La sostituzione del reale.  0

Weber sembra essere stato tra coloro che hanno proceduto al congedo dalla società. Oggi  l’abbandono avviene  con l’immersione nello spazio tecnologico. L’arte accompagna questo distacco cancellando gradatamente l’umano dalle sue rappresentazioni.

Mentre il papa urlante di Francis Bacon implica ancora un tentativo di esplorazione, gli autoritratti di Andy Warhol raggiungono lo stato dell’altruismo nella vendita di se stesso. Le due opere hanno ancora un posto,sia pure a margine , dell’arte espressiva, poiché sia la lacerazione che la pietrificazione del volto contengono ancora il principio dell’espressione. Un richiamo, forse inconscio, sicuramente disperato di resistenza al nichilismo che pervade la società fatta di volti inespressivi e anonimi, ma curatissimi, deformati dal successo, sorrisi statici, volti il cui riferimento non sono più altri esseri umani, bensì monitor, videocamere, mercati, giurie di valutazione.

I nuovi procedimenti dell’estetica facciale nelle arti plastiche sono simili ai cartelloni pubblicitari, non parlano al singolo, hanno come riferimento la massa, richiamo a follower, un mondo surreale in cui la menzogna dell’immagine e della parola, sono  abituale merce di lucroso scambio, la realtà è mercato, in un confuso scambio d’identità messe in vendita. C’è il rischio che tutto ciò apra la strada alla pazzia.

Anche se, a  questo sadismo spirituale, ben si adatta il montage Untitled #314C di Cindy Sherman dove il volto si dissolve in un paesaggio rugoso costituito da elementi della trama,malvagi e incontrollabili, con una bocca le cui labbra mostrano una apertura oscena. Non è rimasto nulla di ciò che Benjamin ha battezzato “sex appeal dell’inorganico”. La carne divenuta copia sintetica di se stessa. Sherman sembra accanirsi  su quelli che sono gli attributi del potere sessuale femminile il sedere, i seni, la vulva, deforma, dilata, in un parto di adulto, esprime orrore della procreazione.

Nel libro “Sotto Il segno di Saturno”, Susan Sontag cita Artaud secondo il quale , il pazzo ha una doppia identità, vittima e portatore di saggezza. Infatti la pazzia accompagna molti artisti e filosofi costretti a fare i conti con gnosi e sensibilità. Come nelle opere citate, la sfida al reale può diventare  un fardello troppo pesante, com’è stato  per Hòlderlin, Nerval, Nietzsche, van Gogh e  altri creatori di mondi,approdati  una farneticazione liberatoria.   Lacrime 500

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L’arte impotente.  0

 

Può scaturire la creatività da una umana incompletezza? La nostalgia per un mondo aristotelico  trovava il suo obiettivo nella parola Cosmo, degenerato nella globalizzazione sempre più avviata verso una ginecocrazia che domina masse infantili di paranoici tecnologici, persone che tendono a perdere la forza di mantenere il controllo del loro spazio psichico riducendosi a individui isolati.

Ci troviamo di fronte al paradosso che il progredire della conoscenza ci mette di fronte alla nostra impotenza. Nell’infanzia  della civiltà era possibile coltivare l’illusione che la scienza avrebbe migliorato gli esseri umani e reso possibile un futuro luminoso, anche selezionando i migliori, cosa oggi non più pensabile, in ragione di  un ipocrita formalismo democratico.

Secondo la tradizione Platone avrebbe affisso all’ingresso della Accademia un cartello nel quale si chiedeva di astenersi dall’entrare chiunque non fosse esperto di geometria. Tale disciplina è stata fatta propria dall’arte moderna, diventata gioco, tautologia, ed ha finito per ridimensionare l’illusione della spazialità e dell’arte. L’elegia dell’arte astratta fatta da Kandinsky e dal filosofo hegeliano Kòjève suo nipote, è stata presto sommersa da una folla di epigoni privi di estro.

La filosofia scinde la società tra quelli che ricordano e quelli che non ricordano. La cultura è memoria e consapevolezza, con effetti non sempre positivi. Secondo Peter Sloterdijk, ricerca e presa di coscienza hanno trasformato l’essere umano in un idiota del Cosmo. Un idiota ansioso che faceva esclamare a Pascal: “ L’eterno silenzio degli spazi mi spaventa”.

Friedrich Nietzsche, ideatore di verità con le quali è difficile vivere, ma che l’onestà intellettuale ha difficoltà a ignorare, ho sostenuto che gli interpreti moderni di questo mondo hanno stabilito che vivere significa pagare il prezzo devastante della inadeguatezza umana. E’ perciò un bene che l’esistenzialismo abbia rivelato ciò che è essenziale per tentare di rompere il sigillo che la banalità pone all’intelligenza creativa. Quello che i filosofi contemporanei hanno chiamato oblio dell’essere, appare più che altro ostinata ignoranza, incapacità di superare la barriera dell’apparente.

L’arte non può nulla contro questa situazione. In ogni caso gli artisti, ormai massa, hanno rinunciato, non sono più in grado di dare forma al grido di disperazione che sale da masse spensieratamente ignare.

 

Edvard Munch “Ansietà” 1894munch-sera-nel-corso-carl-johan 500

 

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L’arcana conoscenza delle religioni antiche.  0

Il linguaggio dell’arte precede la scrittura e trae origine da un sistema di segni che rappresentavano eventi, sentimenti, cose. Quando Champollion riuscì a decifrare la pietra di Rosetta, scoprì che i geroglifici erano una scrittura che aveva radici ermetiche. L’interpretazione della scrittura geroglifica ha dominato la cultura dell’Occidente da Platone fino a Champollion il quale riuscì a dare significato ai simboli e allegorie di una forma di scrittura che può anche esprimere concetti astratti. La scrittura degli Egizi infatti non esprime concetti mediante sillabe aggiunte una all’altra , ma mediante il significato degli oggetti che sono stati copiati  e mediante il loro significato figurativo che, per pratica, si è impresso nella memoria. Per esempio, gli Egizi tracciano il segno del falco, per loro significa tutto ciò che accade rapidamente dato che questo animale è la più rapida delle creature alate, il concetto dipinto è quindi trasferito, mediante appropriata metafora, a tutte le cose rapide a tutto ciò che ha proprietà di essere rapido. Il coccodrillo è simbolo di ciò che è male. Per significare il mondo viene rappresentato un serpente ravvolto su se stesso che si morde la coda. Indicano l’anno con il Sole e la Luna che misurano il tempo. Il mese viene rappresentato con ramo. Il fato con una stella, il leone per rappresentare il coraggio, Ibis per indicare il cuore, la fenice per indicare la vicissitudine delle cose. Essi avevano cura di non mostrare le teorie dei sapienti a uomini che giudicavano indegni, sottraevano agli ingegni volgari la comprensione delle cose perché non potessero farne cattivo uso, mentre i saggi potevano comunicare senza bisogno di parole – sine loquela – ma solo attraverso i simboli. Non c’è dubbio che tracciare simboli richiedeva un certa abilità manuale molto affine all’arte, tanto è vero che gli scrivani Egizi erano spesso gli stessi artisti a cui veniva affidata la creazione di sculture di carattere religioso e funerario. Appare evidente il paradossale accostamento, in tema di rappresentazione di segni e figure, tra due universi distanti. La Chiesa Cattolica, avendo rinunciato alla iconoclastia, ha reso possibile la pittura del Rinascimento italiano. Tuttavia  la pittura, come tutta l’arte oggettivata, si presta al possesso del singolo, apre la strada al mercato che finisce per svilire l’arte, non solo perché la rende oggetto tra gli oggetti, ma anche perché finisce per affidare al gusto della massa l’evoluzione, o involuzione, della produzione artistica. Esattamente ciò che è avvenuto. La scrittura e l’arte egiziana ha permesso che arrivassero fino a noi le  tracce e i simboli della più antica a importante civiltà africana. Mescolandosi all’idea di una filosofia scritta  dagli antichi Egiziani sugli obelischi, di una riposta e segreta sapienza sacerdotale  velata dalle immagini e comprensibile solo agli iniziati, connettendosi ai temi dell’ermetismo, del neoplatonismo, dell’allegorismo, della letteratura emblematica, alla interpretazione dei geroglifici  attraverso gli scritti di Plotino, Orapollo, Marciano Capella, Marsilio Ficino, Francesco Colonna, Pierio Valeriano, Andrea Alciati fino a Athanasius Kircher, questa cultura esoterica, incomprensibile ai non preparati, arriva quasi inalterata fino al XVII secolo. Il riscontro nel mondo dell’arte di questa profonda cultura si riflette nella iconologia così ben indagata da Erwin Panofsky.

Pittura egizia- 500

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Il gesto creativo.  0

A tutti i livelli di civiltà, fin dai tempi più remoti, una delle preoccupazioni fondamentali dell’uomo è stata la ricerca delle proprie origini. Questa inclinazione a ritrovare il riflesso di se stessi nelle profondità del passato è stata solo in parte soddisfatta. Anche oggi, in gran numero di persone, non sapendo dove sono diretti, nutrono lo stesso desiderio dei loro antenati di sapere da dove provengono; bastano tuttavia brevi riferimenti al passato delle grandi scimmie perché in genere siano tranquillizzati. Questo bisogno di scendere alle radici è così forte che non può essere determinato solo dalla curiosità. La preistoria è considerata da molti studiosi quasi un fatto personale; essa è forse la disciplina che conta il maggior numero di dilettanti, quella che ognuno crede di poter praticare senza una conoscenza specifica, in questo simile all’arte, campo nel quale si è scritto il maggior numero di sciocchezze. E’ stato invece trascurato, specie negli ultimi cinquant’anni, un aspetto importante, l’orientamento degli artisti a presentare manufatti in cui è ridotto al minimo, quasi annullato, l’intervento manuale. E’ noto agli studiosi che il cervello dell’uomo ha potuto svilupparsi in modo tanto considerevole grazie alla conformazione della mano. Questo fatto è stato studiato da André Leroi-Gourhan che ha pubblicato nel 1964 “Le geste et la parole. Technique et Langage”. La mano degli esseri umani possiede duttilità e abilità che non è concessa a nessun altro animale. Il cervello dell’uomo concepisce un’idea che la mano traduce ed esprime creando un oggetto concreto e tangibile. L’oggetto realizzato stimola il cervello e il pensiero di chi osserva spingendolo al desiderio di comprensione. Il venir meno del rapporto creativo mano-cervello, si traduce in sorta di menomazione, la riduzione dell’arte a puro atto mentale. Una sorta di parodia della concettualità  propria della filosofia. Non basta sostenere, come  alcuni neo-conformisti, che l’opera d’arte è ormai disgiunta dal valore estetico, non si tratta infatti di valore estetico, anche se questo è un punto in cui prevale il procedimento  apodìttico. Si tratta semplicemente del fatto che in tal modo l’arte è privata di uno dei suoi aspetti più caratterizzanti: l’intervento manuale. Anche nelle opere riprodotte  procedimento seriale, all’origine vi è intervento manuale, la riproduzione è la ripetizione meccanica di un tracciato in precedenza realizzato dalla mano, a meno che si tratti di fotografie. Nei ready made, e nelle mastodontiche opere prodotte in stabilimenti industriali non vi è traccia d’interveto manuale, ed è scarsissima la traccia originale dell’idea dalla quale l’opera nasce. La ricerca del nostro passato sarebbe impresa impossibile se i nostri antenati avessero semplicemente utilizzato le forme rozze di uso quotidiano a livello artistico. Gli artisti dell’antica Grecia, com’è noto, erano considerati nulla più che artigiani, eppure hanno  creato sculture di sublime livello, spesso in assoluto anonimato, le loro opere sono l’orgoglio della nostra civiltà e tutt’oggi le ammiriamo. Lo stesso sistema era in vigore nel Medio-Evo., nelle gilde costituite da artisti che hanno costruito, anche in quel caso per lo più in anonimato, i monumenti che costituiscono vanto della cultura dell’occidente. Vale la pena  notare che, nella misura in cui l’artista ha assunto rilievo, la sua firma è diventata più importante dell’opera stessa, l’arte è andata  declassandosi a merce ordinaria.

siamo nelle mani del destino.

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La filosofia del passato adattata al presente.  0

Le citazioni producono un effetto di straniamento, quasi una sorta di sottile frazionamento. E’ questa la ragione per cui Benjamin sosteneva che le citazioni sono come banditi da strada che sbucano e portavano via all’argomentante le sue buone ragioni. Ovviamente il paradosso di Benjamin non è sempre valido, se anche  fosse vero, l’espropriazione avrebbe comunque un effetto positivo, nel senso che indurrebbe l’espropriato a rimodellare pensieri e argomentazioni. Tuttavia non c’è dubbio che spesso si vogliono sostenere le ragioni del presente citando filosofi del passato. Le teorie elaborate secoli prima possono forse conservare una loro validità se argomentano su questioni attinenti alla natura umana, che, purtroppo, non è molto cambiata, tanto meno migliorata nel corso del tempo. Altra cosa se l’argomento riguarda questioni attinenti a una società radicalmente mutata. Esempio emblematico,la tolleranza. All’epoca dell’assolutismo monarchico e religioso, aveva buone motivazioni. Oggi in cosa consiste la tolleranza? Tolleranza verso chi coscientemente viola leggi e norme sociali che hanno lo scopo di difendere i più deboli, tirata in ballo per giustificare abiezioni di ogni genere, incoraggiamento a comportamenti disdicevoli.

L’apodittica affermazione: tutte le idee hanno diritto di essere espresse, va precisata. Espresse o applicate? Certe forme di tolleranza rivolte noi stessi, sono un colpo di maglio non alla verità, ma alla ragione. Si esclude a priori la necessità di sottoporre le idee al vaglio della razionalità. Deleterio rinunciare a priori al tentativo di arrivare attraverso la logica a raggiungere il punto più vicino alla verità, ciò è impossibile se si esclude a priori esista qualcosa che possa definirsi “verità”. Questo atteggiamento ispirato al cinismo,contrariamente a quanti sostengono, non a favore della convivenza, al contrario, è fonte di prevaricazioni e soprusi. La negazione logica, il ricorso al surreale può valere come espediente letterario, in opere di Jonesco e Beckett. La ragione è stata definita la più umana delle virtù, è senz’altro imperfetta, tuttavia,  usata con umiltà, resta l’unico strumento che abbiamo per orientare la nostra esistenza. Diceva Diderot “ chiedere di rinunciare alla ragione è come chiedere a chi trovandosi di notte in una foresta con un torcia accesa, venisse invitato a gettarla via per il fatto che non consente di vedere tutto e di vedere lontano”.  A proposito di tolleranza, diceva Chamfort: “dobbiamo essere giusti, prima che generosi”.  Per Montagne:“ Noi siamo, non so come, doppi a noi stessi,cosicché non crediamo in ciò che crediamo, e non riusciamo a disfarci di ciò che condanniamo”. L’epistemologia, cioè l’insieme delle nostre conoscenze, a partire da Cartesio e Locke, è stato gradatamente disgiunto da riferimenti logici diventando  sinonimo d’incertezza. L’informazione, l’abilità, l’apprendimento, finiscono per appiattirsi in una narrazione eristica a sfondo solipsistico ludico adottando acriticamente  la tesi di Hume secondo il quale “ la ragione è serva delle passioni”.

Dunque, conoscenza ed etica, ridotte a opinione, o peggio alla concretezza funzionale. In questo modo il materialismo ateo, che si finge compassionevole,porta al vicolo cieco del qualunquismo.  Il percorso verso la conoscenza dovrebbe tener conto del detto kantiano secondo cui non si può mettere in dubbio ciò che non si conosce. Vi è un mondo dei clown, soprattutto di matrice americana, di cui fa parte la “politically correct”, che rende incerto chi giudica chi, questo ci porta  alla “democrazia GALUP”, anche in Italia. Scriveva Kafka all’amico Brod: seguendo gli Usa, sembriamo essere diventati Hardy & Laurel, ma abbiamo cessato da un pezzo di ridere.artists Botero 500

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E’ illusione la creatività del dolore.  0

All’inizio del secolo scorso, di fronte allo sviluppo industriale e al dilatarsi delle metropoli, l’artista si trovò inglobato nella cultura di massa che condizionò anche il suo percorso esistenziale avviandolo a a un impegno politico. A poco servì “farsi diverso”, attuare scelte devianti e  il ricorso all’ “art pour l’art”. Tutti atteggiamenti che, per altro, non sempre trovano riscontro nelle opere.

La pretesa di dare significato simbolico alla propria devianza è un espediente che non ebbe successo visto che l’arte fini per essere sommersa dal conformismo che sopraggiungerà nell’arco di pochi anni.

Quando Arthur Rimbaud fa appello alla “sregolatezza di tutti i sensi”, non fa altro che anticipare quello che accadrà tra breve nel mondo dell’arte, dello spettacolo e finanche nella letteratura. Bataille esalta gli stati nevrotici e il dolore. Questa concezione, per cui il dolore è essenziale per perpetuare la vita, e la tesi che al piacere segue sempre un dolore, era già stata fatta oggetto di riflessione da Kant, ma in nessun caso il dolore risulta fonte d’ispirazione, nemmeno Sade riesce a trarre poesia dalla malvagità che resta prerogativa dei malati.

Nietzsche formula il suo contradditorio:

“Non appena gli esseri umani cercano di annullarsi nei sensi, non trovano altro che la follia, rinunciano a se stessi nella presunzione di essere liberi”.

Non pare che gli insuperabili maestri dell’arte greca avessero bisogno di particolari abbruttimenti del corpo ed esibizionismi esistenziali, per ottenere risultati dalla loro arte. Plinio scrive di Apelle:  “Dipinse persino cose che non è possibile dipingere, tuoni,lampi, fulmini dei quali alla vista pareva di sentire il rumore”.

Nella nostra società decadente, il gusto dominante sceglie il suo ideale dalla pubblicità, dall’estetica d’uso. Così il detto socratico secondo cui il bello è l’utile,si è, alla fine, ironicamente realizzato.

L’artista, come tutti gli esseri umani, deve fare i conti con la precarietà dell’esistenza e spesso, per debolezza o eccesso di sensibilità, soccombe. L’immagine romantica del “genio e sregolatezza” è uno stereotipo nel quale la sregolatezza prevale sicuramente sul genio.

La dualità degli istinti di vita e morte corrisponde esattamente alla posizione di Freud il quale affronta il tema in “Al di là del principio di piacere” e in “Il disagio della civiltà”. Egli ha una idea, per così dire ottimistica dell’arte, ritiene infatti che l’arte fornisca soddisfacimenti sostitutivi  alle rinunce imposte dalla civiltà. L’arte inoltre, secondo Freud, promuove sentimenti di identificazione, con il rischio però di soddisfacimento narcisistico.

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Arte come relazione simbolica con la realtà.  0

L’arida saggezza per cui non c’è nulla di nuovo sotto il sole, perché tutte le carte dell’assurdo gioco sono state giocate, tutti i grandi pensieri sono stati pensati, le scoperte possibili si possono costruire a priori, e gli uomini sono condannati all’autoconservazione per adattamento. Quest’arida saggezza non fa che riprodurre la fantasia  pret a porter e la ripristina continuamente per contrappasso.

Ciò che già era ciò che potrebbe essere viene programmato, livellato dal sistema globale del quale stampa e tv sono gli strumenti. Tale sistema erige eristicamente i confini dell’esperienza possibile,  il prezzo dell’identità, la qualità della tua esistenza, tutto deve essere identico a se stesso.

 

L’Illuminismo, la prima filosofia moderna della dissoluzione, aveva adottato l’efficace slogan: legalità, fraternità, uguaglianza. A distanza di 234 anni ci ritroviamo la fame e super lusso, a dissolvere la vecchia uguaglianza è subentrato il mito della libertà. La mia vita è laida miserevole vuota, ma sono libero di annientarmi nel vizio e abbruttire la mia umana natura.

 

Ciò che Kierkegaard loda nella sua etica protestante che appare già  leggenda, è uno degli archetipi del potere e precede l’incommensurabile teorica delle possibilità umane.

 

La tecnologia formidabile strumento di manipolazione, è una beffa rivolta a quella società che dichiara di voler fare dell’individuo un individuo, la macchina mutila gli uomini, anche se li sostenta.

 

La tecnologia mette a disposizione gli strumenti del comunicare dei quali però i padroni conservano le chiavi. Chiunque comunichi ciò che non linea con il pensiero globale,viene, ipso fatto, cancellato. La sua liberta è posta in stand-by.

Dall’antica barbarie al trionfo dell’uguaglianza repressiva il dispiegarsi dell’uguaglianza giuridica, l’ingiustizia tramite uguali, il mito di cartapesta scritto nella carte dei diritti dell’uomo, ogni giorno violati da coloro che li hanno redatti. Gli Stati occidentali attuano rappresaglie terribili ogni volta che i popoli oppressi osano una rivolta. Questo gioco crudele, rivela come  la libertà non è che un fragile birillo esposto alle cannonate del conformismo più laido.

 

In che modo l’artista fa sentire la propria voce? Viene meno quella che voleva essere la preistoria favolosa  della relazione simbolica tra realtà ed evento, il rito quotidiano trasformato in una ulteriore e meno triste possibilità. L’artista è ridotto a crocevia di reazioni e comportamenti convenzionali, finte provocazioni,estemporaneità eccentrica, è tutto ciò che  ci si attende da lui. Egli è sempre esposto al rischio di barattare  la libertà vera, con il successo.

La cultura e il progresso si sono accordati da tempo contro la verità e hanno lasciato libero campo alla menzogna. La stessa esistenza della verità è negata da intellettuali da filosofi talmente avvolti nel loro asservimento da definire il servilismo: libertà.

 

E’ la continuità di una situazione culturale che precede l’illuminismo, e che l’illuminismo non ha scalfito, se mai giustificato. ”Filosofia nel boudoir” , fa apparire infantili le pruderie delle sfumature. Donatien-Alphonse–Francois Marchese de Sade rappresenta il soggetto borghese liberato dal controllo della ragione,  la cui definjzione era già presente negli scritti di Machiavelli e Hobbes.Nuova versione

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La concupiscenza dello sguardo.  0

Vediamo ciò che pensiamo attraverso ciò che conosciamo. Lo sguardo come interrogazione, come un passo verso la conoscenza. La costituzione fondamentale della visione si manifesta in una particolare tendenza al “vedere”. Di una persona particolarmente acuta si dice che “sa vedere le cose”. Definiamo la propensione a vedere con il termine: curiosità. E’ la curiosità il principale stimolo alla conoscenza. Noi interpretiamo il fenomeno della curiosità come un fondamento ontologico- esistenziale.

Già nella antichità e nella filosofia greca fu studiata la base del piacere di vedere. Il libro che occupa il primo posto nella raccolta dei trattati aristotelici di ontologia inizia con il fermare l’attenzione sulla visione. Lo sguardo, il vedere, osservare, stimola la riflessione ed è alla origine della scienza come lo è dell’arte. Non è pensabile un pittore privo di vista.

L’interpretazione greca della genesi esistenziale della scienza non è casuale. In essa si fa esplicito ciò che era già delineato nella filosofia di Parmenide. L’essere è ciò che si manifesta alla visione intuitiva pura.

Hans Belting affronta il tema della storia visiva mettendo a confronto diversi aspetti della visione. Nel “I Canoni dello sguardo” (Bollati Boringhieri 2010) usa l’emblema della finestra per sottolineare come mentre nella civiltà occidentale la visione è fondata sul primato dell’occhio e sulla sovranità del soggetto osservatore, la civiltà araba privilegia la luce ed è fedele al grafismo non iconico.

Agostino si interroga sulla concupiscenza dello sguardo, come il vedere influisca profondamente sui nostri pensieri. Oggi che viviamo nella civiltà delle immagini ci troviamo a dover affrontare le volgarità che incessantemente vengono trasmesse da cinema e tv . Tali martellanti visioni  si riflettono nei  gesti, linguaggio, comportamento quotidiano delle masse.

I sistemi complessi che sovraintendono la produzione di immagini hanno fagocitato anche l’arte. Gli artisti hanno adattato gli occhi sugli strumenti tecnici rinunciando alla visione immaginifica che guida la mano creatrice. Si è attuato una sorta di incapsulamento tecnologico che ci assorbe e ci distrae, soprattutto diventa un “bisogno” per riempite la mente di illusioni che non sappiamo più creare. Queste emozioni indotte ci rendono gradatamente psicolabili. Siamo abituati a vedere ovunque persone di ogni età e condizione  concentrate sul proprio telefono, compulsare sulla tastiera per trasmettere il nulla. La  visione del mondo si è ridotta per molti allo spazio di cm7 X11 dello schermo del telefono.

 

biennale parigi500

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L’impotenza della filosofia.  0

In un certo senso la “Fenomenologia dello spirito” di Hegel potrebbe essere vista come una sorta di storia della filosofia. Hegel traccia una serie di passaggi  seguendo l’evoluzione del pensiero filosofico e politico di epoca in epoca.

L’impressione è che sopravaluti la creatività filosofica, ovvero la capacità dei filosofi d’incidere sul comportamento umano, dà per scontato, come quasi tutte le storie della filosofia, che la creatività filosofica degli autori coincida con la situazione culturale e civile dell’epoca,

in cui i vari filosofi sviluppano le loro teorie. L’esperienza insegna che non è così.

Gran parte delle esortazioni dei filosofi sono rimaste lettera morta. Molti filosofi hanno affrontato il tema della verità. Nel v secolo a.C. Parmenide pubblicò un poema; La verità e l’opinione. Egli sosteneva che ciò che regola la verità e  la conoscenza è la verità ontologia, la verità dell’oggetto.

Cinque secoli dopo Pilato si chiede: cos’è la verità? Nel 2005, il pragmatismo americano emerge con Pascal Engel e Richard Rorty che pubblicano: “A cosa serve la verità?”.

Posizione più radicale  del torinese Gianni Vattimo, che nel 1983  pubblicò il libro: “Il pensiero debole”. Sviluppando elaborate argomentazioni, sostenne che non esiste  verità, e neppure i valori che dovrebbero orientare il comportamento delle masse.

Verso la seconda metà dell’800 di fronte all’oppressività  del mondo industriale, alle metropoli percorse da folle immense e anonime, vi fu un tentativo di reazione alla prorompente modernità. Gli artisti si isolarono, esaltarono l’arte per l’arte, assunsero atteggiamenti snob.  Come Villiers de L’isle Adam, il quale scrive: “Vivere? Ci pensano i nostri servi per noi”. Paul Verlaine paragona la sua epoca al mondo della decadenza romana e bizantina.

Hegel sosteneva che l’arte moderna ha avuto inizio con il cristianesimo in opposizione all’arte classica greca, La fine dell’arte quindi coincide  con il venir meno dell’influenza politica e culturale del cristianesimo diventato istituzione, come tale condizionato da pragmatismo politico, quindi incapace di ispirare ancora l’idealità che è precondizione per la creatività. Finiscono per prevalere aspetti estranei all’arte. L’artista si rifugia nella provocazione destinata a fallire perché subito fagocitata dalla nascente borghesia, alla fine nel mondo dell’arte, prevale la rassegnazione, l’artista rassegnato ricorre alla  tecnologia.

L’arte, com’è stata intesa nei millenni, è giunta dunque all’epilogo, immaginare che  abbia subito un mutamento radicale per adeguarsi ai tempi, non basta a spiegare lo stato attuale della produzione artistica.cielo artificiale500

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Considerazione sull’Arte nr. 16  0

Per Democrito e manifesto per chiunque,  ciò che l’uomo è lo è riguardo al suo aspetto,poiché non vi è alcun dubbio che egli ci sia noto e familiare in base al suo colore alla sua figura.  Aristotele però obietta: “anche il cadavere di un uomo ha pur sempre lo stesso aspetto, la stessa figura non di meno non è un uomo”.

L’arte celebra i morti, essa sembra avere sua principale funzione di interpretare l’umanità in svariati modi.

Nietzsche in “ Crepuscolo degli idoli” scrive: “ Nel bello, l’umano pone se stesso come norma della perfezione e adora se stesso”.Attraverso il cervello l’essere umano prende contatto con la realtà e la modifica a proprio uso, così preso di se, da esaltarsi di più di fronte un paesaggio o un immagine dipinta che di fronte all’originale.

L’opera d’arte dovrebbe nascere dal raccordo mano- mente, azione-pensiero. Anche se per Platone, l’artista, creando un opera realizza una  doppia illusione. L’oggetto dell’Opera non è l’idea, ma la forma. Platone sostiene che è l’idea l’unica realtà, non la cosa. L’opera è imitazione della cosa, non la cosa stessa.

La nostra civiltà, molto più delle civiltà che ci hanno preceduto, abbonda di cose, scarseggia di idee, ovvero secondo l’ottica di Platone vive lontana dalla realtà, nell’illusione delle cose.

L’uomo è  uomo in quanto ha la capacità e il potere di realizzare se stesso, di programmare e realizzare la propria vita. Privato di queste capacità e possibilità, l’uomo cambia natura diventa per così dire più animale, oggi è un animale tecnologico che trova appagamento sempre più lontano dalla natura, di conseguenza la sua visione del mondo e di se stesso muta radicalmente.

La prima Estetica del brutto fu elaborata nel 1853 da Karl Rosenkrantz, il quale tracciò una analogia tra il brutto e l’amorale. Non c’è dubbio che la modernità conferma la tesi di Rosenkrantz. Oggi le immagini ci sovrastano. Un flusso continuo e caotico inonda l’etere, la carta stampata, ogni luogo pubblico e privato.

La rinuncia ai valori, che erano prerogativa dell’uomo reale,è l’inevitabile conseguenza. Infatti l’etica è legata alla natura dell’uomo dalla quale l’umanità si è allontanata,creando condizioni di vita artificiali e artificiose. In tale contesto                                                                                                                                                     diventa opinabile anche il genere sessuale che in natura caratterizza ogni specie animale.

L’uomo ha seguito un percorso di abbandono della natura. La filosofia naturale fiorì per un periodo breve. Socrate distolse lo studio dalla ricerca della natura e l’orientò al problema dell’etica. Fu quindi  responsabile di trasformare la filosofia  in un’ambiziosa ricerca di nuove opinioni che inevitabilmente finirono esprimersi  avverse all’etica. La natura non fu più guida, la filosofia nemmeno.

Nessuno è in grado di valutare le conseguenze della massiccia presenza della tecnologia nella nostra esistenza. La facilità con la quale si  reperisce ogni informazione tramite i motori di ricerca finisce per scoraggiare l’uso della memoria. La realtà artificiale ha modificata anche quella che per Francesco Bacone era una qualità importantissima per l’uomo: l’immaginazione. Questo percorso è destinato a renderci sempre più dipendenti dalla tecnologia, e ridurrà la nostra autonomia. mentale. Per Paracelso l’arte è “l’uomo aggiunto alla natura”, venuta meno la natura è venuta meno l’arte, anche se ancora non ne siamo consapevoli.

L’aver affermato l’eterogeneità fra natura e arte ha condotto la filosofia a concepire l’arte come una mera aggiunta alla realtà e ha privato gli uomini della speranza di poter fruire di tutte le potenzialità che il rapporto arte e natura può comunicare.per NEWSLETTERE DEL 8 OTTOBRE

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