Sono sempre più numerosi gli artisti che hanno rinunciato all’arte a favore della tecnologia. Mentre Bill Viola reinterpretava in chiave tecnologica la pittura classica, operazione discutibile ma ancora nell’alveo di un’ idea d’arte, sia pure dilatata, molti artisti hanno semplicemente declinato scienza e tecnologia in chiave artistica. Vi è quindi un radicale mutamento epistemologico nella produzione artistica. Le stesse modalità di produzione delle opere, trasformano l’artista in imprenditore che usa non solo strumenti tecnologici, ma anche forza lavoro retribuita, la cui attività contribuisce a creare plusvalore dell’opera realizzata secondo questi metodi. Vi è un nesso inscindibile, concettualmente, fra la teoria del feticismo e la forma di valore che l’arte-merce assume quando le modalità di produzione includono rapporti capitalistici. L’artista, con il sistema sopra indicato, realizza forme d’arte il cui costo deriva dal plusvalore prodotto da manodopera salariata. Ovviamente la critica non si sofferma sul sistema di produzione che ha più protagonisti, ma solo sul risultato che ha un unico titolare. Pensiamo alle opere dell’artista danese Olafur Eliasson che crea mastodontiche installazioni tecniche. La mostra “Surroundings surrounded” , realizzata in collaborazione con Peter Weibel nel 2001 al Zentrum fur Kust und Medientechnologie di Karlrube. Già dal titolo emerge in modo inequivocabile l’impronta costruttivistica. Fenomeni naturali ripetuti e interpretati grazie alla scienza e alla tecnica. Eliasson realizza nel 1994 la cascata artificiale diventata famosa. C’è l’installazione del vento intitolata “Your Windless Arrangement” del 1997 di proprietà del museo di Malmò. L’installazione è costituita da sedici ventilatori coordinati tra loro. Neanche il vento è risparmiato da diventare oggetto di esposizione grazie al pragmatismo tecnologico dilagante, soprattutto nei paesi anglosassoni e in USA. Ecco dunque che il fantasma tante volte esorcizzato di valore d’uso e valore di scambio appare sotto specie artistica senza che la critica, ormai completamente prona al mercato, sollevi questioni di ordine epistemologico ed ontologico. E’ del tutto ignorato l’aspetto che riguarda la legittimità dello sfruttamento di manodopera esclusa dai frutti del plusvalore che contribuisce a creare. Questo aspetto è importante perché certifica, al di là di ogni dubbio, come l’arte sia null’altro che merce, prodotta con gli stessi criteri con cui vengono create tutte le altre merci. Di questo passo gli artisti occidentali faranno produrre le loro opere da manodopera dei paesi poveri, limitandosi a porre in calce la loro firma-logo. Vi sono una pluralità di aspetti che confermano come l’arte, dopo aver perso la propria collocazione di paradigma sociale, abbandonato ogni contenuto gnoseologico, rinunciato a presupposti ideologici, si ponga sullo stesso piano dei bulbi di tulipani nell’Olanda del 17esimo secolo. A quando il crollo?
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