Nel corso dei secoli si è andato accumulando in scritti, disegni, pittura, ciò che abitualmente viene definita cultura. Nonostante la gran mole di libri e di opere, al presente si è accentuata la tendenza alla semplificazione. Non solo il linguaggio quotidiano, cosa che sarebbe accettabile, anche la narrativa, la scrittura in generale fino alla massima semplificazione dei linguaggi dei network. Quale sia l’incidenza di questo processo linguistico sulla società in generale è riscontrabile nell’uso sempre più diffuso di stereotipi ripetuti continuamente.
La letteratura usa espressioni rozze, involute, con riferimenti sessuali non sempre necessari. Proviamo a immaginare cosa succederebbe se fosse applicata la boutade di Oscar Wilde: “Chi chiama zappa una zappa dovrebbe essere costretto ad usarla”.
L’arte partecipa al processo di semplificazione, in molti casi lo anticipa. Le opere di Malevic e altri suprematisti russi ne sono un esempio. Alla nascita delle avanguardie, con le prime apparizioni dell’’arte astratta, molti artisti motivarono le ragioni delle loro scelte. Kandinskij, Mondrain, Malevic. In particolare Kandinsky seppe sviluppare una interessante teoria per la propria scelta tematica, che fu ulteriormente approfondita dal nipote, il filosofo hegeliano Alexandre Kojève.
Col tempo e l’accumularsi di opere degli epigoni, le spiegazioni non apparvero più necessarie, si dette per scontata la scelta dell’arte astratta. Per supplire alla mancanza di senso delle opere critica e filosofia attuarono una sovrapposizione verbale. In molti casi si ebbero esiti contradditori. Si leggono ampi saggi critici relativi a opere delle quali è arduo scorgere il nesso con il sostantivo”arte”. In occasione dei mondiali di calcio in Corea, al calciatore coreano che con la sua bravura fece vincere la squadra, furono colorate le piante dei piedi per trarne impronte. Fotografate e riprese con calchi, furono vendute come opera d’arte a caro prezzo. Andarono a ruba.
Questo non è un caso limite di confusione e paradossi della cultura contemporanea che celebra come capolavori i nani da giardino di Jeff Koons.
Come scritto in precedenti interventi, le cosiddette avanguardie storiche compirono una azione di rottura, forse consapevoli di non riuscire ad uguagliare gli artisti del passato. La loro azione aveva quasi sempre come riferimento il rifiuto della cultura classica, motivato con argomenti speciosi, Intanto ammettevano implicitamente la differenza tra qualità e forme d’arte. La loro avrebbe dovuto essere arte di massa, quasi le masse potessero disporre dei milioni di euro che vale una qualsiasi opera prodotta dai maestri delle avanguardie.
Quando Marinetti dichiara “La guerra è l’igiene del mondo!” cita Polibio, il quale si riferiva all’ascesa e declino degli Stati, individuando, secondo una visione stoica della storia, nella diffusione del benessere generalizzato, nel venir meno del “metus hostilis”, della paura del nemico, l’origine della decadenza dei popoli.
La conoscenza umana può avanzare solo cautamente, un passo dopo l’altro. La realtà noumenica ci sfugge. La storico francese Henri-Irénée Marrou in un suo saggio racconta un aneddoto. “Mi trovavo sulla sommità di una roccia, posto in alto sulla riva di un lago alpino, seguivo i tentativi di un pescatore: scorgevo brillanti nell’acqua cristallina le belle trote, che egli agognava dalla riva, muoversi lontano dalla sua canna troppo corta:” Marrou trae una conclusione: “Una cosa del genere accade spesso: i mezzi limitati di cui disponiamo non ci permettono di raggiungere ciò a cui miriamo”. L’arte il cui sviluppo sta tra conoscenza e intuizione, ha bisogno per esprimersi di riflessione. L’artista dovrebbe “vedere” le trote senza l’ansia di catturarle ma rallegrare con la loro elegante argentee bellezza quante più persone possibili. Oggi purtroppo l’artista si comporta come colui che ha fretta di catturare le trote per portarle al mercato e ricavarne denaro.
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