Post by Category : arte e cultura

Le discipline tecnologiche si considerano esentate da valutazione etica.  0

Nel libro “Introduzione all’etica” , Edmund Husserl affronta, tra l’altro, il tentativo di definizione o confronto, della cultura, pratica e teoretica. Il tema, in forma e con intenti diversi, è stato trattato  da Snow Charles Percy in un libro pubblicato nel 1980 con il titolo “Le due culture”.

Oggi forse l’argomento è di minore attualità dal momento che la cosiddetta cultura umanistica ha lasciato il posto alle dottrine tecniche.

La filosofia ha di fatto rinunciato ad essere la coscienza critica della società, impiegata piuttosto nel giustificare la deriva etica. Il pensiero debole è uno dei percorsi verso l’abbandono di tutto ciò che costituiva l’impalcatura di sostegno alla fragile società umana, l’osservazione del dato cognitivo dell’esperienza.

Le discipline tecnologiche, più in generale scientifiche, si sono sottratte alla valutazione etica e per certi aspetti anche alla ragione, intesa nel senso più ampio, cioè non concentrata sul risultato immediato. Il settore in cui è più palese la cecità della scienza è testimoniato dalla distruzione dell’ecosistema.

Un altro campo in cui emerge lo spregevole cinismo della civiltà, è quello degli armamenti. Mentre una larga parte del pianeta soffre la fame e le conseguenze delle malattie, sono state destinate risorse enormi per l’invenzione e la produzione di armi sempre più sofisticate e letali. Tutto sempre declamando il rispetto dei diritti dell’uomo e la sacralità della democrazia.

E’ chiaro che, vista la situazione, qualsiasi interesse al campo dell’arte appare come pretesto di distrazione. Ma, per ritornare al riferimento iniziale, anche l’arte ha abbandonato il principio teoretico, cioè la cultura “inutile” come la definiva Bertrand Russel, per adottare la tecnologia e le modalità di creazione della realtà virtuale.

Husserl sembra aver realizzato che la distinzione tra cultura pratica e cultura teoretica finisce per essere questione di lana caprina. Il bisogno di cultura, senza distinzioni, nella società è venuto meno. Ci sono stati ingegneri che hanno creato capolavori letterari, giuristi che hanno creato opera d’arte meravigliose, medici che hanno indagato le profondità della coscienza umana. Tutti costoro attuavano autonomamente la distinzione tra conoscenza  delle tecniche professionali, e il bisogno di coltivare la sensibilità nutrita dalla cultura umanistica senza la quale ogni vera cultura è chimera.     George Grosz- 500

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Il bello è ancora indice di perfezione?  0

I filosofi che si sono occupati di etica hanno fatto distinzione tra etica del sentimento ed etica della ragione. Il sentimento attiene alla sensibilità e privilegia impulsi individuali.

Sofocle affrontò il tema in Antigone dove narrò del confronto tra Antigone, sorella di Edipo, che si battè strenuamente per ottenere che Creonte concedesse la sepoltura a suo fratello Polinice.

L’etica del sentimento, vale a dire della preminenza dell’emotività, concerne anche l’arte, nell’approccio emotivo e nella lettura delle opere. Il tema è stato trattato di recente nel libro “ La tirannia delle emozioni” di Paolo D’Angelo.

Per Shafterbury, teorico dell’etica del sentimento, la morale è un’estetica delle inclinazioni. Il gusto deve essere integrato dalla cultura. Quale cultura?

Vale l’affermazione dello stesso filosofo: “ Il bello è indice di perfezione”.

Cumberland, altro esponente dell’etica del sentimento, afferma che vi è coincidenza tra virtù e felicità. Questo, mi si passi la boutade, spiegherebbe perché c’è tanta infelicità nel mondo contemporaneo.

E’ chiaro che l’etica del sentimento accantona la ragione come guida verso la comprensione delle norme che regolano i rapporti interpersonali e sociali a prescindere dalle ragioni eidetiche.

L’uomo contemporaneo, non solo ha eliminato da lessico e prassi i sentimenti nobili come virtù, dovere, responsabilità, ma ritiene che la civiltà sia basata sui diritti individuali di qualsiasi genere. Va da se che i diritti, per concretizzarsi, comportano in primo luogo che non ledano il rispetto del prossimo e della società. Sappiamo che così non è.

Da cosa è determinato il comportamento pratico delle masse? Di recente un gruppo di studenti ha manifestato in corteo contro il merito, per costoro era un loro diritto non essere giudicati in base al merito. L’uomo dovrebbe essere motivato verso qualcosa che lo renda capace di affrontare le difficoltà che la vita presenta. Invece prevale un sentimento edonistico. L’arte riflette questa tendenza.

David Hume Fu forse il più grande degli spiriti critici della insorgente modernità. Nella sua opera, “Trattato sulla natura umana” , travalica lo psicologismo di Locke e affronta il tema del porsi praticamente della persona nella società, egli è consapevole che l’etica del sentimento si traduce spesso in solipsismo e nella pratica del peggior darwinismo sociale.emotività in pittura- 500

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La dotta ignoranza della contemporaneità.  0

I filosofi da secoli tentano  di affrontare il problema dell’essere umano, tra mille contraddizioni. Heidegger afferma: “Al di là dell’esame letterale di ciò che i filosofi hanno detto, in pochi sono riusciti  a capire ciò che hanno voluto dire. Nel frattempo la civiltà prosegue il declino archiviando tutto ciò che limita o contrasta la piena libertà del corpo.

Nel 1889 Enrico Bergson sostenne alla Sorbona l’esame per il dottorato, presentando come tesi “Il saggio  sui dati immediati della coscienza”. Diventerà il suo libro di maggior successo. Egli scrive: “ Per lo più, viviamo esteriormente a noi stessi, scorgiamo del nostro io  il fantasma …..viviamo per il mondo esterno anziché per noi, parliamo più di quanto pensiamo..”

L’America, tra il pragmatismo dei suoi filosofi, inclusi gli anacoluti dei filosofi dell’arte, ha contribuito non poco ad avviare la deriva dell’Occidente. Nel libro “Dopo la fine dell’arte” pubblicato da Arthur C. Danto nel 1997,l’autore scriveva: “ ..La Metafisica era priva di senso perché era del tutto scollegata dall’esperienza, nonché dall’osservazione”. In questo modo viene liquidato il profondo pensiero dei filosofi che hanno tentato di definire la natura, l’essenza dell’uomo, i grandi pensatori dell’Occidente liquidati da presuntuoso parvenu.

In realtà la Metafisica evidenzia i nostri limiti , tenta di dare risposte ad aspetti fondamentali della natura umana e dell’esistenza dell’uomo. La società occidentale ha archiviato gran parte dello studio della cultura umanistica, quasi a far tacere la coscienza critica che mette in crisi la realtà contemporanea.

Kant ha preferito porre la libertà fuori dal tempo ed elevare una barriera insuperabile tra il mondo dei fenomeni  e quello delle cose in se, perché, egli sostiene, la ragione non è, e non potrà mai diventare popolare

La metafisica si pone il problema d’indagare le facoltà fondamentali dell’essere umano, quindi si traduce in antropologia al massimo livello.

Nicola Cusano nel 1440 scrisse  il libro “La dotta ignoranza” , segno che il problema della semplificazione truistica è antico. Ma la contemporaneità, anziché correre ai ripari, incrementa il qualunquismo socio-culturale  Nel 2005 Pascal Engel e Richard Rorty pubblicarono “A cosa serve la verità”, compendio di cinismo ed approssimazione culturale che fa il verso a Pilato quando si chiese: “Cos’è la verità?”.

Caspar David Friedrich

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Immaginazione e conoscenza.  0

Da tempo è in atto un dibattito sulla fruizione emotiva dell’arte. Alcuni ritengono l’emotività un modo ottimale di affrontare la lettura dell’opera, altri propendono per l’approccio razionale.

Entrambe le opinioni sono apofantiche perché trascurano di considerare le suggestioni a cui siamo soggetti, oltre alla qualità e la natura delle esperienze soggettive.

Kant riduce espressamente lo scaturire della nostra esperienza a due fonti principali. Egli sostiene che innanzi tutto è da considerare la ricettività delle impressioni. Il secondo aspetto è quello che conosce in un oggetto le rappresentazioni, ovvero spontaneità dei concetti.

La conoscenza umana forse è legata a meccanismi mentali ancora in parte  sconosciuti. Si da per certo abbia origine dalla sensibilità e dall’intelletto.  Mediante il primo gli oggetti ci vengono dati. Con il secondo vengono pensati.

Senza dubbio gioca un ruolo la interiezione che però è  poco di aiuto nella interpretazione del  fenomeno arte.

Quando Einstein afferma che l’immaginazione è più importante della conoscenza, dice cosa vera perché l’immaginazione  è una forma di intelligenza creativa potenzialmente infinita, mentre la conoscenza è per definizione limitata oltreché non sempre corretta.

L’immaginazione non è riducibile alla sola sensibilità e alla ragione, se l’immaginazione creativa nasce esclusivamente dall’esperienza, per così dire si materializza, e non è più pura immaginazione, è simile alla emersione dal fiume carsico creato dal nostro vissuto e dal nostro pensato che ad un tratto emerge con prorompente energia e  consente di creare ciò che forse a lungo abbiamo pensato. Ecco perché il vissuto è importante.

L’eristica usata da critici e filosofi dell’arte è un fattore di suggestione, non di conoscenza, con la scrittura sinottica dei cataloghi, si indirizza l’osservatore verso una interpretazione funzionale alla valorizzazione dell’opera il cui contenuto è spesso banausico.

In “Nascita della tragedia” Nietzsche sottolinea l’enorme contrasto, per origine e per fini, tra l’arte dello sculture e del pittore, da lui considerata apollinea, e l’arte non figurativa della musica che considera dionisiaca. Oggi queste distinzioni non hanno forse molto senso, visto la commistione delle arti. La nostra epoca, che si crede superiore, usa l’idea di libertà, anche per l’arte, come un passepartout per ogni forma di devianza.

Il risultato è che l’artista il quale produce forme vuote, è suo malgrado la cifra del tempo che viviamo.  Nel 1958 Jean Paul Sartre pubblicò “La nausea” . Nel libro narra del vuoto incolmabile che si stava creando nella società occidentale, la rinuncia ai valori e frustrazione all’origine dello scivolamento di Antonio Roquentin, protagonista del romanzo. Da allora molta acqua è passata sotto i ponti della Senna, nel frattempo  l’occidente non è certo migliorato.

Magritte

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Le domande essenziali dell’esistenza sono diventate argomento per umoristi.  0

L’assuefazione alla realtà, la dominanza dell’animale che è in noi, rende la mente impermeabile al pensiero. Aristotele sosteneva che l’uomo è un animale razionale, quindi nella misura in cui viene meno la ragione, l’animale prevale.

Non è vero che la cultura renda migliori, fornisce solo la capacità di giustificare le proprie aberrazioni. Scriveva Chanfort: “ il teatro è la prova che gli esseri umani, anziché correggere i propri vizi, preferiscono celebrarli”. Proviamo immaginare cosa scriverebbe Chanfort oggi. Se queste affermazioni  appaiono eccessive, pensiamo a quanto poco ha inciso la cultura nei secoli  a partire dalla Grecia antica.

Di fronte al crescente degrado della società, non si vedono tentativi di ristabilire un minimo di etica, anzi il degrado non è affatto  percepito. Le domande essenziali dell’esistenza sono diventate argomento per umoristi. Nietzsche, nei cui testi si raccoglie la tradizione nella variante moderna, soprattutto positivistica, ha messo in opposizione l’apparenza con l’arte, entrambe modi di espressività dotate di modalità e realtà diverse, arrivando alla conclusione che l’apparenza cancella l’arte, riducendola rappresentazione priva di significato.

La filosofia dell’arte rappresenta l’aspetto pleonastico dell’argomentare.

Rendersi intellegibile è il suicidio della filosofia. Coloro che idolatrano i fatti, nel senso di opere “apparenti”, non si rendono conto che i loro idoli brillano solo di luce riflessa, se ne rendessero conto forse sarebbero sconcertati.

L’ermeneutica culturale, cioè l’interpretazione dei fenomeni sociali, è al servizio dello status quo e del mercato, questo  è uno degli aspetti peggiori di una società dell’apparenza.

Come scrive Heidegger non  si può spacciare per ragione l’argomentare solipsistico che giustifica la nostra crescente inadeguatezza. Il pensiero è lo strumento per formulare le domandare. Porre domande è un’operazione difficile, la motivazione del domandare è già una parziale risposta.

Non a caso la filosofia di Parmenide, Eraclito, Platone consiste innanzi tutto nel domandare.

Domandare è l’inizio non solo della filosofia ma della civiltà. Senonchè, siamo vincolati da troppo tempo e troppo saldamente alla contemplazione di noi stessi e al soddisfacimento dei bisogni del corpo. Anassimandro ha descritto in modo esemplare i limiti che la carne pone al pensiero. L’intera storia umana si basa sul confronto e soggiogamento della natura .

Nel libro “ Contributi alla filosofia” , Heidegger cita spesso Holderlin, il poeta che, per lui,  più di ogni altro ha intuito il futuro di ciò che sarebbe stato possibile se la viltà della carne non avesse preso il soppravvento. L’arte non è stata un argine, ma ha creato il solco entro il quale scendere al livello di ciò  che la massa voleva.             Debora Coli- 500

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Pseudo cultura di massa e superficialità.  0

L’età moderna registra il perpetuarsi di una decadenza che dura da Platone è pure capace di convincersi che la propria insipienza sia il superamento della tradizione. Ciò porta esperienze che sono il vivere la propria banale mediocrità ed accettare lo sgretolamento dei principi che hanno reso possibile il costituirsi della società civile.

Anche l’arte è asservita al consumo veleggiando all’interno di una cultura della superficialità e cecità riguardo al nucleo essenziale di ciò che costituisce la crescita umana, la inconsapevolezza di ciò che Nietzsche per la prima volta ha riconosciuto come nichilismo. Il nichilismo di Nietzsche è rimasto tutt’ora incompreso, soprattutto non ha portato alla meditazione. Se così non fosse non sarebbero sorte le avanguardie artistiche con l’avvallo di  una filosofia da rotocalco.

Nel vuoto, trova ampio spazio la tecnica , la quale si fonda epistemicamente sul sapere matematico in grado soggiogare la natura e dominarla. A ciò corrisponde al modo in cui si giunge al sapere e alla diffusione rapida e di massa di conoscenze mal comprese tra il maggior numero di persone possibile e nel più breve tempo possibile; la scolarizzazione che nella pratica odierna capovolge lo stesso significato del sapere. Tutto questo diventa inquietante  quanto meno è appare, quanto più facilmente diventa quotidianità.

Questa aridità culturale e mentale è perfetto terreno di coltura della emotività e di un piatto sentimentalismo privo di autenticità. Prende spazio il vissuto, l’accumulo di esperienze per colmare il vuoto che deriva dalla difficoltà di capire. L’Essere diventa preda della caccia di esperienze vissute.

Diceva Giovanni Scoto Eriugena:  “Non serve cercare nell’esperienza ciò che l’esperienza non ci può dare, ma cercare in noi stessi e portare alla consapevolezza dello spirito tutte le nostre virtualità”.  Un simile preposizione nella contemporaneità non ha significato ne senso.

L’arte contemporanea si affranca dall’esperienza di vita vissuta? Oppure cambia solo ciò che viene vissuto addirittura in modo tale che adesso il vivere diventa ancora più soggettivo? Il vissuto diviene l’indole tecnologica dell’impulso creativo stesso, il come del fare e dell’inventare  informale e le relative distonicità e vuotezza  del simbolo il quale rimane ancora metafisica del vissuto, dell’Io come unico, discontinuo riferimento, dal cui vuoto nascono gli incubi di esistenze infelici.

 

mostro 500

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Narcosi da consumo.  0

 

Secondo una tesi centrale del pensiero postmoderno, nella nostra società i segni non rimandano più a un significato, ma sempre e soltanto ad altri segni, noi nelle nostre analisi non cogliamo più qualcosa come significato, ma ci muoviamo lungo una catena infinita di significanti. Secondo questa tesi il segno, che Saussure poteva ancora descrivere come unità di significante e significato, sarebbe stato infranto. Si può osservare nella pittura a partire dalla fine degli anni settanta, messa a confronto con l’arte informale degli anni cinquanta e sessanta, un ritorno di segni che suggeriscono un significato, la cui particolarità consiste nel fatto che non si può in alcun modo attribuire loro un senso. Non è del tutto chiaro se al discorso sull’arte postmoderna corrispondano opere d’arte, stabilito che, come l’ombra non è l’ombra non è la cosa che3 riflette, così come la forma non è il significato.

Di fatto ci si trova di fronte al paradosso di dover tentare una ermeneutica su oggetti ai quali viene attribuito un “valore” ma a cui è pressoché impossibile attribuire un significato. Arnold Gehlen sostiene, non senza ragione, che la modernità artistica è entrata in una fase di “cristallizzazione” già prima della Grande Guerra, diventando incapace di rinnovamento. I movimenti d’avanguardia, con i loro plagi sfacciati e la loro provocatoria famigliarità, si pensi ai gesti pubblicitari dei dadaisti, hanno infranto anche i confini dell’arte d’intrattenimento, strettamente sorvegliati dalla modernità orientata alla centralità dell’opera. Essi hanno messo in discussione il concetto di necessità della forma, dominante fin da quando l’autonomia dell’arte venne istituzionalizzata. Essi si rivolgono all’allegoria, che conosce una forma non necessaria, puramente convenzionale. Ciò che oggi si cerca di definire con il concetto postmoderno, rischia di rivelarsi una dilatazione della problematica avanguardistica che ha di fatto rinunciato all’arte in favore della modernità.

Mettendo sempre di più l’arte di fronte alla propria infondatezza, la modernità ha eliminato l’elemento semantico come estraneo alla “purezza” dell’estetico, prima di rinunciare all’estetico considerandolo una camicia di Nesso per la libera creazione.. Tutto ciò è stato possibile in quanto il supporto del mercato ha di fatto permesso di coagularsi di gruppi per una produzione di oggetti destinati alla vendita, senza pleonastiche mediazioni culturali, se non nell’ottica di attribuzione di valore, con buona pace di Gorge Dickie. La nostra epoca vede il trionfo dell’edonismo effimero, quasi a consolazione per avere perso la speranza di  futuro ormai ritenuto  impossibile. Quello che non è avvenuto nei periodi bui della storia dell’occidente avviene oggi per effetto della narcosi da  consumo.beckley

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Fenomenologia dell’accadere.  0

L’arte è storia. La globalizzazione cancella la storia dei popoli, quindi cancella la loro arte, il loro modo di pensare l’arte.

Anche l’arte ha volte esprime  il culto della personalità, quando si fa riferimento al “genio”, si continua a muovere sul tracciato del moderno pensiero dell’io privo di coscienza, inglobante la materialità, senza mettere in questione la metafisica del corpo, accantonando sensibilità “anima”, spirito.

Il paradosso consiste nella celebrazione dell’artista, senza aver chiarito a cosa corrisponde la definizione del sostantivo arte, persistendo in un equivoco perenne. Sul tema esistono opinioni diverse. Dall’equivalenza di ogni opinione nasce la confusione dell’Occidente.

L’arte è un enigma, la filosofia invece di accampare la pretesa di risolvere l’enigma, dovrebbe quanto meno vederlo, accertarne la complessità. Secondo Heidegger la filosofia non può mai dimostrare le tesi, soprattutto perché non vi sono tesi assolute,

Nel momento in cui si affronta il tema dell’arte e degli artisti, la materia viene definita estetica. L’estetica considera l’opera d’arte come oggetto,considerando la percezione sensibile le modalità di approccio all’arte. in questo modo viene posta in secondo piano la gnosi ermeneutica. E’ stata questa  la premessa per il sorgere delle avanguardie.

Il mondo delle cose e il mondo dei significati, la corrispondenza del simbolo a cui l’arte tende, è il modo in cui la rappresentazione va oltre la forma,

Si continua a considerare immortali le opera d’arte. e l’arte come valore eterno, affidandosi ad  un uso generico del linguaggio,si  evita di guardare in dettaglio, perché si teme che l’attenta osservazione induca e pensare e ci ponga di fronte alla nostra incapacità di dare un senso a ciò di cui stiamo parlando. In questo modo si finisce a indurre l’artista a non pensare a ciò che sta facendo. Così galleggiano tra fatuo  e insignificante si avanza la pretesa di “ rompere gli schemi”  “ superare i pregiudizi” . In realtà si cancella  l’arte

L’arte può anche essere vista come la realtà  che la coscienza conferisce a se stessa. E’ qui che si radica il concetto di verità che l’arte dovrebbe esprimere. In assenza di coscienza ed etica la persona/artista naviga sulla superficie dell’esistenza e si disperde nella fenomenologia dell’accadere.pittura_encausto_01

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L’artista costruisce la realtà con le proprie mani.  0

Attraverso quale processo culturale, antropologico l’artista diventa ciò che è? Attraverso le sue opere? C’è il detto: l’opera loda il maestro. L’artista è origine dell’opera. L’opera è origine  dell’artista. Nessuno dei due è senza l’altro. Artista e opera ogni volta sono, in se stessi e nel loro rapporto reciproco , in virtù di un terzo elemento, che è il vero, il primo elemento: l’arte, in quanto realtà conseguita, realizzata. Ne consegue che se l’opera non realizza ciò che è definito con il sostantivo arte, non  esiste neppure l’artista.

L’arte non  è nient’altro che una parola alla quale non risponde nulla di concreto. Ma poiché rimane aperto il problema di cosa sia l’arte, la ricerca di significato  può essere cercata solo nell’opera. E’ necessario rispondere alla domanda cos’è un’opera d’arte? Allegoria e simbolo delineano la prospettiva, l’ottica, entro la quale, da sempre si muove la caratterizzazione dell’opera d’arte. Sembrerebbe quasi che la realtà dell’opera d’arte sia una sorta di substruttura entro la quale e sopra la quale venga costruita la realtà immaginata dall’artista. E non è forse questa realtà che l’artista, in senso proprio, costruisce con le proprie mani?

Si ritiene che l’essenza dell’arte possa essere desunta da un’analisi comparativa delle varie opere d’arte esistenti. Tuttavia come possiamo essere certi che, alla base di una tale indagine, stiamo effettivamente ponendo delle opere d’arte se non sappiamo cos’è l’arte? Basta a risolvere il problema la provocatoria affermazione di Geoge Dickie secondo il quale: tutto è arte? Tale affermazione non risolve il problema, lo cancella.

Il quadro, la scultura, il disegno, depositati in una galleria o museo, offerti alla ammirazione, o almeno all’attenzione di chi osserva senza porsi il problema di cosa ha davanti, il contesto gli dice che trattasi di opere d’arte.

Ecco dunque che, tra equivoci e autoreferenzialità una persona si considera artista e si convince che ciò che produce sia un’opera d’arte, l’osservatore è convinto di stare osservando un’opera d’arte.

A complicare ulteriormente la situazione è stato lo sradicamento totale compiuto dalle avanguardie di ogni epistemologia ed ontologia dell’arte,così come erano venute delineandosi in due millenni. Dunque, in base alle considerazioni esposte, sembra proprio che il cosiddetto mondo dell’arte sia basato su un equivoco costruito non dalle opere, ma dalle parole che presumono di dare un significato alla opere.2

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Dissolta la coscienza critica.  0

Dobbiamo rassegnarci ed accettare che il predominio del mercato imponga la propria idea di arte? Dobbiamo prendere atto che il mercato è supportato proprio da quei movimenti che si dicono libertari, rumorosi e prevaricanti agglomerati sociali che strumentalizzano il genere, le tendenze sessuali, l’ideologia. L’arte parla attraverso le proprie opere, se l’opera ricalca il pensiero unico si traduce in tautologia.

Nell’opera d’arte è messa in opera la verità dell’Ente. L’arte è il mettere in mostra la verità. Questa la lettura dell’arte, forse troppo positiva, è di  Heidegger.

In realtà alla domanda : cos’è l’arte? non è stata data risposta. Questa mancanza costringe, chi scrive  sull’arte, a girare in tondo, ribadire concetti dati per scontanti, che  in realtà sono  ripieghi lessicali.

Intanto  le opere se ne stanno collocate e appese nelle collezioni e nelle mostre, oggetti inseriti in nel meccanismo dell’industria dell’arte.

Platone sosteneva che l’opere d’arte è una doppia imitazione. Copia l’idea e copia la realtà che l’idea esprime. Intenditori e critici s’impegnano per dare un significato a manufatti artistici con i loro approssimativi significati. Pistoletto, a esempio,ha presentato in varie sedi il simbolo dell’infinito,  adottando l’espediente di cambiarne la denominazione.

La critica ha rinunciato da tempo ai concetto  di verità. Senza dubbio                                                                                                                                                                                                                                                                                                        l’arte non costituisce più il modo supremo in cui la verità giunge ad esistere. E’ cessata la diade concettuale materia-forma. Un opera poggia anche sul plesso morfo- iletico che ricorre solo nei vecchi vocabolari, lo stanziarsi, il radicamento comunemente impiegato nello spazio mentale in cui l’artista dovrebbe muoversi ha perso la distinzione fra materia e sagoma, che costituiva lo schema concettuale per ogni teoria dell’arte,

Il tentativo di fermare, porre in chiaro, il principio di coscienza creativa alla base di ogni estetica, è annegato nel mare del ludico contemporaneo, tanto che il filosofo americano Danto arriva a definire ciarpame, tesi, antitesi, sintesi indicate nella dialettica di Kant, che non sono altro che un richiamo a Platone, ripresi dall’idealismo tedesco a margine della critica dell’arte.

Sono archiviati i contenuti di espressi da allegoria e simbolo,  da sempre fondamentali per il linguaggio artistico. Siamo giunti al punto che la realtà di un opera d’arte, priva di metafora e di simbolismo, ha la stessa chiarezza, la stessa insignificanza, di un cartello stradale.  wassily-kandinsky-pittura-astratta-improvvisazione-35-1914-500

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