La banalizzazione dell’arte e la sua tecnologicizzazione tradiscono il pensiero creativo nella sua realtà. Viene meno l’affermazione del matematico del seicento Isaac Barrow : “Gli occhi della mente vedono più di quelli del corpo”.
Non corrispondono al vero molti luoghi comuni relativi all’arte, in primis l’idea che l’artista sia l’unico guidato dalla fantasia. La storia riporta grandi imprese attuate da personaggi che erano sognatori e scienziati. Colombo suppose che a Occidente esistesse una terra sconosciuta e in base a questa sua intuizione, nel 1492, affrontò un viaggio verso l’incognito, superando la soglia di quella che gli antichi indicavano al confine dell’oceano con la scritta: “Hic sunt leones”.
Galileo inventò i suoi atomi assolutamente indivisibili.
Leverrier immaginò un pianeta invisibile per spiegare l’orbita di Urano.
All’origine della razionalità scientifica non vi sono dunque solo “tecnici sapienti” o scienziati baconiani, ma persone che alla grande cultura uniscono un altrettanto grande fantasia creativa grazie alla quale hanno saputo immaginare mondi che hanno ampliata la conoscenza umana.
Finito e infinito hanno rappresentato problemi all’apparenza futili alla cui base ci celavano le chiavi capaci di aprire mondi sconfinati.
La crescita della conoscenza ha comportato l’abbandono di luoghi comuni e credenze radicate nei secoli, cambiando gradatamente il mondo intorno a noi. Nulla del genere ha fatto l’arte. L’enfasi declamatoria alla quale l’arte è stata fatta oggetto, non è che retorica priva di costrutto. Certa critica appare la rappresentazione di una commedia degli errori, e sembra tendere alla canonizzazione dell’arte. Processo che inizia cambiando il nome alle cose.
L’arte esprime la struttura dei corpi e delle cose, un tempo rappresentava il bello della natura e di molti aspetti umani. Nel momento in cui l’artista, con un atto di supponenza e presunzione, ha creduto di dare forma alla “filosofia”, al “concetto”, l’arte si è avviata alla deriva, racchiusa nei limiti di fantasiose nevrosi creative nel tentativo, raramente riuscito, di dare alla bruttezza un significato di trascendente di poesia. Ha una certa base di verità l’affermazione di Aristotele secondo cui “La pittura rende gradevole anche ciò che è brutto”.Ma, va precisato; solo nel caso vi sia una grande tecnica pittorica e capacità di dar senso a ciò che è rappresentato. Difficile immaginare tale processo quando il ready made di un pollo,diventa un’innovativa opera d’arte, è il caso di un opera che l’artista belga Koen Vanmeche ha presentata alla Biennale di Venezia.
Forse il gioco delle astrazioni non è dissimile da un racconto di spettri tenuto conto che ogni mutamento concettuale non è che la sostituzione di un fantasma con un altro, sul filo del libero pensiero. Quanto più solido ben definito e splendido è ciò che un impetuoso intelletto sa creare, tanto più la vita trova il percorso per sfuggire verso la libertà.
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