Archives for : dicembre 2020

Il gusto e la forma.  0

Nell’arte si giudica dalla forma dell’oggetto attinente all’estetica, o al suo contenuto? Non c’è dubbio che rispondere a questa domanda vorrebbe dire chiarire il senso della filosofia dell’arte. Peccato che la risposta sia impossibile se non tramite apodismi. Infatti, mentre la quantità e anche la natura di un oggetto in quanto materia può essere accertata,  altra cosa è stabilire la qualità con una approssimazione che possa essere generalizzata.

La scelta diventa soggettiva e si affida al sostantivo maschile “gusto”, cioè qualcosa di estremamente opinabile.

Spinoza chiarisce questa propensione nello scolio della preposizione 39 dell’ Etica: “..noi non desideriamo niente per il fatto che lo giudichiamo buono , ma viceversa diciamo buono ciò che desideriamo…”  .

Già l’estetica medioevale aveva tentato distinzioni in questo campo. Scoto Eriugena, anticipa la brama collezionistica quando descrive un elegante vaso d’oro, ornato di pietre preziose, guardato dal saggio e da un uomo vizioso. Il saggio ammira l’oggetto per la forma. L’altro guarda ed è preso da desiderio di possederlo. Questa contrapposizione ha una parte considerevole nell’estetica medievale. In Tommaso d’Acquino è già formulata nel senso che è un godimento dell’armonia delle forme, di piacere estetico.

Ciò implica, come abbiamo detto, il gusto. Tema sul quale Galvano della Volpe formula una teoria che tracima  nella socialità dell’arte. Operazione tutto sommato tautologica.

Diciamo che la filosofia dell’arte, specie di matrice statunitense, ha contribuito non poco a far nascere il gusto Kitsh e il gusto Kamp. Quest’ultimo è soprattutto preferito dalle comunità omosessuali. Andy Warhol era una sorta di guru della numerosa comunità omosessuale newyorkese che gravitava intono alla Factory.

Quello che Hermann Broch chiama uomo Kitsh  si fonda sulla menzogna, come egli afferma,  su una rappresentazione per lo più poco consapevole, falsa, illusoria  del rapporto con la realtà sociale. Egli scrive: l’uomo contemporaneo ama il Kitsh perché è Kitsh.

Peter Sloterdijk nel primo volume di Sfere (Editore Cortina 2014) pagine 496-97 scrive a proposito della musica Pop e la descrive psicoacustica, o come la definisce Tom-Götter   divinità del suono, ritorno alle caverne. E’ possibile sentirla  soprattutto nelle Love Parades e nei Gay Pride.

Ecco dunque che l’incultura della contemporaneità ha la propria arte, la propria musica e la propria letteratura, il tutto proposto e riproposto dai media, in particolare tv e cinema.   Kamp -500

Share This:

Le regole della abbazia di Thelème.  0

E’ un luogo comune, come tutti i luoghi comuni contiene una buona dose di verità, la diffusa convinzione che i veri artisti abbiamo la capacità di anticipare il futuro. Sfogliando la storia della letteratura non mancano gli esempi, qui vorremmo soffermarci sul capolavoro di Francois Rabelais “Gargantua e Pantagruele”. Dopo la guerra contro Picrocole, Gargantua premia coloro che hanno combattuto dalla sua parte. Fra Giovanni rifiuta tutti i doni e chiede di poter erigere un abbazia che chiamerà “Thelème”. Dal greco, desiderio, volontà: a significare che era un luogo libero. Infatti sul frontone dell’abbazia venne scolpita la  frase “ Fa quello che vuoi” Questa avrebbe dovuto essere la prima regola di quel luogo. Se non che, scritte in poesia e in prosa, seguono pagine in cui è indicato chi può essere ospitato, chi no, cosa si può fare a cosa non si può fare. L’originalità consiste nel fatto che le regole sono esattamente opposte a quelle in vigore all’epoca nei conventi, tuttavia sempre regole sono. Ma, ecco l’intuizione geniale di Rabelais, le regole risultano in fondo non necessarie giacchè prevale lo spirito gregario. Scrive infatti il nostro: “E proprio per tale libertà, assunsero una lodevole emulazione di fare tutti quello che vedevano fare a uno di loro. Se qualcuno diceva:”Beviamo”, tutti bevevano; se diceva “Giochiamo”, tutti giocavano; …” E così di seguito. Se qualcuno pensa ai giovani di oggi?  “Honni soi qui male y pense”.

 

Abazia di Thelème- 500

Share This:

I paradossi della società contemporanea.  0

 

La lettura dell’ultimo lavoro di Paul Virilio “L’incidente del futuro” suscita reazioni contrastanti.  Un filosofo si occupa della deriva socio-culturale a cui siamo immersi da tempo, mette l’accento sugli apodismi alla base della incongruenza sociale. La tesi che sviluppa non è però coerente. Il progresso non elimina ciò che resta di umano in noi, com’egli sostiene. Se così fosse  non ci troveremmo sommersi da crescente entropia sociale con la quale dobbiamo fare i conti. Il progresso è usato a pretesto e giustificazione di comportamenti ignobili e insensati, tipicamente umani. “Progresso” e “Libertà” sono i due miti del nostro tempo. Gli esempi citati da Virilio dimostrano  che non sempre i due termini sono compatibili. Non perché il cattivo di turno, scienziato o politico, disponga di macchine infernali di coercizione. Il “Il Grande Fratello” è opera di mediocri personaggi della comunicazione e spettacolo. L’ansia di prostituirsi moralmente è così diffusa da non avere bisogno di essere incoraggiata. Le ventimila ragazze che si presentano per un posto da Velina, vedono se stesse come evolute, moderne, aperte a tutto ciò che è nuovo. Dunque alla locomotiva del progresso non serve il ricorso a violenza e/o sotterfugi per procurarsi il carburante. Una folla davanti alla caldaia ansiosa di buttarsi nelle fiamme della “libertà” e progresso”. Forse, avrebbero difficoltà e definire i due sostantivi, ma questo non fa differenza.

 

 

Angelo-Morbelli-Venduta-1897-Arte-Svelata

Share This:

Realtà e percezione.  0

Vi sono realtà che percepiamo ma non vediamo. Il freddo, il caldo. L’ombra la vediamo ma è percepibile al tatto,  non è nulla solo assenza di luce. Altre realtà sono un nostro difetto di visione. Immaginiamo un daltonico, un astigmatico, osservano un oggetto  e lo vedono difettoso, un colore diverso, una immagine sfocata. Vediamo cioè un difetto nell’oggetto osservato mentre in realtà il difetto è di chi osserva. Questo tipo di difficoltà può essere individuato e risolto con l’ausilio di un supporto tecnico. Ma cosa accade quando un difetto di valutazione, di comprensione, sono dovute all’intelletto, quando cioè l’intelletto non riesce a comprendere uno scritto, un pensiero, una fenomeno?  Intanto è estremamente difficile stabile con sufficiente approssimazione il reale livello di comprensione. Conoscere non equivale a capire. Questa spiega l’apparente paradosso di persone colte ma ottuse.

Nella grande ricchezza della lingua, chi scrive si trova impegnato nella ricerca della parola giusta, che risponda esattamente al concetto che vuole esprimere. Secondo Roland Barthes  la ricerca della parola giusta  costituisce l’essenza della letteratura.  Altri tempi.

Platone si servi dell’espressione idea nel senso di qualcosa che non è ricavato dai sensi , ma sorpassa anche i concetti dell’intelletto. Le idee sono per lui gli archetipi delle cose stesse, non semplici chiavi per esperienze possibili. Per Aristotele nell’esperienza non s’incontra mai nulla che vi sia adeguato.

Se noi partiamo da queste premesse per esaminare la narrazione condotta dalla filosofia dell’arte, ci rendiamo conto che, nella maggior parte dei testi, non si manifesta la capacità di penetrare il significato vero del fenomeno arte nella espressione materiale in cui si presenta. Se, ad esempio, com’è stato stabilito, il colore esprime pura emozione, il voler dare un significato  razionale a un opera astratta, basata cioè esclusivamente sul colore, è operazione inattuabile se non facendo ricorso ad apodismi. A meno di supporre che il filoso più che un tentativo ermeneutico, si affidi a   un esercizio di narrazione sofistica.

Zenone d’Elea, sottile dialettico, fu molto biasimato da Platone  come petulante sofista, perché egli per dar prova della sua abilità dialettica cercava di una stessa proposizione dimostrare, tramite speciosi argomenti, prima la sua fondatezza e poi la sua inconsistenza logica. Quando un filosofo scrive testi per tentare di argomentare in ordine ai fenomeni artistici, distinguendo qualità, significato e valore di singole opere, e poi approdare all’affermazione: tutto è arte. Va da se che, se tutto è arte sono pleonastiche le distinzioni di merito e di valore, tutto è affidato al gusto e alla scelta soggettiva, le teorie sull’arte si disperdono in immaginazione decettiva.

Calzolari 500

Share This: