Consumi compulsivi e arte-ecologica.  0

Il percorso creativo degli Artisti Eco-Green si è arenato in California. Incendi e alluvioni che hanno devastata la regione hanno indotto a riflessioni sulla effettiva possibilità di salvare il pianeta.

Al di là di azioni artistiche provocatorie, un’attenta valutazione della situazione attuale fa emergere la realtà di un sistema economico globale prigioniero di una serie di  contraddizioni.

Mentre da un lato vi è l’assillo dell’inquinamento delle automobile, specie in Europa, dove sembra essersi scatenata una sorta di isteria green che arriva a chiedere l’abbattimento dei  bovini  e suggerire di nutrirci di grilli e carne sintetica, d’altro lato non solo si trascurano ben più gravi forme d’inquinamento, ma sollecitando il consumo si aumentano le occasioni di danni all’eco sistema.

Consideriamo che solo negli Stati Uniti esistono ben 1.200 società televisive le quali  devono la loro  sopravvivenza  alla pubblicità il cui scopo è stimolare il consumo, soprattutto consumi superflui,  che causano inquinamento ambientale.

Il consumo di cosmetici ad esempio, negli  USA ammonta a 34 miliardi all’anno. In Italia, tenuto conto del numero di abitanti, la spesa è maggiore, ammonta infatti a 15 miliardi.

Nel 2022 in Italia ci sono stati 56.624  decolli aerei di trasporto passeggeri privati, 262.000 in un solo giorno in tutto il mondo, inutile sottolineare l’imponente inquinamento che lo scarico degli aerei provoca.

Di fronte a questa realtà, l’arte eco-green appare una puntura di spillo con scarsa  possibilità di indurre al contenimento dei consumi, soprattutto sul còtè femminile, anche perché l’ eco – arte comprende una ridotta frangia di artisti, poca cosa  rispetto alla grandissima maggioranza che realizza arte il cui unico riferimento è il mercato, cioè semplice oggetto di consumo. La scelta  è ampia, dai nani da giardino al porno.

Forse sarebbe necessaria, una propedeutica ecologia della mente, come suggeriva il libro di Gregory Bateson  “ Verso un ecologia della mente” pubblicato nel lontano 1972 epoca nella quale sembrava ancora possibile mantenere  la civiltà nell’alveo dell’umano sentire.

Si è scelto di lasciare spazio all’egoismo individuale, in questo modo si è caduti nella trappola della libertà di consumo, che è l’opposto del concetto di vera libertà. Siamo finiti succubi di consumi superflui, se non nocivi, che hanno inciso anche sui rapporti personali. “Si aggrediscono e si amano come si ama il cibo: per consumarsi”.(Agostino, Confessioni).

Sono stati accantonati i sogni e la fantasia, l’arte, rinunciando all’esperienza creativa in cui la mente cosciente ha solo una piccola parte.

Piccoli pale3stinesi

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Esibizione di ciò che non esiste.  0

La società contemporanea è stata definita in molti modi, ma forse nessuna definizione è calzante come la civiltà dello sguardo, dell’apparenza. La comunicazione, cinema, tv, internet, un rutilante circo di rumori, informazioni, immagini. Giovani e meno giovani, hanno nelle orecchie apparecchi che trasmettono musica, quando non parlano al telefono camminando in luoghi affollati. La domanda che ci si dovrebbe porre è : resta il tempo per pensare? Resiste la propensione a pensare?

Rumori e immagini. La fotografia, medium bizzarro, nuova forma di allucinazione: falsa il livello della percezione vera, a livello del tempo. Evoluta in forme nelle quali il passaggio alla realtà alla virtualità avviene senza soluzione di continuità. L’ingenuo trompe- l’oeil della pittura,  con l’avvento della tecnica è diventato evidenza inconfutabile. Quando Bush volle invadere l’Iraq, mandò il segretario di Stato all’UN ad esibire filmati, fotografie, per provare ciò che nella realtà non esisteva. I miti di oggi sono alimentati dalle visioni, che  tv e cinema riversano nelle nostre case. Tutti noi ci abituiamo all’inganno, la società dell’apparenza. L’esibizione di ciò che non esiste assume a tratti forme di crudeltà. La maggior parte delle persone vivono in case anguste, in zone non esattamente paradisiache, mentre i personaggi della tv, i protagonisti di spot, vivono in luoghi di sogno, in giardini e paesaggi incantevoli. L’inganno è prassi, abituale forma di comunicazione,  strumento di convinzione, viene usato non solo dalla pubblicità allo scopo di vedere oggetti e sogni impossibili, anche la politica ricorre all’inganno, alla persuasione ingannevole. Lo sport è più visto che praticato, così come il sesso. Si piange e si ride per interposta persona, i personaggi della tv e del cinema vivono per noi emozioni che a noi, comuni mortali, sono interdette. E’ smentito Leibniz che affermava: non si possono applicare allo stesso tempo due predicati contradditori. Ciò che avviene sulla scena ha connotati di realtà, assistiamo a scene di  sesso, ad omicidi, folli corse in  automobili, tutto appare reale, nulla è reale. La vittima si rialza pronta per un’altra scena di morte o di sesso, per nulla coinvolta. L’assassino, nella prossima recita, sarà un prete buono, la prostituta una mamma dedita ai figli. Pur sapendo tutto questo noi spettatori ci lasciamo coinvolgere. Mentre guardiamo, spesso con indifferenza, le penose scene che invadono la realtà quotidiana, ci commuoviamo fino alla lacrime nella finzione. E’ nota la barzelletta del bifolco che sale inferocito sulla scena per strappare Desdemona dalle mani del nero che vuole ucciderla. Rumori e finzioni, anche se non ne siamo consapevoli, incidono sulla  nostra percezione della realtà con conseguenze non prevedibili, ma  certo non positive.Minica-Zawadzki-500

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Provocare per produrre  0

Sulla questione della tecnica, Heidegger nel 1933 era giunto a conclusioni chiarissime. La scienza “ deifica le cose in oggetti e falsifica l’Essere”. La filosofia greca collega i termini che designano “il potersi ritrovare in qualcosa, e il potersi riconoscere in essa”. La tecnica, nel mondo antico, non fabbrica, ma disvela, conducendo le cose verso il compimento della loro pienezza. La tecnica del mondo moderno ha caratteristiche opposte: è violenza esercitata sull’Essere  dell’esistente, una violenza  che “provoca per produrre”, che oscura il mondo invece che risvegliarlo. L’uomo moderno è un essere “insurrezionale”: nell’uccisione di dio trovano il loro compimento la metafisica e la presa del potere da parte della tecnica. Oppressione, sfruttamento, disumanizzazione, non dipendono dall’organizzazione della società, dall’uso della scienza e delle tecnica, dalla proprietà dei mezzi di produzione, dalla gerarchia dei valori che nasce sulla base dei rapporti fra gli uomini, ma sono irrimediabilmente connessi all’impresa, diabolica e prometeica, di una conquista e di un assoggettamento del mondo naturale. Nel libro “Eclissi della ragione”  pubblicato da  Horheimer, nel 1947, a proposito del dominio della natura,le conclusioni sono le stesse. “Nel dominio della natura  – scrive il sociologo di Francoforte – è incluso il dominio dell’uomo”. D’altro lato, la scienza moderna si identifica  con una forma di imperialismo, nasce  e si sviluppa da un empio desiderio di dominio, i suoi metodi e le sue categorie scaturiscono dalla insaziabilità della specie umana, sono i prodotti della lotta dell’uomo contro l’uomo, della volontà sopraffattrice: “ La natura è oggetto di uno sfruttamento totale, la sete di potere dell’uomo è insaziabile. Il dominio della razza umana sulla terra non trova paralleli in nessun’altra epoca storica. Non a caso la distruzione dell’ecosistema ha raggiunto livelli impensabili. Non serve a porre un argine alla sterile felicità di conoscere giudicata lasciva da Bacone come da Lutero.Il motto della scienza moderna, il baconiano “sapere è potere” si è rivelato inadeguato. L’agire razionale significa disincanto del mondo, ma non offre soluzioni, come sosteneva Lowith alla incontenibile bramosia umana. Da cosa dipende l’assenza di valori, la mancata interrogazione sul significato dei valori. Per Kosik non ci sono dubbi: le cause non sono solo.  nella società e nei rapporti sociali, ma nella “efficacia” e nella “utilità”, nel processo puramente intellettuale della scienza che trasforma l’uomo in una unità astratta, nella pretesa dell’uomo di comprender se stesso astraendo dalla propria soggettività, nella materializzazione, nella quantificazione, nella ragione quale fu concepita da Bacone, da Cartesio, da Galilei e dagli autori dell’Encyclopédie, in questo processo alienante l’arte è partecipe. Quello che oggi viene definito “relativismo morale, ha radici lontane nel tempo.

 

Simulation de l'affiche du spectacle "Bosch, Brueghel, Arcimbold

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Quando la storia prende forma  0

Quando la storia prende forma, le arti e l’interpretazione dei classici giocano un ruolo decisivo  nella costruzione del pensiero sociale. Non solo gli storici della scienza, ma anche gli storici dell’arte, Berenson per esempio, ha riconosciuto che i pittori fiorentini hanno una parte nella storia sociale e nella scienza occidentale. Questo è stato vero fintanto che l’ideologia non è diventata l’ispiratrice di molta arte a partire dalla fine dell’800. Paul Hazard aveva già anticipata la tendenza in atto con il saggio “ “La crisi della coscienza europea”. Le distinzioni fra nazioni, fra momenti diversi dell’evoluzione storica formano lo spirito del tempo e danno significati a riferimenti a tradizioni, a quelli che chiamiamo valori. Per cultura del tempo s’intende il pensiero collettivo dominante. Tuttavia il progresso non avviene per il contributo uniforme, ma per la genialità di alcuni individui dotati di capacità di mettere al posto giusto, come in un  puzzle le varie conoscenze. Scriveva Houston Steward Chamberlain “ …..negli abissi marini dove non filtra la luce, esistono pesci che rischiarano elettricamente quel mondo oscuro; alla stessa stregua, la buia notte della nostra conoscenza è illuminata dalla luce del genio…”. Diceva Wainewright “Nel campo dell’arte ciò che è degno di essere fatto, deve essere fatto bene”. Tra le opere di William Blake, una delle più belle è “Canti dell’innocenza e dell’esperienza”. In cui esprime in forma sublime la tensione verso ciò che dovrebbe essere l’aspirazione di ogni artista: rappresentare ciò che il linguaggio ordinario non riesce ad esprimere. Un ideale è tale perché non alla portata delle nostre normali possibilità. Lo sapevano  Alain Charter, Ronsard, Keats, Shelly, gli elisabettiani, Chaucer, Chapman, come il grande poeta italiano Petrarca. Sembra che oggi la bellezza, essendo realizzabile con strumenti tecnici nella sua forma esteriore, sia  aborrita dagli artisti. Prevale la tesi che ciò che è brutto è significante, ciò che è bello è banale.    Leonardo

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La forma inutile.  0

Partendo dal presupposto che la classificazione,descrizione dell’oggetto non attribuiscono significato,come  giustamente sostiene Carlo Michelstaedter in “La persuasione e la retorica”., se ne deduce che storia, critica e filosofia dell’arte ruotano semplicemente intorno alle apparenza dell’oggetto  considerato opera d’arte, fermandosi inevitabilmente alla superficie. E’ un altro argomento a sostegno della diffidenza di Platone nei confronti dell’arte.

La distinzione tra forma, o estetica, e significato comporta un inevitabile rimescolamento ontologico per sfuggire al quale le avanguardie, e la critica di supporto, hanno ritenuto necessario abolire l’estetico, il bello, nella apodittica  convinzione che fosse sufficiente immaginare un significato, per così dire concettuale.

In realtà non è sufficiente che una forma, un segno, rappresentino qualcosa, è necessario che ciò che rappresentano abbia un qualche valore attinente a cultura o storia, i nani da giardino rappresentano nani da giardino, cioè turismi formali.

Erwin Panofsky c’insegnò a leggere i vari aspetti rappresentativi di un opera e il richiamo dell’artista alla realtà storica nella quale l’opera è collocarla.

Questo era possibile quando la cultura dell’autore gli  consentiva di creare un opera il cui contenuto comunicativo era di  vasto raggio.

Sicuramente vi era ancora un oncia di ottimismo quando Hegel, dopo aver decretata la morte dell’arte, scriveva: “Si può sperare che l’arte torni a innalzarsi e perfezionarsi , ma oggi la sua forma ha cessato di esprimere il bisogno supremo dello spirito”.

Come scriveva Fontanelle, al tempo di Omero gli alberi non erano diversi di come sono oggi, diverso è lo sguardo con cui li osserviamo.

PHOTO REPERTORY - COMMISSIONER LUIGI CALABRESI

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Creatività e sovraopposizioni mentale.  0

Quando un romanziere,o un artista, prendono contemporaneamente in considerazione vari modi possibili per realizzare una storia, un’opera, si crea per così dire una sorta di sovrapposizione  di stati mentali legati allo sviluppo di concetti. Se il romanzo viene messo per iscritto, l’opera realizzata, non per questo nel cervello dell’autore cessa la considerazione di ipotesi alternative, tanto che spesso uno scrittore, un artista, dichiarano di essere partiti con un’idea per poi approdare a un risultato diverso. Sembrerebbe  fuori luogo chiedere all’autore quale delle ipotesi che aveva formulato fosse la più autentica. Sarebbe impossibile all’artista dare una risposta, per la semplice ragione che non la conosce egli stesso. Vi è quella di Douglas R. Hofstadter  che definisce la funzione d’onda universale che bisognerebbe pensare come mente, una mente, o cervello, universale che stà in cielo, Dio, in cui tutte le diramazioni possibili vengono considerate  contemporaneamente. Noi saremmo, secondo Hofstadter, semplici sottosistemi del cervello di Dio. Hofstadter non è un ecclesiastico, ma  docente all’Indiana University di Computer Scienze, ovvero di intelligenza artificiale, quanto di più lontano dalla mistica religiosa. Tuttavia egli pensa, come Einstein, che il cervello di Dio si evolve deterministicamente e senza scosse .Il fisico Paul Davies, scrivendo su questo argomento nel suo libro “Other Worlds” dice : “ La nostra coscienza ordisce un sentiero, a caso lungo il cammino evolutivo del cosmo, che sempre si ramifica, dunque siamo noi che giochiamo a dadi con Dio”. Ciò non di meno resta inevasa la risposta  all’enigma fondamentale che ciascuno di noi si dovrebbe porre: “ Perché la sensazione unitaria che ho di me stesso si propaga lungo una diramazione non un’altra? “ In altre parole perché il caso ha una parte così rilevante nella vita e nell’evoluzione? Quale legge soggiace alle leggi casuali  che determinano le mie scelte?  Jacques Monod, affrontò la questione sotto l’aspetto della microbiologia che soprassiede lo sviluppo delle forme di vita organiche, anch’egli ovviamente non conseguì alcuna certezza. Il problema è così basilare e importante che si può dire sia alla base di ogni forma di riflessione filosofica e religiosa. Solo l’ottusa superstizione nutrita di “dotta ignoranza” può indurre a formulare conclusioni definitive. Neppure la meccanica quantistica  è riuscita ad aiutarci a capire. Non solo la risposta non sembra poter scaturire dalla meccanica quantistica: anzi questo è esattamente il collasso dell’onda che ricompare dalla finestra dopo che Everett l’aveva cacciato dalla porta. Si può sprofondare ancora di più nell’abisso del paradosso quando ci si rende conto che vi sono diramazioni di un’unica funzione d’onda universale che sfugge, come altre cose, al nostro controllo. Esserne consapevoli è un primo passo che, se non arricchisce la nostra conoscenza ci aiuta ad avere maggiore serenità e umiltà.     TUSMANI 500

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L’arte nega che se stessa-  0

 

Secondo Heidegger: “ il tratto fondamentale del Mondo Moderno è la conquista del mondo risolto in immagine”. In breve, il ricorso all’apparenza. Nella nostra rutilante e rumorosa civiltà, il problema del nulla non è d’attualità, tuttavia resta uno dei tanti problemi  irrisolti diventato argomento per umoristi.

A ben vedere l’arte ha celebrato in vario modo il nichilismo negando innanzi tutto se stessa. Dal quadrato nero di Kazimir Malevich, ai barattoli di Piero Manzoni.

Vi è una certa contiguità tra esistenzialismo e nichilismo  come dimostra  quello che è considerato un caposaldo imprescindibile della filosofia contemporanea, “L’essere e il nulla”,di Jean-Paul Sartre,   storico manifesto dell’esistenzialismo francese, che fin dalla sua prima comparsa nel 1943, si è subito imposto come il testo necessario per chiunque voglia scoprire la forza e l’angoscia suscitate dalla libertà.

In contrasto con la lunga tradizione speculativa della filosofia occidentale, Sartre con coraggio  afferma che l’uomo non è definibile proprio perché al suo principio non è niente, solo col tempo sarà. L’uomo infatti non è altro da ciò che fa, non è nient’altro di quello che progetta di essere: l’esistenza precede sempre l’essenza. Con queste asserzioni il filosofo parigino ci restituisce una nuova idea di umanità. Affermare che l’esistenza precede l’essenza significa affermare che non esiste una natura umana, un’idea a priori di umanità alla quale l’uomo dovrebbe conformarsi per essere un uomo, che nessuna essenza universale può precedere l’esistenza singolare. Per Sartre, il valore dell’esistenza dipende esclusivamente da quello che essa saprà fare di se stessa, dunque dai suoi atti, dalla sua responsabilità. La libertà si rivelerà in ogni sua azione, in ogni suo momento.

La nostra comprensione intellettuale deve saper  sollevarsi fino alla autorità della ragione e non dovrebbe venire scossa dal alcun impulso emotivo o fisico.

Se volessimo vedere la questione sotto l’aspetto di  fiaba diremmo; c’era una volta nell’XI secolo Fredegiso di Tours, allievo del sapiente Alcuino la cui fama nei secoli  cosiddetti bui del Medioevo è legata principalmente a un epistola nella quale lo studioso sosteneva che il nulla non può non essere qualcosa di reale. La sua tesi fu liquidata sprezzantemente da De Wulf come insieme di “infantili sofismi”.

Studiosi più recenti sono stati più clementi. Il filosofo Ludovico Geymonat nel 1952 osservava: pare più facile sorridere della soluzione di Fredegiso che non trovarne un’altra di maggiore consistenza dato che egli ci pone una domanda piuttosto imbarazzante: se il nulla sia qualcosa oppure no.

Quando usiamo la parola “nulla” per noi ha un significato determinato che implica spesso semplicemente assenza di significato. Infatti il nichilismo  dell’arte si riverbera in opere che esprimono aspetti della negatività, ovvero sono una sorta di celebrazione del nichilismo.Svuotare il nulla

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Materializzare i pensieri.  0

In  “ Storia della follia nell’età classica” Foucault cita l’affermazione di una paziente: “ Chi legge i libri non è cosi pazzo come chi li scrive”. Forse questo vale in modo particolare per molte  pubblicazioni che hanno per tema l’arte, essendo, per definizione, attività che non può essere codificata, si presta maggiormente alla elaborazione di teorie prive di fondamento logico, ovvero estranee ad ogni  ermeneutica- ontologica. Le diffuse generalizzazioni sulla natura dell’arte, sembrano esimere dall’affrontare il problema. Il “filosofo” statunitense Artur C. Danto , ha pubblicato  “La destituzione filosofica dell’arte”,e  “ Dopo la fine dell’Arte. Il confine della storia”. Due titoli altisonanti per un contenuto che con un eufemismo si può  definire povero. Da un lato vi è una sopravalutazione di ciò che è l’arte, dall’altro l’eccessiva semplificazione della produzione artistica che, essendo estremamente  diversificata, difficilmente può essere contenuta in una unica definizione.

Da oltre un secolo l’arte è  campo di battaglie per le più disparate controversie, una sorta di guerra le cui vittime sono i significati. Dal cabaret Voltaire, alla folta schiera dei nipotini di Duchamp, è tutto un infittirsi di teorie e dispute al capezzale dell’arte in agonia. Voler forzare l’opera dell’artista conferendole a priori espressione concettuali, significa fare il verso alla filosofia. Si tende a  ignorare la differenza sostanziale, tra il linguaggio filosofico, che  può sopravvivere a truismi e anacoluti per la sua  fluidità, la capacità di analizzare se stesso, di contraddirsi e  correggersi, nella perenne evoluzione propria del pensiero, della mente attiva come un work in progress. L’artista plastico deve invece necessariamente, anche quando voglia esprimere un concetto,  tenere conto che realizza un oggetto reale, da forma a cose che nascono dai suoi pensieri, egli per così dire, materializza i concetti,  solidifica i pensieri. Mentre la filosofia può avvalersi dell’antico adagio “Orazio, dopo ratio”, l’artista non può modificare l’opera compiuta. Tanto è vero che deve affidarsi ai  funamboli della parole per giustificare ciò che in se stesso non sempre ha senso. E’ vero che il filosofo non fa che intellettualizzare, tradurre il pensiero effimero in una teoria più o meno plausibile, ma è sottratto alla forma solidificata dell’opera che resta immutata nel tempo. Anche se c’è chi sostiene che  l’arte deve affidarsi al contingente, questo non significa che possa sottrarsi alla necessità di darsi un significato, destinato spesso  alla obsolescenza dovuta anche alla propria  staticità.

Carlo Michelstaedter scrive : “ Ogni cosa si distrugge avvenendo”. Ciò che nasce rivoluzionario scivola in una deriva reazionaria. Lo dimostra ciò che accade oggi nelle Accademie, costrette a una sorta di coazione all’originalità spesso presente solo nelle intenzioni. Unica possibilità dell’arte di sottrarsi a un rapido dissolvimento, è mantenere la coerenza con se stessa. L’arte significa fare, nulla più. Chi pretende di comprimere in generalizzazioni totalizzanti il semplice fare, ansioso di  chiudere l’arte in una camicia di Nesso composta da definizioni  precostituite, finisce per ridurre la molteplicità della creazione artistica. Trascurare la forma e affidarsi al concetto o alla tecnica, significa avvelenare la radice stessa dell’arte.

giusta immagine

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Il sentiero della coscienza verso la creazione.  0

Quando un romanziere,o un artista, prendono contemporaneamente in considerazione vari modi possibili per realizzare una storia, un’opera, si crea per così dire una sorta di sovrapposizione  di stati mentali legati allo sviluppo di concetti. Se il romanzo viene messo per iscritto, l’opera realizzata, non per questo nel cervello dell’autore cessa la considerazione di ipotesi alternative, tanto che spesso uno scrittore, un artista, dichiarano di essere partiti con un’idea per poi approdare a un risultato diverso. Sembrerebbe  fuori luogo chiedere all’autore quale delle ipotesi che aveva formulato fosse la più autentica. Sarebbe impossibile all’artista dare una risposta, per la semplice ragione che non la conosce egli stesso. Vi è quella di Douglas R. Hofstadter  definisce la funzione d’onda universale che bisognerebbe pensare come mente, una mente, o cervello, universale che stà in cielo, Dio, in cui tutte le diramazioni possibili vengono considerate  contemporaneamente. Noi saremmo, secondo Hofstadter, semplici sottosistemi del cervello di Dio. Hofstadter non è un ecclesiastico, ma  docente all’Indiana University di Computer Scienze, ovvero di intelligenza artificiale, quanto di più lontano dalla mistica religiosa. Tuttavia egli pensa, come Einstein, che il cervello di Dio si evolve deterministicamente e senza scosse .Il fisico Paul Davies, scrivendo su questo argomento nel suo libro “Other Worlds” dice : “ La nostra coscienza ordisce un sentiero a caso lungo il cammino evolutivo del cosmo, che sempre si ramifica, dunque siamo noi che giochiamo a dadi con Dio”. Ciò non di meno resta inevasa la risposta  all’enigma fondamentale che ciascuno di noi si dovrebbe porre: “ Perché la sensazione unitaria che ho di me stesso si propaga lungo una diramazione non un’altra? “ In altre parole perché il caso ha una parte così rilevante nella vita e nell’evoluzione? Quale legge soggiace alle leggi casuali  che determinano le mie scelte?  Jacques Monod, affrontò la questione sotto l’aspetto della microbiologia che soprassiede lo sviluppo delle forme di vita organiche, anch’egli ovviamente non conseguì alcuna certezza. Il problema è così basilare e importante che si può dire sia alla base di ogni forma di riflessione filosofica e religiosa. Solo l’ottusa superstizione nutrita di “dotta ignoranza” può indurre a formulare conclusioni definitive. Neppure la meccanica quantistica  è riuscita ad aiutarci a capire. Non solo la risposta non sembra poter scaturire dalla meccanica quantistica: anzi questo è esattamente il collasso della d’onda che ricompare dalla finestra dopo che Everett l’aveva cacciato dalla porta. Si può sprofondare ancora di più nell’abisso del paradosso quando ci si rende conto che vi sono diramazioni di un’unica funzione d’onda universale

 

 

 

Forse  osservati da entità oscure.l'occhio di Dio

 

 

 

 

 

 

 

 

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La commedia degli errori.  0

La banalizzazione dell’arte e la sua tecnologicizzazione tradiscono il pensiero creativo nella sua realtà. Viene meno  l’affermazione del matematico del seicento Isaac Barrow : “Gli occhi della mente vedono più di quelli del corpo”.

Non corrispondono al vero molti luoghi comuni relativi all’arte, in primis l’idea che l’artista sia l’unico guidato dalla fantasia. La storia riporta grandi imprese attuate da personaggi che erano sognatori e scienziati. Colombo suppose che a Occidente esistesse una terra sconosciuta e in base a questa sua intuizione, nel 1492, affrontò un viaggio verso l’incognito, superando la soglia di quella che gli antichi indicavano al confine dell’oceano con la scritta: “Hic sunt leones”.

Galileo inventò i suoi atomi assolutamente indivisibili.

Leverrier immaginò un pianeta invisibile per spiegare l’orbita di Urano.

All’origine della razionalità scientifica non vi sono dunque solo “tecnici sapienti” o scienziati baconiani, ma persone che alla grande cultura uniscono un altrettanto grande fantasia creativa grazie alla quale hanno saputo immaginare mondi che hanno ampliata la conoscenza umana.

Finito e infinito hanno rappresentato problemi all’apparenza futili  alla cui base ci celavano le chiavi capaci di aprire mondi sconfinati.

La crescita della conoscenza ha comportato l’abbandono di luoghi comuni e credenze radicate nei secoli, cambiando gradatamente il mondo intorno a noi. Nulla del genere ha fatto l’arte. L’enfasi declamatoria alla quale l’arte è stata fatta oggetto, non è che retorica priva di costrutto. Certa critica appare la rappresentazione di una commedia degli errori, e sembra tendere alla canonizzazione dell’arte. Processo che inizia cambiando il nome alle cose.

L’arte  esprime la struttura dei corpi e delle cose, un tempo  rappresentava il bello della natura e di molti aspetti umani. Nel momento in cui l’artista, con un atto di supponenza e presunzione, ha creduto di dare forma alla “filosofia”, al “concetto”, l’arte si è avviata alla deriva, racchiusa nei limiti di fantasiose nevrosi creative nel tentativo, raramente riuscito, di dare alla bruttezza un significato di trascendente di poesia. Ha una certa base di verità l’affermazione di Aristotele secondo  cui “La pittura rende gradevole anche ciò che è brutto”.Ma, va precisato; solo nel caso vi sia una grande tecnica pittorica e capacità di dar senso a ciò che è rappresentato. Difficile immaginare tale processo quando il ready made di un pollo,diventa un’innovativa opera d’arte, è il caso di un opera che l’artista belga Koen Vanmeche ha presentata alla Biennale di Venezia.

Forse il gioco delle astrazioni non è dissimile da un racconto di spettri tenuto conto che  ogni  mutamento concettuale non è che la sostituzione di un fantasma con un altro, sul filo del libero pensiero. Quanto più solido ben definito e splendido è ciò che un impetuoso intelletto sa creare, tanto più la  vita trova il percorso per sfuggire verso la libertà.

 

 

 

Occhi di Budda

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