Archives for : gennaio 2021

Visione e pensiero.  0

È Vediamo ciò che pensiamo e attraverso ciò che conosciamo. Lo sguardo come interrogazione, come un passo verso la conoscenza. La costituzione fondamentale della visione si manifesta in una particolare tendenza al “vedere”. Di una persona particolarmente acuta si dice che “sa vedere le cose”. Definiamo la propensione a vedere con il termine: curiosità. E’ la curiosità il principale stimolo alla conoscenza. Noi interpretiamo il fenomeno della curiosità come un fondamento ontologico- esistenziale.

Già nella antichità e nella filosofia greca fu studiata la base del piacere di vedere. Il libro che occupa il primo posto nella raccolta dei trattati aristotelici di ontologia inizia con il fermare l’attenzione sulla visione. Lo sguardo, il vedere, osservare, stimola la riflessione ed è alla origine della scienza come lo è dell’arte. Non è pensabile un pittore privo di vista.

L’interpretazione greca della genesi esistenziale della scienza non è casuale. In essa si fa esplicito ciò che era già delineato nella filosofia di Parmenide. L’essere è ciò che si manifesta alla visione intuitiva pura.

Hans Belting affronta il tema della storia visiva mettendo a confronto diversi aspetti della visione. Nel “I Canoni dello sguardo” (Bollati Boringhieri 2010) usa l’emblema della finestra per sottolineare come mentre nella civiltà occidentale la visione è fondata sul primato dell’occhio e sulla sovranità del soggetto osservatore, la civiltà araba privilegia la luce ed è fedele al grafismo non iconico.

Agostino si interroga sulla concupiscenza dello sguardo, come il vedere influisca profondamente sui nostri pensieri. Oggi che viviamo nella civiltà delleimmagini ci troviamo ad dover affrontare la volgarità delle immagini che incessantemente vengono trasmesse da cinema e tv  e si riflettono nei  comportamenti quotidiani delle masse.

I sistemi complessi che sovraintendono la produzione di immagini hanno fagocitato anche l’arte. Gli artisti hanno abbassato gli occhi sugli strumenti tecnici rinunciando alla visione immaginifica che guida la mano creatrice. Si è attuato una sorta di incapsulamento tecnologico che ci assorbe e ci distrae, soprattutto diventa un “bisogno” di evasioni,  ci rende più psicolabili. Siamo abituati a vedere in ogni dove le persone concentrate sul proprio telefono compulsare sulla tastiera per trasmettere il nulla. La  visione del mondo si è ridotta per molti allo spazio di cm7 X11 dello schermo del telefono.

 

Immagine: Immagine pittorica rielaborata da Piergiorgio Firinu . “Stupore e sgomento”.

Stupore 500

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Il rimando del segno.  0

I segni sono in primo luogo mezzi, il cui specifico carattere di mezzo consiste nell’indicare. Sono segni di questo genere le pietre di confine, le tracce, le insegne, segnali stradali, segnali di servizi, di pericolo e molti altri.

Le opere d’arte è un segno che pone una necessità ermeneutica non codificata. Ciò lascia spazio a libere interpretazioni. Una figura richiede la conoscenza del rappresentato. Può trattarsi di un personaggio storico, un paesaggio, una persona, una situazione. In tutti i casi, se non ci si limita all’aspetto estetico, è necessaria la conoscenza del rappresentato e del contesto nel quale l’artista ha collocato il soggetto.

Se si tratta di un’opera astratta la lettura si affida esclusivamente alla percezione  emozionale. Come scriveva Erwin  Panofsky: il disegno si appella alla ragione, il colore all’emozione.

Stabilire il valore di un’opera, per valore non si intende ovviamente il costo monetario ma la rilevanza testimoniale, a prescindere dall’abusato riferimento tra forma e contenuto. Abusato perché in realtà la coincidenza non è mai sufficientemente approfondita ma più spesso ipotizzata.

Il segno rimanda ad altro da sè, in se stesso non ha significato ma valore di rimando. Un segno che non indica nulla è pleonastico.

Un’opera priva di significato può essere percepita nel suo aspetto ludico, piace perchè piace.  Tautologia purtroppo diffusa, con la quale si crea una convenzione equivoca. Accettazione e comprensione non sono sinonimi. Il segno non è in relazione alla cosa che indica, ma è semplicemente un rimando la cui efficacia è in rapporto a chi osserva ed è grado di decifrare il contenuto.

Lo stesso segno può essere usato per indicare cose diverse. Così l’opera d’arte può essere letta in modi diversi e gli si può attribuire diversi significati. Di questa possibilità hanno abusato la avanguardie storiche con forzature semantiche in contrasto con l’ontologia dell’opera.

Il segno non richiede forme e materiali specifiche. Vi sono segni assolutamente soggettivi. Il nodo al fazzoletto ha significato per chi lo fa. Le briciole di pane di Pollicino acquistavano il significato di traccia solo per chi era alla ricerca del bambino. All’ampiezza dei significati possibili di un segno, fa riscontro la strettezza della comprensibilità e dell’uso. In molti casi, abbiamo visto che il segno è accessibile solo a chi lo ha fatto.

Molta arte contemporanea travalica l’uso originario del segno e attua una speculazione teorica oggettivamente decettiva. Secondo Heidegger : “ il segno è un utilizzabile ontico che, in quanto è questo determinato mezzo, funge nel contempo da qualcosa che indica la struttura ontologica dell’utilizzabilità e della totalità dei rimandi”.  E’ qui sta il  fondamento della peculiare utilizzazione del segno nel mondo dell’arte.

segni misteriosi - 500

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Teoria critica oggi.  0

La teoria critica oggi in voga trascura il concetto di valore e fa riferimento a immanenze di storicità mondana. Non è il caso qui di inoltrarci in una approfondita disamina. Basti accennare alle svariate aporie insite nella superficialità critica e la mancanza di chiarezza ontologica. Anche l’artificiosità problematica che si è voluta creare intorno  agli idoli verbali costituiti dalla critica e filosofia dell’arte, i quali hanno la pretesa di tracciare la storia dell’arte attraverso discutibili ermeneutiche. L’impressione è che le numerose teorie sull’arte nascano da un equivoco. Nella versione data da Platone e Aristotele il concetto di equivoco tende a divaricarsi in molteplici significati, ma sostanzialmente si tratta di essere guidati positivamente da un significato fondamentale. Il problema dell’arte è invece avvolto nella più totale confusione tra teorie spurie e apodismi irrazionali. A partire dalla domanda: come si stabilisce il valore di un’opera d’arte?  Una interpretazione potrebbe essere il valore come significato della forma della realtà formale del segno  che irradia una molteplicità di stimoli socio-culturali. Ma la mutevolezza del giudizio finisce per essere collegata inestricabilmente alla soggettività psichica, in contrasto con la pretesa di stabilire valori certi. Un giudizio estetico può prescindere dal significato?  Se il “bello” è giustificazione  a se stesso, anche in questo caso significa disperdere nella soggettività acritica la valutazione dell’opera. Come si vede sono molte le aporie nella quali finiscono per arenarsi  critica e filosofia dell’arte. Per mantenere la necessaria dialettica, la facoltà del giudizio dovrebbe innanzitutto essere razionale. Forse per spiegare talune forzature polemiche dovremmo alzare lo sguardo sulle vere motivazioni. Come scrive Peter Sloterdijk: “ ….Il denaro è la terza persona della Trinità..” (Sfere I° Volume. Editore Cortina pag.170) Secondo Kant: “…Il Giudizio è la facoltà di stabilire la corrispondenza alla regola”. Ora il pensiero corrente avviato dalle avanguardie ha stabilito un’assioma: l’arte (ma non solo l’arte) è esentata dal rispetto delle regole, anzi è considerata virtù creativa violare ogni regola. Ne consegue che anche il linguaggio della critica e filosofia dell’arte è esentato dal rispetto delle regole, e quindi diventa la quintessenza della narrazione decettiva , perché comunica null’altro che opinioni nel palese tentativo di creare valori.           poster74

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