi, abbiamo l’impressione di avere condiviso con loro una parte della nostra vita, la parte immaginaria nella quale loro sono stati protagonisti.
E’ questa creazione di una realtà separata che si radica nella nostra memoria la differenza sostanziale tra l’arte vera e opere che sono solo frutto di velleità concettuali, facili ricorsi alla ormai inutile provocazione.
L’arte è parte di un gioco linguistico le cui regole sono costantemente violate in una prassi che contrasta lo spirito di Wittgenstein quando sostiene che padroneggiare il linguaggio è base di una corretta comunicazione. La filosofia dovrebbe stabilire un legame tra ciò che è dipinto e ciò che è pensato. Non a caso il linguaggio del segno finisce per dover ricorrere a una narrazione verbale, un’ermeneutica che altro non è se non una forzata attribuzione di significato.
Già ai primordi della filosofia, l’ontologia di Eraclito, il lessico dei sofisti, nell’offrire l’abbrivio alla elaborazione del pensiero filosofico hanno creato le basi per la conoscenza.
Aristotele raccoglie e amplifica il pensiero di Eracle l’oscuro, in uno spazio di riflessione dialettica nella quale include gran parte del sapere dell’epoca in cui visse. Il suo impegno gli valse il titolo di: maestro di coloro che sanno.
L’arte moderna è lontana anni luce dalla profondità di pensiero che ha articolato la storia della evoluzione culturale. Con supponenza gli artisti hanno attuata un cesura con il sapere “inutile”, secondo la definizione di Bertrand Russell, ed hanno optato per la tecnologia finendo per diventare una parodia triste, priva di vera capacità creativa, adagiata sulla pretesa apodittica di chi attribuisce a se stesso lo status di artista e si attribuisce capacità che non possiede. Purtroppo nel vuoto culturale del nostro tempo tutto viene accolto e celebrato per ragioni che sarebbe forse interessante quanto inutile indagare.
Scrive Max Scheler :”L’uomo contemporaneo tende a trascendere se stesso in quanto essere naturale, in questo modo avvia l’estinzione della civiltà come è andata configurandosi nei millenni”.
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