Coloro che pretendono di annullare ogni principio etico, si appellano al fatto che in natura la morale non esiste, pertanto la morale è un’invenzione umana. Su questo tema ci sarebbe molto da dire, potrebbero farlo gli etologi, spiegando, ad esempio, perché in quasi ogni specie animale accade che le femmine si prendano cura di cuccioli che non hanno partorito. Perché gli animali si affezionano all’uomo fino a lasciarsi morire sulla tomba del loro “padrone”. A questo punto rischiamo di inoltrarci in un campo nel quale non siamo competenti. Prendendo per buona la tesi secondo cui la morale non esiste in natura, non possiamo fare a meno di rilevare che in natura prevale la legge del più forte. La madre della gazzella sbranata dal leone non ha modo di protestare, così la rana divorata dal serpente, nèe il serpente ucciso e mangiato dall’uccello rapace. Quindi l’assenza di morale ha delle conseguenze che noi non siamo disposti ad accettare. La legge morale infatti è andata configurandosi allo scopo di tenere a bada gli istinti animali che esistono anche negli esseri umani, anche noi apparteniamo al regno animale. L’effetto evolutivo non ha ridotto la tendenza ad atteggiamenti viziosi della natura umana, spesso accentuati dal pensiero. La correttezza delle morfologie umane nell’evoluzione, le premesse antropologiche, dimostrano che l’uomo, nel corso dei millenni, ha costruito una cultura e delle istituzioni al fine di tenere a bada gli aspetti deteriori della propria natura. L’Homo Sapiens è un essere ibrido, viziato a livello basale, facilmente portato alla deriva della trasformazione in homo pauper. Il pessimismo antropologico ha lasciato spazio alla vertigine tecnologica, nella convinzione di poter avere assoluto controllo su tutto. In realtà sappiamo bene che non è così. Siamo consapevoli che la natura umana è dotata di molteplici possibilità di adattamento, ma anche eccessivamente impressionabile. Essa si trova quindi di fronte a uno spettro estremamente ampio di opzioni d’azione che possono divergere. Dal valore medio per raggiungere l’inverosimile nell’arte e nella ascesi, oppure abbandonarsi agli eccessi sessuali o al crimine. Dobbiamo dunque chiederci: cos’è che indirizza la scelta? Gehlen ha presentato l’uomo nel suo aspetto primario, elementare. L’antropologo osserva con inquietudine la deregulation delle esistenze artistiche nelle sottoculture anarchiche del XX secolo. Se l’anarchismo degli artisti dovesse fare scuola e generalizzarsi, la riproduzione simbolica della società e delle sue istituzioni, teme Gehlen, avrebbe termine molto rapidamente. Come il grande inquisitore di Dostoevskij, l’antropologo è persuaso che la libertà eccessiva, non solo condurrebbe a un’entropia sociale difficilmente governabile, ma, a ragione dell’assenza di principi etici, si ripristinerebbero le leggi di natura, quindi un accentuato darwinismo sociale.
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