Se è vero che la violenza è, in misura diversa, parte del DNA dell’’essere umano, è altrettanto vero che la violenza è alimentata da larghi strati della società e dalla cultura contemporanea, cinema, tv , cronaca. Vi sono molti aspetti della violenza. La violenza fisica è quella più visibile, per questo più esecrata. Peter Sloterdijk nel suo testo “L’imperativo estetico” rileva come ”Il più perfetto matriarcato del mondo, sono gli Stati matri-alimentari Uniti d’America”. In parallelo, in ragione della compulsione femminile al consumo, si attua quello che Ernest Gellner ha definito: “L’internazionale dei consumatori senza fede”. Tale fenomeno ha da tempo investito il mondo dell’arte, non a caso, vede sempre più la dominanza femminile. Bourdieu ha definito questo meccanismo nei termini di violenza simbolica. Violenza è anche l’imposizione di qualcosa di iniquo, come le leggi di genere che alterano ogni sana competizione meritocratica. L’accampare diritti di rivalsa, come fanno le femministe, è un espediente decettivo. Che dire della violenza estetica ? Comportamenti volgari, sguaiati, osceni in luoghi pubblici e nelle strade, rappresentati in modo insistente da tv e cinema. Quale difesa può attivare chi si sente profondamente offeso da tali esibizionismi? La violenza si manifesta in ambito socio-politico. Molte di queste iniquità sono elencate da Shakespeare nel monologo di Amleto. “… le offese e i torti che la virtù patisce conculcata dai tristi, della legge gli indugi..” . Lucrezio suggerisce presa di distanza, e isolamento in “La natura delle cose”. Purtroppo non sempre è possibile fuggire. Quando si vive in una società si è soggetti all’arroganza del potere, ai piccoli soprusi quotidiani di funzionari frustrati al servizio di oligarchie politiche ed economiche, che inquinano la società . Anche il mondo dell’arte è soggetto a questi virus. La Biennale dell’arte di Venezia è da anni dominata da un certo Paolo Baratta (nomine omine) sotto la cui guida le manifestazioni sono sempre più squallide e dominate da oligarchie mercantili/ mondane, con grande riguardo a donne e arte statunitense. La Biennale dell’arte del 2005, affidata a certa Maria de Corral, passò alla storia come la Biennale dei Tampax, per un’opera, un lampadario fatto di Tampax, realizzata della conterranea della curatrice, certa Joana Vasconcelos. Quest’anno, 2017, un’altra donna Christina Macel, è stata designata da Baratta a dirigere la Biennale. Costei non trova di meglio che organizzare cene per e con artisti, ovviamente a spese dei contribuenti italiani. Per finanziare i festini di pochi eletti, la Marcel non ha trovato di meglio che negare l’accredito, cioè l’ingresso gratuito alla Biennale, ai non iscritti all’ordine dei giornalisti. Significa escludere tutti coloro che, a vario titolo, curano siti e Portali web dedicati all’arte pur non essendo iscritti all’Ordine dei giornalisti, una delle tante caste nostrane. Voler burocratizzare l’arte è un atto di arroganza inaudita, affidata per lo più a oscuri funzionari che attuano le direttive dei vertici. Anche questa è una forma subdola di violenza contro la quale è impossibile opporsi. Il potere ha concesso la delega alla Macel, la quale detta le regole della Biennale che i contribuenti italiani pagano. Di questo è al corrente il sig. Franceschini ministro pro tempore della cultura? Certo non è una tragedia, il sopruso ha il valore del costo del biglietto, ma resta un sopruso, cioè un atto di violenza burocratica.
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