Nel continuo borbottio che è oggi la cultura contemporanea, pare emergere una asettica accettazione della kantiana “cosa in sè” avversata da Hegel. Dove la cosa in sè si riduce a una serie di icone prodotte da chi, dopo aver messo in discussione i cosiddetti stereotipi della cultura e dell’arte, li ha semplicemente sostituiti con riferimenti iconici di basso profilo. Il profluvio di articoli e libri sull’arte sembrano seguire la coazione indicata nella “Colonia Penale” di Kafka che consiste nel continuare a parlare laddove nulla si può dire, così capovolgendo il monito di Wittgenstein. Il linguaggio dell’arte, un tempo detta figurativa, non sembra essere in grado di esprimere la propria narrazione. L’artista che intende imprimere il proprio segno sulla tela da sempre si affidato a una certa casualità. Si narra un aneddoto sul pittore Apelle, il quale, frustrato dalla impossibilità di dipingere la schiuma che usciva dalla bocca del cavallo rappresentato nell’opera che stava realizzando, al culmine dell’ira, gettò la spugna intrisa di colori contro il quadro incompiuto, ne ottenne con stupore l’effetto desiderato. Ecco dunque che le riflessioni logico-dialettiche sono spesso del tutto immaginifiche. L’idea espressa da Gadamer che l’arte esprima un attimo di verità andrebbe forse riconsiderata alla luce del caso che ha una parte non secondaria nella creazione artistica come nella scienza. La filosofia della natura e la biologia contemporanea hanno ampiamente dimostrato quanta parte abbiano il caso e la necessità come recita il libro di Jacques Monod pubblicato nel 1970. La voragine del non senso travolge anche Hegel. In un recente libro pubblicato da Einaudi, si arriva a ipotizzare che Hegel abbia in qualche modo profetizzato l’avvento di Andy Warhol, il celebre grafico pubblicitario, considerato dalla critica d’arte un artista.
Considerazioni sull'arte