Prima che la modernità annullasse nella materia ogni sensibilità, la capacità creativa degli esseri umani si esprimeva attraverso faticosi ed entusiasmanti percorsi. Il passaggio tra l’arte romanica e l’arte gotica avvenne con l’accordo e la combinazione delle masse romaniche e della volta a costoloni dell’arte gotica. L’arte romanica appartiene a un ordine assai antico, legato a un lungo passato storico, mentre molto più tarde sono le invenzioni che hanno consentito ai costruttori dell’Ile-de-France da trarre dall’uso del costolone uno stile e le sue conseguenze., fino ai paradossi strutturali del gotico rayonnant. Tale considerazione riceve una singolare conferma dallo studio della scultura. L’immagine della vita umana, quale è rappresentata nelle cattedrali non è nulla oltre ciò che agevolmente possiamo riconoscere come nostro patrimonio. Quando l’uomo ritraeva se stesso e nel segno dell’uomo per l’uomo dava spazio alla speranza, non era necessario arricchire di metafore e concetti il segno. L’arte registra un paradosso mai sufficientemente sottolineato. Man mano che il “progresso” avanza, arretra la speranza, l’uomo è sommerso dalla abbondanza di ciò che produce, crede di avere un dominio sulla materia, si allontana dalla natura, perde la misura di se stesso. Pensiamo per un momento alla metastasi urbana che ha coperto buona parte del pianeta e paragoniamola all’umiltà degli antichi Germani i quali, prima di gettare un ponte tra le due rive di un fiume, attuavano riti propiziatori per chiedere preventivamente perdono per la violazione della integrità del territorio. Ciò che può essere liquidato come superstizione è prima di tutto rispetto della natura. Lo ricorda Hans Jonas nel suo interessante libro “Il principio responsabilità”. L’uomo contemporaneo, tutto preso dal proprio solipsismo che si riduce a pretendere diritti incivili, ignora del tutto la natura, convinto di dominarla. Così l’arte riflette questa follia. Abbandonata ogni utopia progettuale, si affida al segno tautologico di una realtà uguale a se stessa, producendo forme prive di significati simbolici. Esattamente come il “progresso” ha rimosso la fatica della vita quotidiana, l’arte, o ciò che ancora viene indicato con questo sostantivo, si affida alle effimere tracce del costruito, della tecnica. Sarebbe arduo cercare significati iconologici nell’arte di oggi. La qualitatività, la soggettività, e l’unità non sono caratteristiche differenti; sono invece aspetti di una sola caratteristica, questa caratteristica è la genuina essenza della coscienza di se, e del proprio rapporto con quello che sinteticamente e semplicisticamente viene chiamato “mondo”. L’artista non può produrre nulla se non partendo da ciò che ha dentro se stesso, cultura e sensibilità coltivata dentro di se. L’azione volontaria, semplicemente, ha un differente campo di coscienza rispetto a quello della percezione, ma nulla di ciò che penso e costruisco può essere in contraddizione con quello che sono. In questo senso non si può che prendere atto che tutte le cosiddette “cesure” nei confronti del passato, non nascono da un progetto, ma da un rifiuto. Il rifiuto della fatica della ricerca, l’umiltà che ispirava gli artisti del passato, inducendoli a far tesoro di ciò che i loro predecessori avevano realizzato. Mentre il passaggio dall’arte romanica all’arte gotica, dall’arte gotica al barocco sono stati graduali, meditati, d’un tratto l’arroganza dei moderni, ha tutto azzerato, assumendo a giustificazione bizzarre teorie sincretistiche, nel senso originario del termine. Hanno gettato sensibilità e l’arte, nel crogiuolo divorante della tecnica. Una confessione d’impotenza, nell’eccezione latina del termine “confessione” che significa testimonianza.
Considerazioni sull'arte
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