Brevi cenni sull’opera di Velazquez: Las Meninas. Capolavoro di realismo immaginifico.
L’osservatore può cadere nella tentazione ermeneutica di ravvisare nell’opera una teoria filosofica. Se tutto ciò che il pittore dipinge rende visibile e riconoscibile una rappresentazione del riflesso della realtà, si dovrà concludere che l’opera espone una visione complessiva del mondo come pura apparenza? Volendo giocare con le teorie, si potrebbe sostenere che l’opera è una rappresentazione che esige Res cogitans del tutto separata dalla Rex estensa. L’opera di Velasquez mostra come sostanzialmente identici il vedere e l’esser visto, ci sarebbe dunque più di Spinozza che di Cartesio. Il mondo come idea, secondo Cartesio e Locke, come pura rappresentazione del senso in Schopenhauer? Un anticipazione della Condition humaine di René Magritte? Tutto è espressione dell’io dell’artista? Magritte descrive effettivamente la condizione umana secondo una precisa tradizione filosofica, per la quale non abbiamo accesso alle cose ma ci confrontiamo sempre soltanto con le nostre rappresentazioni delle cose, come se fossimo seduti in una stanza dietro una tela dipinta che fa da finestra. Velazquez, contrariamente a Magritte, non si occupa della presunta condizione umana,bensì dell’arte pittorica. Il dipinto rappresenta la realtà così com’è realmente, non è vero l’opposto, che la realtà sia mera rappresentazione o fenomeno. La filosofia dell’Io di Cartesio, nella quale tutto si riduce a fenomeno interno alla coscienza, non salva i fenomeni. Velazquez è realista, rappresenta le cose, per descrivere le sue opere le parole sono superflue, serve invece cultura e tanta attenzione. E’ un fatto che la pittura realistica di quel livello conduce a una soluzione sorprendentemente simile alla filosofia cartesiana dell’idea. Certo, mentre il realismo russo si avvicina vagamente alla sostanziale “verità” realistica, il realismo USA che deriva dalla Pop Art è pittura cartellonistica.
Nel libro “Le parole le cose” di Michel Foucault, pubblicato nel 1966,il filosofo tenta l’interpretazione, o meglio dà una propria interpretazione della opera di Velazquez: “Las Meninas” All’inizio del libro descrive in modo dettagliato l’opera del pittore madrileno, ritorna con un richiamo a pagina 77. L’esposizione dettagliata del quadro, sotto il titolo “Damigelle d’onore”, esamina con puntigliosa precisione la posizione del re nell’opera, e parla di “ritorno al linguaggio”. Tema altamente speculativo, segue la non meno profonda analitica della “finitudine”. L’analisi si avvale della raffinata dialettica nella quale Foucault è maestro, ma sembra cadere vittima dei propri paradossi. Cosa significa, nella elaborazione ermeneutica l’affermazione “ritorno del linguaggio”? Quando mai il linguaggio andò perduto così da renderne possibile il ritorno? Il lettore, intimidito dalla colta dissertazione del maestro, forse rinuncia a chiedersi in quale epoca all’intera umanità si è creato un buco nero nella storia del linguaggio. Tutta la cultura sembra essere messa in forse dalla semplice affermazione di Foucault che pare aver scoperto la base della ragione dell’intero occidente. Entrano nel giudizio Platone, Aristotele, gli stoici così come i grammatici antichi che stabilirono le basi del nostro comunicare, gli eroi omerici, Kant. Tutti costoro, e molti altri si sono pronunciati sui temi che Foucault sembra scoprire oltre 2000 anni dopo.
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