Archives for : gennaio 2019

Verità e rappresentazione.  0

Secondo Aristotele è corretto chiamare la filosofia “scienza della verità”. Egli attua la distinzione tra filosofia teoretica il cui fine è verità, e la filosofia pratica volta a indirizzare le azioni. Molta filosofia moderna è impegnata a demolire lo stesso concetto di verità, a partire dal pensiero debole, fino a “A cosa serve la verità?” di Pascal Engel e Richard Rorty (2005). Per superare la difficoltà di trovare argomentazioni convincenti sul piano filosofico la scelta è stata tagliare il nodo,  negare  l’esistenza stessa della verità. Il pensiero debole è andato oltre, ha negato ogni fondamento alle ragione etica che è alla base della verità. L’insipienza della cultura contemporanea, ben salda nella propria dotta ignoranza, si comporta come i pipistrelli i quali vedono meglio nel buio e ogni barlume di luce li disturba. Molti di questi soloni, cantori della libertà, pensano e agiscono pro domo Cicero, usano cioè la filosofia per giustificare le proprie perversione diventano tanto meno esecrabili quando si cancellano ragioni etiche e veritative. I filosofi dovrebbero stabilire cosa costituisce un valore di riferimento sul quale si impernia l’intera struttura di relazioni umane, tanto più utile oggi che l’umanità è avviata a raggiungere i 10 miliardi di persone nell’arco di pochi anni. Il principio elementare di distinzione tra vero e falso inquinato da teorie ancipiti la cui giustificazione sarebbe  sottrarsi ai dogmi, mentre in realtà lo scopo è sottrarsi al “dogma” della ragione logica. In questo modo tutte la vacche sono bige,  ci si trova liberi nella vasta prateria della libertà. In base a questo arruffato noema si attua un processo di ectesi nel quale la ragione non ha più voce. La libertà è un falso mito e le illusioni che lo nutrono  collidono con natura e storia. Gioca a favore dei  creatori di questi pleonasmi concettuali, il fatto che la storia ha tempi lunghi, anche se già ora si profilano le prime conseguenze del malinteso mito di libertà, nei tempi lunghi la società umana sarà sempre meno gestibile. Dopo il progressivo abbandono di ogni riferimento alla natura, seguirà una progressiva disumanizzazione sotto specie scientifica come ipotizzato da Susan Greenfield in “Gente di domani” (2003). “Domani, poi domani e domani,/così il tempo striscia via, a piccoli passi, da un giorno all’altro/ fino all’ultima sillaba del ricordo del tempo/ e tutti i nostri ieri hanno rischiarato gli sciocchi/ la vita verso la polvere della morte…” (Monologo di Macbeth di William Shakespeare).          nuova-news-del-29-gennaio

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Sensibilità e creazione.  0

Diceva Rimbaud:” noi non siamo al mondo”. Siamo chiusi nei nostri interessi particolari nei ristretti orizzonti della quotidianità. Le città moderne riducono ulteriormente lo spazio della nostra visione limitata a tutto ciò che è artificiale e costituisce la nostra vita. Il mondo vero è quello che riusciamo a ricreare dentro di noi, il resto è consumo e necessità. In un  profondo pensiero, Biagio Pascal diceva  “sotto un certo rapporto, io comprendo il mondo, sotto un altro rapporto esso mi comprende”. Ma oggi ha ancora fondamento questo pensiero? Scrive Maurice Merleau-Ponty in “Fenomenlogia della percezione” “Ci sono due modi d’essere e due soltanto: l’essere in sé, che è quello degli oggetti  dispiegati nello spazio, e l’essere  per sé che è quello della coscienza”. Il tempo non agisce sulle cose, le lascia a se stesse, prede della propria essenza. Ciò che chiamiamo “soggettività” è qualcosa di molto ambiguo, perché presuppone la nostra chiarezza del pensiero, cosa che implica il dominio della nostra mente. In realtà i nostri pensieri sono fuori dal nostro controllo, non controlliamo, se non in minima parte le nostre stesse sensazioni e decisioni. Noi siamo il prodotto di una cultura, per quanto modesta essa sia, di esperienze che restano dentro di noi, delle irrefrenabili tendenze del nostro corpo. A ciò, oggi, si aggiungono i potenti e pervasivi mezzi di comunicazione di massa che ci condizionano. Dunque i nostri atti e le nostre scelte sono fuori dal nostro controllo mentale che spesso viene addirittura giudicato negativamente. La questione del libero arbitrio è stata affrontata dalla filosofia scolastica senza giungere a conclusioni convincenti. Gli scienziati dibattono sullo stesso concetto di “coscienza” come di qualcosa che è legato alla percezione e alla consapevolezza. Forse non corrisponde al vero la visione dell’essere umano come individuo libero, sol che lo voglia. Credo che il mito della libertà abbia prodotto guasti sociali enormi. Intanto quando si parla di libertà, soprattutto  il femminismo, ci si riferisce sempre e soltanto al corpo. Le insulse espressioni “Devi volerti bene” non sono che una forma idiota di solipsismo che si traduce in negatività. Volersi bene non implica che possesso o soddisfazione, entrambi sempre incompleti e provvisori. E’ piuttosto la capacità di auto dominio che ci consente di attuare scelte libere e consapevoli, viatico a una possibile libertà. Difficilmente riusciamo a dominare i nostri pensieri ma, attivando una volontà consapevole, potremmo forse controllare meglio il nostro corpo dando ad esso la libertà di scegliere la misura in cui vivere. La nostra stessa percezione si acuisce, come quando nel  silenzio irrompe un suono. Come la rumorosità diffusa, anche la diffusa suggestione, a sesso, a consumo, sensazioni forti ed estranianti, attutiscono la nostra sensibilità e ci rendono più rozzi e insensibili.        aaaaaaaNEWSLETTER-ULTIMA

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In forma di parole.  0

Come per l’arte plastica anche la letteratura si presta a interpretazioni plurime. Il “Trattato sull’origine dei romanzi” , scritto da Pierre-Daniel Huet nel 1670, affronta tema storico e filosofico insieme alla funzione e qualità  della narrazione. “La Biblioteca di Babele” di Jorge Luis Borges pubblicato nel 1941, traccia un quadro surreale del mondo dei libri. Quando leggiamo un romanzo il nostro apprezzamento si basa sul contenuto o sulla qualità della scrittura? Per Roland Barthes la letteratura non è che la ricerca della parola giusta. Questa sintesi riduttiva sottovaluta l’aspetto “storico” di ogni romanzo che abbia lasciato il segno. “Papà Goriot”, la  “Commedia umana” , entrambi di Honoré de Balzac. “I miserabili” di Victor Hugo. “L’uomo senza qualità” di Robert Musil. “I Buddenbrook” di Thomas Mann. Sono alcuni romanzi che rappresentano altrettante pietre miliari nella storia della letteratura. Rappresentano ciuoè i temi di un epoca, filtrati dalla sensibilità dell’autore. Gregor Samsa resta nell’immaginario di chiunque abbia letto “La metamorfosi”. Come “Madame Bovary” di Gustave Flaubert è rimasta, fino a non molti anni fa, lo stereotipo della adultera. Oggi con il rilassamento dei costumi e la totale perdita di valore tutto si perde nel porto delle nebbie di una uniformità francamente squallida. Se la letteratura si riduce al piacere, o divertimento di leggere senza problemi di forma e contenuto, così come avviene nell’arte plastica, si apre la strada a libri come “Cinquanta sfumature di grigio”, non a caso scritto da una donna Erika Leonardi. Purtroppo non sembra che la letteratura incida molto sul linguaggio e sul costume quotidiano. Si dice che in Italia si leggano pochi libri e giornali, un dato negativo, anche se in paesi in cui si legge di più il livello medio del linguaggio quotidiano non è certo più elevato. La ragione è semplice: abitudini e linguaggio sono influenzati molto di più da cinema e tv di quanto lo siano dalle letteratura che pure è sempre più orientata a stimolare le pruderie piuttosto che alla elaborazione di un pensiero creativo e trasfigurante. Vi è inoltre da prendere  atto che nella letteratura come nell’arte plastica è sempre maggiore la presenza femminile che impone i temi tipici del mondo delle donne: intimismo e sesso. Considerato che i giornali lungi dal contrastare le tendenze peggiori le assecondano, quando non le esaltano attraverso articoli e recensioni, il quadro complessivo non è confortante, abbiamo la conferma che la cultura contemporanea non solo non è antidoto al degrado, ma se forse lo alimenta.        Gigli-sullo-sfondo500

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Dalla avanguardia alla maniera.  0

Nel VII libro (Zeta) della Metafisica Aristotele affronta il tema  di sostanza e forma. “…a proposito della sostanza il “nostro” discorso mostra che la forma non si genera (non si crea) …”. La materia e costituita da cose, sassi, fuoco, legno, per la cui modifica occorre l’intervento dell’uomo. Per descrivere un opera si usa spesso impropriamente il sostantivo “creazione” . Lo scultore può produrre cerchi, sfere, cubi, figure umane. Egli usa materiale esistente in natura variamente forgiato. Nel realizzare la forma egli ha per riferimento figure geometriche o figure umane. Può anche scegliere di creare sculture informi o variamente plasmate. L’abilità dell’artista è nel dare forma alla materia imitando ciò che esiste o modificando la materia in modo informale. In quest’ultimo caso si pone il problema del significato come vedremo più avanti per l’arte astratta. In cosa consiste la “creatività”? Nel caso in cui l’artista si limita a realizzare manufatti prodotti industrialmente in forma di quadrati, cubi, parallelepipedi di grandi dimensioni l’intervento dell’artista è ancor più limitato. Discorso parzialmente diverso per la pittura. Anche in questo caso  siamo in presenza di utilizzo di materiale esistente. Se si tratta di figurazione vi è il ricorso alla mimesi, mentre nella pittura astratta non vi è imitazione ma, come nella scultura a cui abbiamo accennato sopra, si pone il problema del significato. E’ possibile che la lettura dell’opera sia di tipo emozionale. L’artista manipola il colore creando effetti che possono avere un impatto emotivo, una impressione, quello che è stato definito “Espressionismo astratto” sul quale sarebbe necessario dilungarsi più di quanto sia possibile in questo contesto. In questo caso entrano in gioco le suggestioni derivanti dalla critica e dalla conclamata notorietà dell’autore. Le avanguardie dell’inizio del secolo scorso hanno realizzato opere il cui carattere è “ideologico”, nascono cioè da un idea per lo più con intenti di provocazione. L’arte concettuale invece tende a dare forma ad un concetto. Purtroppo questi procedimenti artistici sono quasi totalmente falliti per almeno due ragioni. Innanzi tutto non hanno avuto effetto provocatorio, tanto che quelle opere sono finite nella maggiori gallerie del mondo e nei musei. In secondo luogo sono state fagocitate dal mercato diventando oggetto d’investimento. Ma il fallimento maggiore è dato dal “successo” , ovvero tutta l’arte è diventata avanguardia, ogni spinta di provocazione di originalità è diventata maniera, accademia, prassi.

Mural di Jackson Pollock 1943

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Il viaggio come metafora  0

E’ noto che il viaggio può essere visto come  metafora. Tra il ‘600 e ‘700 furono molti i personaggi che effettuarono il Gran Tour, viaggio di conoscenza e scoperte dell’Italia. Notissimo ciò che scrisse Goethe durante il viaggio alla scoperta delle bellezze paesaggistiche e culturali del nostro paese. Più di recente è stato scoperto il viaggio del controverso filosofo della perversione  Donatien Alphonse marchese  De Sade. Ma anche l’avventuroso poeta Byron visitò il nostro paese, così come Shelley. Il viaggio avveniva con la diligenza trainata da cavalli, per i solitari, direttamente in sella a un cavallo, per i più poveri a piedi o dorso a di asino. Il percorso era  faticoso e avventuroso, costituiva un accumulo di conoscenza ed esperienza. La calma visione di paesaggi, di antiche rovine, incontro con persone diverse, sentieri, strade, borghi villaggi ognuno con una propria originalità. Oggi usiamo automobile, treno, aereo, abbiamo fretta di arrivare alla meta, tutto ciò che appare nel percorso lo guardiamo distrattamente o lo ignoriamo del tutto. Inoltre le città hanno perso la propria personalità distintiva,sono sempre più simili in ogni angolo del pianeta. Il pensiero unico, “liberale e progressista” esalta la globalizzazione, contro ogni evidenza nega la progressiva uniformità del mondo che rende pleonastica l’espressione “multiculturalismo”, visto che vanno scomparendo le differenze socio- culturali. La cultura e l’arte sono espressione di questo “nuovo” mondo, privo di originalità, spesso privo di significato. Le opere sono  realizzate avendo in mente la massa di consumatori, la stessa massa che passa una notte intera in strada al freddo di dicembre per acquistare un paio di scarpe da ginnastica. Ciò che particolarmente colpisce  è la mancanza di orgoglio nazionale. Ci si accanisce, con retoriche francamente insulse contro il “sovranismo”. Sentendo la retorica politica di Mattarella e compagni, viene in mente ciò che Karl Marx scrive nella “Ideologia tedesca”: “Dovremmo aiutare i retori a chiarire a se stessi il significato e l’effetto delle parole che usano”. Ai retori anti – sovranisti vorrei consigliare il libro di Ronald G. Witt “L’eccezione italiana” – L’intellettuale laico nel Medioevo e l’origine del Rinascimento (800- 1300)”.Dal libro emerge in modo chiaro che la cultura non è una spruzzata di mondanità, di saperi pragmatici, di retorici richiami alla “Resistenza”, fatti di storia contemporanea travisati dall’ideologia. Cultura è qualcosa di più profondo sedimentato nei millenni, è la ricerca di frammenti di conoscenza che diano senso alla nostra realtà e umanità come andata formandosi. Certo non la si arricchisce disperdendola in un globalismo ottuso, condizionato soprattutto dall’economia, cioè dal bieco materialismo. Il nostro viaggio sembra finito nelle periferie di città entropiche dove viviamo infelici dimentichi del nostro passato.          immagine easy raider

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