Archives for : novembre 2014

La memoria dell’acqua  0

Gli azzeccagarbugli di manzoniana memoria, dalle aule dei Tribunali dilagano da tempo nel mondo dell’arte portando con sè una buona dose di approssimazione metafisica; filosofi dell’arte, docenti di estetica, critici, sembra abbiano smarrito la consapevolezza del significato della materia che trattano. Un abbaglio culturale di dimensioni terrificanti a cui è pressoché  impossibile porre rimedio.  Qualche anno fa apparve sui giornali la notizia che uno scienziato francese aveva scoperto la “memoria dell’acqua”. L’acqua cioè avrebbe avuto  la proprietà di conservare la memoria delle cose. La panzana venne presto smentita,  la scienza aveva  strumenti per effettuare  verifiche. A Livorno alcuni anni fa, un gruppo di studenti  scolpì nella pietra alcune teste dai tratti umani, alla maniera di Amedeo Modigliani. Le buttarono in un corso d’acqua. Quando furono “scoperte” vennero sottoposte al vaglio di critici e studiosi, i quali le riconobbero  come opere autentiche  del maestro livornese. Solo l’uscita allo scoperto degli autori della burla consentì di accertare che si trattava di falsificazioni. Dall’inizio del secolo scorso è in atto un dibattito surreale  sull’arte, rifratto passando attraverso il prisma di forzature estetiche e un enorme impegno propagandistico  mediante il quale si sono creati miti come quello di Warhol. Le teorie che attribuirono lo status di opere d’arte a  taluni  ready made, hanno dato la stura ad una pletora di epigoni.  Il dibattito, di  filosofi dell’arte, docenti di estetica, critici, è infarcito di esilaranti truismi. Tiziana Andina, docente di filosofia teoretica all’Università di Torino,  avvalla qualità artistiche di Brillo Box di Warhol scrivendo: “ …un abitante del pianeta Marte giunto sulla Terra senza conoscerne la storia; davvero l’esperienza estetica della Sacra Famiglia (opera di Raffaello) sarebbe in qualche modo diversa rispetto a Brillo Box?” . A parte il fatto che l’arte è un prodotto culturale,dunque i marziani avranno con ogni probabilità idee e concetti radicalmente diversi dai nostri, come pure la concezione di materia e spazio; quindi l’esempio è di un’insipienza surreale. Non è la sola  citazione impropria del libro. Vi è il riferimento alla legge di Leibniz :  “ le entità x e y sono indiscernibili se e solo se ogni predicato che vale per x vale anche per y – eadem  sunt, quorum unum potest  substitui alteri salva veritate”. La citazione non  è pertinente,  non  chiarisce perché  uno scolabottiglie, simile a mille altri, viene considerato un’opera d’arte. Gli anacoluti concettuali sono molti, ci vorrebbe la sagacia di  Rabelais per affrontare con la giusta dose di ironia tali squinternate tesi.  Ovviamente non tutti  i ready made si equivalgono, questo argomento ci porterebbe lontano. Qual è la sostanza del dibattito? Alcuni mediocri artisti, per uscire dall’anonimato, hanno  deciso di utilizzare lo strumento della provocazione. Hanno preteso di considerare superato ogni riferimento estetico,  la “vecchia” idea  di arte doveva essere considerata  obsoleta, non in carattere con la modernità,  di qui la pretesa  di archiviare il sistema di  produzione dell’arte in essere da prima della nascita della civiltà. Filosofi e critici, invece di considerare l’azzardo per quello che era, hanno imbastito diatribe che durano tutt’ora, con inevitabile gioco di rimandi in funzione di un reciproco sostegno ed uso disinvolto, quando non decettivo, di citazioni. Di fatto nessun filosofo o critico d’arte mette in discussione la scelta di certi ready made, anzi l’infinità di articoli, libri, dibattiti hanno lo scopo di dare  maggiore credibilità ad opere che solo attraverso l’uso disinvolto di sofistiche tautologie possono essere considerate arte.  Duchamp arriva negli USA, entra in contatto con il movimento DADA. Decide di acquistare un orinatoio in una bottega. Lo firma con lo pseudonimo “R.Mutt 1917” .Lo propose alla Society of Indipendent Artists, che, dopo accesa discussione lo rifiuta come opera d’arte.  A questo punto entra in gioco il critico Alfred Stieglitz, il quale sulla rivista The Blind Man” pubblica la foto dell’orinatoio accompagnata da un articolo nel quale sostiene che il signor Mutt con l’esposizione dell’articolo ha “creato un pensiero”. Il primo a stupirsi dell’interpretazione è lo stesso Duchamp.  Il signor Stieglitz non tenne conto che i pensieri non si collezionano, sono le nefaste  conseguenze di quei pensieri  ad avere riempito i musei, con sacchi di spazzatura, barattoli di merda e simili. Si è attuata la legge di Gresham: “la moneta cattiva scaccia quella buona” . Non a  caso Duchamp  ha  avuto grande successo in America, terra priva di  importante background artistico -culturale. Egli è stato finanziato da una  ricca ereditiera americana, certa Katherine Sophie Dreier, che l’ha introdotto nei circoli mondani  dei quali facevano parte le principali  collezioniste delle avanguardie:  Peggy Guggenheim, Gertrude Stein, Mary  Cassat, e altre. Gli intellettuali hanno aderito in massa per conformismo al clima culturale prevalente all’inizio del secolo scorso, si sono prestati, per  spirito servile o peggio per ragioni di lucro ad avvallare una cinica operazione commerciale condotta dagli USA  intenzionata ad azzerare i valori dell’arte- arte per imporre i propri.  Tutto si è riverberato  in Europa creando una situazione di non ritorno. Al punto in cui siamo è impensabile invertire la rotta. L’arte è ormai fatua mondanità, dominata da artisti improvvisati, narcisi confusi, sostenuti da ricchi commercianti.

Piergiorgio Firinu

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1000 miles in Sonora  0

E’ chiaro che una cultura è tanto più permeabile, predisposta all’assorbimento di culture diverse, quanto più è approssimativa e instabile. Contrariamente a quanto sostiene la vulgata corrente. Anche la dibattuta questione relativa ai ready made,  tende ad essere  considerata in modo generico, ovvero sulla scia del rifiuto dell’estetica  propria dell’arte contemporanea. L’estetica non può  ovviamente essere  il solo punto di riferimento  della produzione artistica. Ma neppure è accettabile che  i ready made siano considerati  a priori come una  contrapposizione alla bellezza. Credo che questo concetto debba essere rivisto. L’autonomia dell’artista non può basarsi su pregiudizi,  tanto meno lo esime dal  rendere intelligibile il linguaggio di cui si serve, a meno che non voglia chiudersi in un soliloquio. Nel 1976, nel corso di un viaggio in automobile da News Orleans a Los Angeles, feci una sosta in un punto deserto  del Nuovo Messico. Ricordo un cartello “1000 miles Sonora” . Feci due passi per sgranchirmi le gambe e vidi in mezzo alla sabbia un ramo secco completamente traforato dalla termiti (o almeno credo). Pareva un pezzo di legno ricamato, mi colpì molto l’originale semplicità dell’oggetto. Lo raccolsi e tutt’ora lo conservo nel mio studio – foto – L’oggetto mi suggerì l’idea di ripetere l’esperimento. Collocai un ramo sulla parete del mio studio, sperando che i tarli lo lavorassero.  In effetti un tarlo entro nel legno, uno solo, lo perforò da parte a parte e scomparve. Immaginai la possibilità di collocare il ceppo sopra uno dei formicai presenti nel mio prato. Rinunciai pensando alla difficoltà che avrei incontrato a liberarlo dalle formiche. Scrivo di questo episodio minimo perché penso che la scelta di un ready made possa avere diverse motivazioni e significati. Il ramo traforato che raccolsi  è un “capolavoro” creato senza consapevolezza da animali. La mia scelta  è invece frutto di consapevolezza, un appropriazione che pone all’attenzione qualcosa che forse è unico, non nel senso che sia l’unico legno traforato, ma unico per forma e tipologia  di traforazione. Per  me l’oggetto è anche esteticamente bello. Dunque il ready made non deve necessariamente essere sgradevole  o esprimere qualcosa di provocatorio. Basti dire che il più diffuso ready made è la fotografia. Quando scattiamo una fotografia non creiamo nulla, ci limitiamo a registrare qualcosa di esistente. Il rischio, visto l’abbruttimento generalizzato, è che solo le cose brutte, pornografiche, oscene, attraggono l’ attenzione di chi punta l’obiettivo. Un tramonto è qualcosa di naturale, non è un’opera d’arte, lo può diventare quando è dipinto o fotografato. E’ un errore a mio parere considerarlo banale, scontato, in realtà non esiste un tramonto identico ad un altro. Dobbiamo tentare  di tenere desta la nostra sensibilità anche per le cose semplici, evitare l’ottusa ricerca dell’”originale” a tutti costi. La nostra osservazione non può per così dire, galleggiare, perdere l’attenzione per i dettagli, il particolare che fa la differenza. La nostra visione è come la nostra vita, può essere impoverita o arricchita dalla nostra sensibilità, la stessa che  ci consente di scorgere e apprezzare un profumo, il sorriso di una persona, la poesia di una strada deserta.   aaaaaaaalegno

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Artissima e d’intorni Torino 2014  0

barartisticaL’escatologia dell’arte è certificata anche dalla deriva nominalistica delle mostre. A Torino, in parallelo allo svolgimento della Fiera dell’Arte denominata Artissima, si è svolta una mostra, supportata da Enti Locali ( in questo caso i soldi si trovano) Enti pubblici e Banche, dal titolo “Shit and Die” (Caga e muori). Cifra della sempre più raffinata intelligenza di molti produttori d’arte contemporanea e loro sostenitori. Ovviamente la mostra ha avuto un grande impatto mediatico, con file all’ingresso e molti visitatori ansiosi di farsi stampare in fronte il titolo della mostra dall’onnipresente Cattelan.Tenuto conto che la mostra si è svolta in un palazzo storico al centro di Torino, Palazzo Cavour, e si è potuta svolgere grazie all’appoggio degli Enti Locali, abbiamo una chiara visione dei tempi in cui viviamo. Si cercherebbe invano un articolo di critica alla mostra, o più in generale a certe derive di Artissima. Per critica s’intende, come dice la parola stessa, non elogi, ma la messa in rilievo di carenze e distonie. Gli elogi in qualche caso sono declinati con derive politiche e di campanile. La politica e mercato innanzitutto. Tuttavia anche l’entusiasmo, reale o simulato,  non cancella lo stato non proprio felice dell’arte contemporanea. Il pensiero unico, mascherato di progressismo domina anche la scena dell’arte. Da notare il crescente numero di artisti che realizzano opere consistenti in scritte su lastre di pietra o marmo, del tipo che si vedono nei cimiteri, forse inconscio riferimento alla morte dell’arte. Anche la mostra su citata include il richiamo alla morte nel titolo. Dovremmo aspettarci presto degli happening direttamente nei cimiteri dove le lapidi sono numerose, quasi sempre con scritte più intelligenti di quelle che appaiono sulle lastre di marmo esposte nelle gallerie. Di certo diventa  difficile ogni discorso sull’arte: nullum est iam dictum quod sit dictum prius.

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