Archives for : luglio 2015

Pazzia necessaria  0

Condizione primaria di ogni forma di comunicazione  è la decifrabilità. La pretesa delle avanguardie di forzare simbologia  e significato, non era, non è, basata su elaborazione epistemologica, ma su una pregiudiziale rinuncia , forse anche per carenze culturali, alla non facile elaborazione di una storia di oltre 6000 anni. L’irrompere della rozza modernità si definisce anche nella scelta della propria definizione con il ricorso al termine militare di “avanguardia”. Il senso delle avanguardie è esplorare territori sconosciuti, e ritornare a riferire lo stato del territorio esplorato. Le avanguardie del Novecento  si sono accampate fuori dai confini del senso, un manipolo di guastatori  che ha dato origine a una nuova realtà sulla quale non si è attuata una necessaria igiene linguistica, limitandosi ad adattare il termine arte a qualcosa di radicalmente diverso. Ciò ha creato un’entropia  culturale che si sta rivelando ripetitiva e sterile. Si può apprezzare un bonsai di sequoia, ma non è opportuno denominarlo sequoia secolare. Al gigante Leonardo si è preteso affiancare il nano Warhol. Ognuno è libero di creare la propria piccola serra, ma non ha senso chiamarla foresta. Il riferimento non è ovviamente alla dimensione, ben consapevoli che è proprio con il gigantismo che si vuole occultare la mancanza di significato. Si è trattato di attuare una vera e propria negazione della funzione del linguaggio dell’arte. E non per ingenuità ma per inadeguatezza.  L’universo dei segni , passa attraverso ciò che prende corpo. Non basta dire che il concetto è la cosa stessa, finisce che è il mondo delle parole ad alterare le cose, confuse nell’hic et nunc del divenire continuo, in una inesausta ricerca di diverso significato . Il simbolo sterilizzato in logo, è affidato alle leggi del numero. La povertà delle forme non è ricerca dell’essenziale, ma la libertà che esercita il caso, non guidato da sensibilità e intelligenza, nutrita di sapere. Il sintomo qui è il significante di un significato rimosso dalla coscienza del soggetto. L’io dell’uomo moderno ha assunto la propria forma nella impasse dialettica dell’anima che non riconosce la ragione stessa del suo essere artefice del disordine  che pretende di denunciare. Pascal sosteneva: “gli uomini sono così necessariamente pazzi, che sarebbe essere pazzi di un’altra forma di pazzia il non essere pazzi”. Così ci trasciniamo tra perduti lumi e crescenti devianze, convinti di essere sulla riva giusta del  fiume.      aaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaprossimanews

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Arte e oggetti vari.  0

Più volte nel corso dei miei scritti mi sono posto, ed ho posto, la retorica domanda:di cosa parliamo quando parliamo d’arte? Davvero c’è chi pensa che i ready made, opere seriali, assemblaggi vari possano reggere il confronto con l’arte classica, o ci troviamo di fronte all’ennesimo richiamo ad Esopo, la volpe e l’uva. Consideriamo la tecnica raffinatissima messa in atto dagli antichi maestri che certo non discettavano di ontologia dell’arte e delle artificiose,spurie, teorie che giustificano l’arte contemporanea brutta nella forma e priva di significato. Se andiamo in qualunque museo dove è conservata l’arte classica possiamo osservare capolavori di cui pochissimi conoscono l’esistenza. E’ giusto che sia così, alcune “icone” dell’arte contemporanea sono notissime, ma pochi, a partire dagli stessi filosofi dell’arte, saprebbero davvero darne una giustificazione. Senza dubbio le bugie richiedono molte più parole della verità. Ma non solo le vere e proprie opere d’arte, anche oggetti d’uso o di culto raggiungono raffinatezze di cui gli artisti contemporanei, nella grandissima maggioranza, non saprebbero avvicinarsi. Nel Museo di Zurigo tempo fa ho visto un evangelario che risale, se non ricordo male, intorno al XII secolo. La copertina eseguita in oro sbalzato, è decorata con pietre preziose tagliate a cabochon, vale a dire pietre non sfaccettate inserite  rotonde nell’incastonatura. La lamina d’oro decorata con il sistema dello smalto cloisonné. Gli antichi maestri adottavano due sistemi  per decorare con lo smalto: lo champlevé e il cloisonné. Lo champlevé  ha il blocco di metallo con opposite  cavità che vengono riempite di smalto. E’ la tecnica più antica, ed è stata abbandonata perché bastava che l’oggetto così decorato subisse un forte urto perché la pietre fuoriuscissero dalla loro sede. Il sistema cloisonné offre maggior sicurezza, per questo è stato adottato, non solo in Europa ma anche in Oriente. Il sistema cloisonné prevede la creazione di un area  vuota,  sottilissime lamine metalliche vengono saldate all’interno , quasi si trattasse di campi cinti da steccati. Entro questi campi viene colato lo smalto liquido ad altissima temperatura. Lo smalto viene contenuto e protetto dalle partizioni metalliche. Mi sono dilungato nel descrivere questo piccolo oggetto e la tecnica con la quale è costruito perché fosse chiara la differenza tra il conoscere tecniche e applicarle, ed i sistemi odierni dell’arte in cui tutto viene fatto con incredibile pressapochismo. E’ possibile che critici e filosofi  dell’arte, soprattutto  statunitensi, ma non solo, conoscano le antiche tecniche e procedure per creare oggetti d’arte? Se la risposta affermativa devono avere seri difetti di percezione. Se la risposta è negativa si capisce perché esaltano  scatole di detersivi, scope, oggetti di uso comune. Lascia perplessi che accademie e scuole d’arte in Italia e in Europa, abbiano adottato  stili e sistemi d’oltre oceano buttando a mare secoli di saperi.

 

Piergiorgio Firinuaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaprossima-news

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Il senso dell’arte  0

Il senso dell’arte.

Il dibattersi per la sopravvivenza dell’arte forse avviene nelle forma sbagliata. Non basta dotare di motore una carrozza per trasformarla in automobile. Mancano tutte le componenti tecniche  che gli consentono di viaggiare. Vi sono aspetti del mondo dell’arte, o del sistema dell’arte, come si dice oggi, che non vengono indagati, forse per eccesso di autoreferenzialità, o forse perché nella frammentazione culturale, caratteristica del nostro tempo, l’arte interessa solo il mercato. La conferma viene dall’importanza data all’arte da giornali finanziari, e dall’abbinamento arte moda, non solo sotto l’aspetto operativo, ma finanziario. Siamo alla regressione utilitaristica che prevede forme più evolute di sopravvivenza. Se l’istinto significa effettivamente l’incontenibile  animalità dell’essere umano, non è detto che la ragione riesca a dominarlo, nell’arte come in ogni altra attività umana. Il simbolismo del pensiero trova  nella percezione visiva quella che Husserl definisce “rapporto di fondazione” . A poco serve utilizzare il linguaggio, che Lacan chiama “lo strumento della menzogna”  per cercare di ricreare una parvenza di verità.  L’appercezione  è un dato dell’intuizione che si richiama al concetto dell’oggetto. Per questo è definita oggettività e si distingue in modo netto dalla soggettività. Se  è la soggettività a prevalere, come avviene in moltissime opere d’arte contemporanea, l’ermeneutica dell’oggetto diventa impossibile,  in quanto manca la possibilità di decifrazione, vale a dire il collegamento di una certa parola ad una certa cosa.  Di qui la progressiva deriva verso forme espressive di materialistica banalità. Ma non vi è solo questo aspetto in cui, sotto traccia, agisce l’influsso antropologico che determina  aspetti concreti dell’ operatività dell’artista. Partendo dalla nota affermazione “ nihil est in intellectu quod prius non fuerit in sensu”   . Appare evidente che molte opere d’arte della cosiddetta avanguardia  non consentono una percezione sensibile. Se investighiamo  il rapporto della conoscenza  che precede il giudizio, o semplicemente la fruizione,  ci rendiamo conto che l’intelletto non ha una traccia da seguire e di conseguenza, accettazione o  rifiuto, sono scelte irrazionali, conseguenza dell’indottrinamento ovvero delle consuetudini. Di fatto è difficile provare un’emozione, o una qualunque sensazione osservando un cumulo di carbone, una putrella di ferro,  un qualunque comune oggetto elevato ad opera d’arte. Dovremmo dunque trarre la conclusione che l’opera “d’arte”  va  vista come un riferimento metaforico, soggiace  cioè a una forzatura ermeneutica  della quale è necessario accettare tout court le premesse.  Se investigo più profondamente il rapporto tra sensazione e conoscenza  scopro che dal cumulo di carbone e dalla putrella,  non ricavo, oggettivamente, nè conoscenza nè sensazioni.  Se anche mi affido all’immaginazione produttiva, il mio giudizio non cambia. L’unità sintetica della coscienza è dunque una condizione oggettiva di ogni conoscenza , della quale non soltanto io stesso ho bisogno per conoscere un oggetto, ma alla quale deve sottostare  ogni intuizione stimolata dalla forma che deve possedere contenuto gnoseologico percepibile la cui intrinseca capacità di comunicazione è una delle prerogative dell’opera d’arte.

Piergiorgio firinu venezia-2015-Kunellis-9

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