Archives for : febbraio 2025

La commedia degli errori.  0

La banalizzazione dell’arte e la sua tecnologicizzazione tradiscono il pensiero creativo nella sua realtà. Viene meno  l’affermazione del matematico del seicento Isaac Barrow : “Gli occhi della mente vedono più di quelli del corpo”.

Non corrispondono al vero molti luoghi comuni relativi all’arte, in primis l’idea che l’artista sia l’unico guidato dalla fantasia. La storia riporta grandi imprese attuate da personaggi che erano sognatori e scienziati. Colombo suppose che a Occidente esistesse una terra sconosciuta e in base a questa sua intuizione, nel 1492, affrontò un viaggio verso l’incognito, superando la soglia di quella che gli antichi indicavano al confine dell’oceano con la scritta: “Hic sunt leones”.

Galileo inventò i suoi atomi assolutamente indivisibili.

Leverrier immaginò un pianeta invisibile per spiegare l’orbita di Urano.

All’origine della razionalità scientifica non vi sono dunque solo “tecnici sapienti” o scienziati baconiani, ma persone che alla grande cultura uniscono un altrettanto grande fantasia creativa grazie alla quale hanno saputo immaginare mondi che hanno ampliata la conoscenza umana.

Finito e infinito hanno rappresentato problemi all’apparenza futili  alla cui base ci celavano le chiavi capaci di aprire mondi sconfinati.

La crescita della conoscenza ha comportato l’abbandono di luoghi comuni e credenze radicate nei secoli, cambiando gradatamente il mondo intorno a noi. Nulla del genere ha fatto l’arte. L’enfasi declamatoria alla quale l’arte è stata fatta oggetto, non è che retorica priva di costrutto. Certa critica appare la rappresentazione di una commedia degli errori, e sembra tendere alla canonizzazione dell’arte. Processo che inizia cambiando il nome alle cose.

L’arte  esprime la struttura dei corpi e delle cose, un tempo  rappresentava il bello della natura e di molti aspetti umani. Nel momento in cui l’artista, con un atto di supponenza e presunzione, ha creduto di dare forma alla “filosofia”, al “concetto”, l’arte si è avviata alla deriva, racchiusa nei limiti di fantasiose nevrosi creative nel tentativo, raramente riuscito, di dare alla bruttezza un significato di trascendente di poesia. Ha una certa base di verità l’affermazione di Aristotele secondo  cui “La pittura rende gradevole anche ciò che è brutto”.Ma, va precisato; solo nel caso vi sia una grande tecnica pittorica e capacità di dar senso a ciò che è rappresentato. Difficile immaginare tale processo quando il ready made di un pollo,diventa un’innovativa opera d’arte, è il caso di un opera che l’artista belga Koen Vanmeche ha presentata alla Biennale di Venezia.

Forse il gioco delle astrazioni non è dissimile da un racconto di spettri tenuto conto che  ogni  mutamento concettuale non è che la sostituzione di un fantasma con un altro, sul filo del libero pensiero. Quanto più solido ben definito e splendido è ciò che un impetuoso intelletto sa creare, tanto più la  vita trova il percorso per sfuggire verso la libertà.

 

 

 

Occhi di Budda

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Estetica dell’esistenza.  0

Se il mondo è una sorta di gioco estetico e tragico costituito dalla lotta tra gli opposti primordiali vita morte gioia dolore, può essere, secondo Nietzsche, che solo l’arte riesca a comprendere veramente il mondo al punto che egli parla di giustificazione estetica dell’esistenza, da ciò la natura metafisica dell’arte e la sua funzione di organo della filosofia

Nietzsche formula i suoi giudizi fondamentali sull’essere con le categorie dell’estetica che danno al suo scritto  “La nascita della tragedia” un carattere romantico. Egli la definisce metafisica da artista. La sua enfasi è tale che arriva a considerare il fenomeno dell’arte posto al centro e, a partire da esso, viene spiegato il mondo.

Scendendo dall’apogeo della fantasia di Nietzsche guardiamo i fenomeni artisti contemporanei non possiamo che provare cocenti delusioni.

Avevo una  certa simpatia per Kippenberger, meno per il suo lavoro. Appariva come un Boetti tedesco, con più cultura e meno fantasia. Un eliotropo. Soprattutto Kippenberger può essere una  conferma al paradosso dell’arte, contrapposta alla visione di Nietzsche.

In ogni ambito di attività si procede per successive acquisizioni in una continua evoluzione. Nell’ambito dell’arte invece, gli artisti che pretendono di azzerare il passato, sono quelli che hanno più successo. Resta invece intangibile l’idea che l’artista sia sempre e comunque guidato dall’ispirazione” nell’ accentuazione positiva. E’ in questo paradosso che s’insinua il mercato per dare una sorta di consacrazione,che raramente ha ragioni culturali. Gli artisti sembrano affannarsi a smentire l’affermazione di Dalgarno “ Ubi ars ibi methodus”. Nè vale l’ipotesi che capovolge la tesi di Nietzsche e sostiene che l’arte è un gioco. Questo perché il gioco, la sfera del gioco, coltiva la passione della regola, basti pensare che Pascal con la teoria del gioco ha realizzato teoremi matematici che hanno portato alla matematica attuariale. L’estasi del gioco dunque,non deriva da una situazione di sogno in cui ci si muove senza il peso del reale, liberi di abbandonare il gioco in ogni momento, affermarlo è falso. Il gioco è sottoposto a regole e, al contrario del sogno, non lo si abbandona tanto facilmente. L’artista può scegliere di dare un proprio ordine al reale o abbandonarsi al sogno. di certo non può fare tutte e due le cose. Come scriveva Baudrillard “la scelta della regole libera dalla legge”. Giocare è esattamente l’opposto di creare. Lo prova il fatto che moltissimi artisti contemporanei fanno spesso ricorso al ready made, il loro gioco è raccolta, contravvenendo alla stessa etimologia del sostantivo arte. Abbandonata l’estetica e il significato, resta il gioco che la rozza cultura contemporanea confonde con l’arte.

 

 

Immagine : Variazioni pericolose.

 

 

 

 

 

 

 

 

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La disumanizzazione dell’uomo.  0

La disumanizzazione è in larga misura conseguenza della sviluppo tecnologico. Nella conferenza del 1933 sulla “Questione della tecnica”  Heidegger era giunto a conclusioni chiarissime: “La scienza moderna deifica le cose in oggettualità e falsifica l’Essere, mentre la tecnica manuale,  del mondo antico, non fabbricava, ma disvelava, conducendo le cose  verso il compimento della pienezza. Come l’arte e tutto ciò che, senza remore e astruse giustificazioni, celebrava il bello”.

La tecnica nel mondo moderno ha caratteristiche opposte: è violenza esercitata sull’Essere dall’esistente, una violenza che “provoca per produrre”, che oscura il mondo invece di risvegliarlo alla verità. L’uomo moderno è un essere “insurrezionale” : nell’uccisione di ogni spiritualità trovano il loro compimento la presa del potere da parte della tecnica. Schiavitù, oppressione, sfruttamento, disumanizzazione non dipendono solo dall’organizzazione della società, dall’uso della scienza e della tecnica, dalla proprietà  dei mezzi di produzione,dal capovolgimento della gerarchia dei valori che nasce sulla base dei rapporti tra esseri umani, ma sono irrimediabilmente connessi all’impresa , prometeica, di una conquista e assoggettamento del mondo naturale. L’Eclisse della ragione  di Horkheimer è del 1947, ma le conclusioni non sono differenti. “Nel dominio della natura  – scrive il sociologo di Francoforte – è incluso il dominio sull’uomo”. D’altro lato la scienza moderna si identifica con una forma d’imperialismo , nasce e si sviluppa da un empio desiderio di dominio, i suoi metodi e le sue categorie  sono frutto della insaziabilità umana, sono prodotti della lotta dell’uomo contro l’uomo, della volontà sopraffattrice: “La natura è oggetto di uno sfruttamento totale, la sete di potere dell’uomo è insaziabile”. Nelle guerre in atto, Palestina, Ucraina, Siria, vediamo all’opera sofisticati strumenti di morte che l’uomo ha messo a punto avvalendosi della scienza. La stessa scienza che non è riuscita a eliminare la fame nel mondo e portare l’acqua dove è necessaria per la sopravvivenza di milioni di persone.  Il dominio nefasto della razza umana sul pianeta Terra  non trova paralleli in nessuna epoca della storia naturale in cui altre specie animali rappresentavano le più alte forme di vita poiché gli appetiti di quelle razze animali erano limitati dalla necessità della loro esistenza fisica.

I risultati raggiunti, non hanno ridotto lo slancio della scienza e della tecnica.  L’organizzazione capitalistica della scienza in generale, non è necessariamente legata alla natura politica. L’orientamento capitalistico è dominato dalla volontà di trarre il massimo profitto da ogni azione umana guerre incluse, si possono denunciare i fatti, ma purtroppo non succederà mai che l’essere umano sia altro da se. E’ per questo che hanno poco senso le accuse rivolte a Galileo e agli altri precursori della rivoluzione scientifica, come Bacone che subì pensanti accuse da parte di Da Maistre e da Leibig. Come ricorda Lowith il motto della scienza moderna è il baconiano “sapere è potere”. Il discorso riaffiora distorto anche dalle tesi di alcuni filosofi marxisti. Karel Kosik, per citarne uno, ha sicuramente ragione nel polemizzare contro quelle forme di scientismo che sono solo prodotti complementari alle varie tendenze irrazionalistiche. L’assenza di valori, è stata ed è, teorizzata a priori come espressione di libertà svincolata dall’etica. Essa  ha cause che non sono tanto da ricercare nei rapporti sociali, ma nella “efficacia” e nella “utilità”, nel processo puramente intellettuale  della scienza che trasforma gli esseri umani in unità astratte, la pretesa dell’uomo di comprendere se stesso astraendo dalla proprio soggettività, nella matematizzazione, e  quantificazione, nella ragione qual’è concepita da Bacone, Cartesio, Galilei e gli autori dell’Encyclopédie.

Dea ragione 500

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