Archives for : giugno 2018

Il culto di Dionisio.  0

AAAAAAAAAAAAAAAAA-NEWSLETTERForse nessun libro ha descritto la folla come annullamento delle differenze con l’efficacia di  Elias Canetti in “Mass und Macht”. In ogni ambito della conoscenza la diffusione del sapere in senso orizzontale ha potenziato la tendenza a dare una interpretazione di comodo al pensiero e alla storia umana  a iniziare dal mito. Nietzsche e Rudolf Otto che  hanno trasformato il carattere odioso di Dionisio, sottacendone la vera natura fatta di violenza e malvagità. Euripide è indubbiamente estraneo a simile interpretazione. Solo il donchisciottismo masochista del mondo d’oggi poteva trovare dilettevole un dio che semina odio e distruzione. Il dio non ha essenza propria al di fuori della violenza. Se, al pari dell’Apollo di Delfi e del mito di Edipo, Dionisio è associato all’ispirazione profetica è soltanto perché nell’ebbrezza dell’abbandono dionisiaco si attua il rito sacrificale. Non vi è nulla nella tradizione dionisiaca antica che si riferisca alla cultura della vite o alla fabbricazione del vino. Tiresia definisce Dionisio il dio dei moti panici, dei terrori collettivi, egli incarna la più abominevole delle violenze, è sorprendente che venga associato, a partire da Nietzsche, alla gioia della festa, sia pure sfrenata delle Baccanti. Sotto il nome di Bromios, il Rumoroso, il fremente, Dionisio provoca un imprecisato numero di disastri. L’analisi  dei testi conferma le ipotesi che fanno del culto di Dionisio un invito al sommovimento sociale. L’opera di Erwin Rohde esprime forse la più chiara e completa intuizione sulla vera natura del mito dionisiaco. Gli uomini hanno sempre tentato di porre la violenza al di fuori di se stessi, in una entità separata, sovrana e redentrice, utilizzando una vittima espiatoria. La civiltà di massa ha creato le premesse per dare carattere collettivo alla ricerca del capro espiatorio. I genocidi programmati del secolo breve ne sono testimonianza. L’ispirazione tragica dissolve le differenze fittizie nella violenza. Demistifica l’illusione di una comunità innocente. Abolite le differenze di genere, nelle feste dionisiache era permesso alle donne di bere vino, esse rivelavano una violenza ben più terribile di quella maschile. Sono infatti le donne le principali protagoniste dei baccanali dionisiaci. Euripide avverte tale ambiguità e la sottolinea. Marie Delcourt-Curvers si chiede quale significato abbia inteso dare il poeta  allo scatenarsi delle Agave e delle sue compagne. La ripartizione manichea in buoni e cattivi si dissolve nel baccanale e tutto ciò che l’essere umano è nel suo profondo viene fuori nell’esternazione della più sfrenata violenza. Sul ruolo delle donne nelle società primitive è ritornato Lèvi-Strauss nel suo saggio “Tristes Tropiques”, studiando i villaggi sudamericani dei Bororo. Il dionisiaco contemporaneo si attua anche attraverso la femminilizzazione degli uomini  e la virilizzazione delle donne. L’idea accettata che gli uomini si comportino come donne e le donne come uomini provoca un preoccupate scompiglio. L’annullamento graduale delle differenze sessuali marca il regresso di una società confusa che non ha più neppure la capacità di avvalersi del rito per esorcizzare i radicalismi che rendono così effimero lo stesso concetto di civiltà.

 

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La grande letteratura Russa.  0

 

 

Come e forse più che la rivoluzione francese del 1789, la rivoluzione russa fu preparata e seguita dai grandi scrittori. Oggi, quando si parla di cultura, si tende a dare un gran peso all’internazionalismo e al multiculturalismo, soprattutto  si tende a negare  le radici nazionali della cultura. E’ curioso che la Russia abbia dato vita a una quantità di grandissimi scrittori, alcuni forse sopravalutati, come Leonid Andreev, di cui Piero Gobetti fu grande ammiratore e  che citò nel suo libro Il “Paradosso”. Ma non c’è dubbio che l’elenco degli scrittori che hanno lasciato il segno nella storia, non solo nella letteratura, sarebbe davvero lungo. Dostoevskij,Gor’hij, Tolstoj, Pastenak, Puschkin, Turgenev. Vi è un aspetto singolare; a tanti talenti letterari non fanno riscontro filosofi di pari levatura. Quando Lenin si cimentò con la filosofia scrisse: “Empiriocriticismo”. Non  certo un tema che possa aspirare  a rappresentare il vertice del pensiero filosofico. In compenso  molte opere di  Dostoevskij sono considerati i veri  e propri trattati di psicologia.  i Turgenev  a sua volta trasse ispirazione dalla filosofia di Schopenhauer . “Padri e figli”  è chiaramente ispirato alla filosofia del filosofo tedesco preferito dallo scrittore il quale  non apprezzava affatto Hegel. L’interesse per Schopenhauer, anche se non poteva diventare fenomeno di massa, fu assai diffuso  nella Russia del tempo di Turgenev. L’altro grande schopenhaueriano della letteratura russa fu Tolstoj.Se confrontiamo la qualità e i temi degli scrittori citati, altri se ne potrebbero aggiungere,  e  seli paragoniamo alla letteratura contemporanea mediamente considerata non abbiamo motivo di ottimismo. Gli aedi del progresso si affannano a valorizzare il presente, il dubbio è che non conoscano il passato o che non abbiano capito il presente che esaltano.

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Memoria e riflessione  0

Memoria e riflessione.
Dobbiamo tener presente l’analisi della coscienza nelle determinazione storica dei fenomeni culturali. Ciò significa che, quando un fenomeno artistico è contingente, cioè si situa nel presente, la sua percezione può essere di carattere emotivo ma non assume una vera rilevanza culturale. Sebbene sulla base della percezione sensibile il nostro interesse pratico ed emotivo possa essere risvegliato, si tratta di una sensazione transitoria che non ha rilevanza di carattere gnoseologico e si riduce a pura sensazione. Husserl tenta di risalire all’origine superando la idealizzazione dell’opera che costituisce particolare difficoltà per la soggettività dell’ego dell’artista il quale raramente sembra possedere un filtro critico, ma assume prevalentemente presunte positività trascurando le instantiae negativae. Bacone annovera tra gli idola tribus la tendenza a conservare nella memoria solo il positivo dimenticando le istantiae negativae. Qualcosa di analogo si verifica in rapporto al discrimine linguistico che determina le convenzioni. A partire dal Prometeo di Eschilo. L’ottimismo è un carattere dell’esperienza umana dal punto di vista del significato antropologico. La testimonianza più antica possiamo trovarla in Anassagora tramandateci da Plutarco . Platone attesta tuttavia, allo stesso modo di Aristotele, che si tratta di una tendenza a superare le forme di criticità non attraverso la riflessione, ma piuttosto in forma di superamento affidato alla amnesia. Temistio commenta e illustra questo passaggio richiamandosi alla difficoltà di apprendimento di cui parla anche Aristotele riferendosi ai concetti della scienza. Ecco dunque che quando l’artista produce un’immagine senza risvolti di carattere gnoseologico, sulla base di una epistemologia basata sull’emozione , il suo raccoglierli in serie successive conduce all’unità dell’archè, termine che significa insieme “comando” e “principio”. La negatività può anche avere un senso peculiarmente produttivo. Non può essere semplicemente illusione, riconosciuta come tale, ma una capacità di utilizzare la sensibilità consapevole per arricchire il proprio bagaglio di conoscenza. Su questo principio, analizzato da Hgel, richiama l’attenzione Heidegger , che se ne è sentito insieme attratto e respinto. In nessun caso comunque è stato risolto il difficile problema della lettura produttiva dell’opera d’arte il cui contenuto oggettivo resta di difficile definizione.

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Nuovi approcci a vecchi temi.  0

 

Nuovi approcci a vecchi temi.

 

La critica che, dalle più diverse posizioni gli avversari di Hegel hanno rivolto contro la filosofia della ragione assoluta, non riesce a spuntarla contro la consequenzialità rigorosa della mediazione dialettica totale quale è descritta specialmente nella fenomenologia dello spirito, cioè la scienza del manifestarsi del sapere. Non si può negare che certe obiezioni di Ludwig Feuerbach abbiano una certa validità,esse  sono pensate come figure dello spirito che Hegel descrive soprattutto nelle forme iconiche dell’idealismo come ad esempio nella critica neokantiana della filosofia della vita e dell’esistenzialismo. Rickett nel 1920 discusse le basi della filosofia senza poter in alcun modo limitare gli effetti dell’ influsso di un insorgente cinismo che iniziava allora a manifestarsi. In questo si dimostra chiaramente l’intima contraddittorietà di ogni  relativismo. In Italia argomenti e teorie  riflessive  sulla legittimità filosofica sono soltanto apparenti. E’ ormai accertato dai più attenti filosofi contemporanei il carattere di apparente spurio dei  ragionamenti che pretendono di avere radice nell’antica sofistica, per altro già  messa in discussione da Platone. Nella filosofia dell’arte accade che vengono usati argomenti speciosi per giustificare sia l’epistemologia che l’ontologia. L’arte finisce per cadere in un eccesso di autoreferenzialità. In questo senso si rende necessario rivedere la posizione che la critica e la filosofia dell’arte hanno assunto in questi ultimi 50 anni. Oggi la nuova disciplina, “Cultura visuale” o Pictorial Turn, ovviamente nata negli USA,  tende a far apparire superata critica e filosofia dell’arte così come si articolata fin ora,ciò  era prevedibile. Questa nuova dottrina delle Scienze della visualità, sembra peraltro afflitta da ansia totalizzante nella pretesa di voler riunire in un’unica disciplina il variegato mondo della teoria dell’arte, della storia dell’arte e della filosofia dell’arte. Il discorso è tanto complesso quanto pleonastico dal momento che il sincretismo culturale non costituisce mai un vero arricchimento, tanto meno trova giustificazione la pretesa di racchiudere all’interno di un unico percorso teoria e modalità della visione. Questo nuovo approccio affronta vecchie tematiche, non potendo mutare la concretezza dell’assunto, rivisita argomenti noti da un’angolazione diversa. In questo modo  ottiene di sottrarsi alle conseguenze logiche di un sapere radicato che è difficile contrastare. Più facile adottare un nuovo lessico che imprima l’apparenza del nuovo. Detto in altri termini è forse più semplice ribaltare il tavolo quando la partita risulta persa in partenza e ricominciare con una nuova avventura. Oltre tutto  questo è coerente con la tendenza di questi ultimi anni durante i quali abbiamo assistito alla proliferazione di cattedre universitarie come conseguenza della frammentazione delle antiche discipline. Il profluvio di pubblicazioni non consiste in altro che nella rimasticazione di argomenti noti presentati sotto nuove copertine. Le cattedre universitarie  proliferano in misura inversamente proporzionale alla capacità di creare e comunicare sapere  che affronti questioni irrisolte. Rapporti sociali, politica, arti visive, letteratura, sono ridotti a un livello infimo, tutto è giustificato con il progresso tecnologico che però non serve a migliorare la qualità delle opere che nascono da sensibilità e intelligenza degli esseri umani.aaaaaaaaaaaaaaaMisteri-dell'universo-Newsletter

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Da Apelle a Warhol  0

Nel continuo borbottio  che è oggi la cultura contemporanea, pare emergere una asettica accettazione della kantiana  “cosa in sè” avversata da Hegel. Dove la cosa in sè si riduce  a una serie di icone prodotte da chi, dopo aver messo in discussione i cosiddetti stereotipi della cultura e dell’arte, li ha semplicemente sostituiti  con riferimenti iconici di basso profilo. Il profluvio di articoli e libri sull’arte sembrano seguire la coazione indicata nella “Colonia Penale” di Kafka che consiste nel continuare a parlare laddove nulla si può dire, così capovolgendo il monito di Wittgenstein. Il linguaggio dell’arte, un tempo detta figurativa, non sembra essere in grado di esprimere la propria narrazione.  L’artista che intende imprimere il proprio segno sulla tela da sempre si affidato a una certa casualità. Si narra un aneddoto sul pittore Apelle, il quale, frustrato  dalla impossibilità di dipingere la schiuma che usciva dalla bocca  del cavallo rappresentato nell’opera che stava realizzando, al culmine dell’ira, gettò la spugna intrisa di colori contro il quadro incompiuto, ne ottenne con stupore l’effetto desiderato. Ecco dunque che le riflessioni logico-dialettiche sono spesso del tutto immaginifiche. L’idea espressa da Gadamer che l’arte esprima un attimo di verità andrebbe forse riconsiderata alla luce del caso che ha una parte non secondaria nella creazione artistica come nella scienza. La filosofia della natura e la biologia contemporanea hanno ampiamente  dimostrato quanta parte abbiano il caso e la necessità come recita il libro di Jacques Monod pubblicato nel 1970. La voragine del non senso travolge anche Hegel. In un recente libro pubblicato da Einaudi, si arriva a ipotizzare che Hegel  abbia in qualche modo profetizzato l’avvento  di Andy Warhol, il celebre grafico pubblicitario, considerato dalla critica d’arte un artista.      Barbarella-500

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Dal Simbolismo al Camp.  0

Che ne è del concetto di simbolo espresso dall’opera d’arte? Schelling  sintetizza l’inadeguatezza  di talune forme allegoriche con le quali l’arte intende esprimere una coscienza mitica. Cassirer ha affrontato il tema in un ampio trattato sulla “Filosofia delle forme simboliche”. Il simbolismo estetico oggi non ha più diritto di cittadinanza in un’arte che ha ripudiato l’estetica, inconsapevole dell’abissale contraddizione con se stessa. L’arte non dovrebbe esprimere una rigida contrapposizione  tra il concetto di simbolo come qualcosa che si è sviluppato all’interno di una cultura che conservava carattere antropologico, e l’allegoria associata a un freddo intellettualismo.  La base dell’estetica dell’ottocento era la libertà dell’attività simbolica del sentimento, il  che non significa esprimere verità, sia pur  limitata alla tradizione mistico-simbolica, ma semplicemente stati d’animo, sensazioni, impulsi che però hanno alla base una maturazione culturale che consente  un’apparente spontaneità e  immediatezza. Dovremmo renderci conto che questi problemi costituiscono la base stessa dei concetti estetici rinunciando ai quali resta soltanto  una sorta di navigazione a vista. L’ inoltrarsi su un terreno inesplorato senza capacità di reperire le tracce di un passato che costituisce ragione  e materia culturale nella quale l’arte trova il proprio humus  e la propria giustificazione d’essere. L’alternativa è  attribuirsi una totale autoreferenzialità. E’ quanto è accaduto con le avanguardie storiche. Alla base di tali atteggiamenti vi è la  presunzione di creare non solo l’opera, ma anche il contesto nel quale l’opera si radica. Il Paralogismo che ha ispirato l’operazione distruttiva  ha portato al fallimento. Purtroppo il milieu culturale che costituisce il megafono del mercato non accetta, o forse non vede, come l’arte sia ridotta in gran parte a camp, affidata a tycoons  avventurosi che la tengono in vita l’arte attraverso il mercato sicuramente  senza porsi preoccupazioni di carattere estetico e/o filologico. Lo stesso concetto di coscienza estetica  è diventato problematico, e quindi  anche il punto di vista dell’arte da cui esso parte. Non credo si possa mettere in dubbio che la deriva dell’arte è stata provocata dall’abbandono  della coscienza estetica .    aaaaaaaaaaaaaaCAMP.500

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