Post by Category : Conversazioni sull’Arte

La dimensione ontologica dell’arte.  0

La dimensione ontologica dell’arte è stata definita in vari modi ed esaminata nell’ambito di una conoscenza storica ed epistemologica fino all’avvento delle cosiddette avanguardie che hanno non modificato, ma eliminato ogni approccio di carattere culturale in omaggio ad aspetti di estemporaneità sociale e di mercato..

La matrice primitiva della conoscenza in cui la realtà del mondo esterno è già stata qualificata da termini di un dominio secondo una legge che regola o forma in ordine di successione che ignora  la natura della visione nell’ottica della conoscenza scientifica propriamente detta. Questo approccio intuitivo viene detta : creatività.

L’artista costruisce e da  la forma alla materia attraverso la sensibilità. Così facendo persegue inconsciamente un costante coefficiente di deformazione della realtà percepita soggettivamente senza preoccupazioni di  un rispecchiamento che  corrisponda alla natura delle cose.

Attuando questa deformazione, imposta da questo specchio imperfetto,l’immaginazione umana segue uno schema di  percezione in  termini di pura apparenza, restando nell’ambito della soggettività.

L’artista opera nello spazio e sulla materia utilizzando una epistemologia di tutt’altra natura di quella utilizzata dalla scienza.

Non si pone infatti il problema dello spazio nella stessa ottica posta, a esempio, dal francescano Roberto Grossatesta il quale nel suo testo “ Metafisica della luce”.aveva teorizzato un concetto di spazio il cui dettaglio concettualizzato apriva ampi spiragli di conoscenza scientifica, immaginando  una estensione fittizia, priva di materia, supponendo potesse essere una fonte di energia. Tale ipotesi era stata approfondita da Hobbes, mentre   Giordano Bruno avanzava un diverso schema di  spazio,vuoto e infinito. Non è questa le sede per approfondire tale materia. La citazione serve a chiarire che la filosofia orienta alla conoscenza delle cose le cui proprietà possono essere acquisite a partire dalla percezione sensoriale, sottoposte ad articolazione analitica. Ecco perché Gassendi e Marsenne ipotizzarono l’impossibilità  dell’uomo di comprendere la causa prima delle cose. Essi sostennero che siamo in grado di conoscere la struttura dei fenomeni, ma quasi mai la ragione per cui avvengono. Sappiamo, a esempio, che solo il 5% della materia dell’universo ci è nota, il resto è costituito da buchi neri, ma non conosciamo la ragione del loro formarsi.

L’arte non  pone problemi di conoscenza, limita la propria sfera all’apparenza delle cose. Uno dei tanti truismi che costellano la storia dell’arte afferma: l’arte inizia dove la scienza si arresta. Questa affermazione conferma che l’arte rappresenta la più enfatica esaltazione antropocentrica, e porta a valorizzare oltre misura tutto quanto attiene agli esserti umani,secondo un propter quid la cui origine è la religione.

Non c’è dubbio che l’apporto gnoseologico dell’arte è modesto. Delle due forme del sapere, intuitivo e analitico, l’arte segue il primo. Forse dovremmo dire seguiva, in quanto l’arte contemporanea ha percorsi affidati alla estemporaneità mondana, realizza opere nelle quali si i limita all’apparenza senza preoccupazioni di significato.  pittura religiosa spagtnola500

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Logica e sensibilità.  0

Per Platone la filosofia è conoscenza di oggetti che sfuggono ai sensi,per Kant e conoscenza razionale per concetti puri, in questa prospettiva sembrerebbe senza senso consegnare riflessioni filosofiche a un’immagine. Questo scettico luogo comune suggerisce un’ermeneutica delle  opere solo attraverso l’intuizione, lasciando da parte teorie, concetti, richiami filosofici. In realtà sappiamo che nei pittori del rinascimento, ad esempio nella Scuola di Atene di Raffaello, ai Tre filosofi  di Giorgione, fino a Rubens, Goya, De Chirico, Magritte si sviluppa  un originale percorso euristico attraverso le immagini.

 

Il tema, considerato sotto l’aspetto iletico contemporaneo  suscita la domanda: ha ancora senso attribuire all’arte un contenuto o richiamo filosofico, vale a dire valenza universale?

Di certo molta acqua è passata nei fiumi del mondo da quando Occam  proponeva  che dall’incontro della logica con l’epistemologia, si deducesse la possibilità di dare un significato concettuale al segno, e alla narrazione linguistica volta a indagare il significato delle cose percepite sensibilmente, una sorte di cenegesi culturale con cui arricchire la forma. La percezione sensibile è punto di partenza, che non può considerarsi l’approdo gnoseologico relativo alla lettura di un opera d’arte.

 

La tradizione aristotelica e scolastica avevano accordato uno statuto sostanzialistico alla impostazione astratta e tutti gli schemi di generalità in funzione dei poteri di simbolizzazione della mente umana. L’arte rientra in questo ambito espressivo, perché riconducibile al potere di simbolizzazione, capacità propria della mente umana esercitata nella indagine logica.

 

Anche Zabarella, filosofo della Università di Padova effettuò studi per indagare la natura del significato ontologico dell’arte, prendendo in esame le tecniche e le procedure nelle arti avendo per oggetto i grandi pittori veneti ed emiliani della sua epoca. Frequenti i richiami a Hobbes e ad approfondimenti  sul concetto di verità e falsità attraverso l’inferenza circa la proprietà non delle cose,ma del pensiero logico espresso attraverso le immagini.

 

Quando Danto archivia la metafisica, che presumibilmente non conosce, come inutile vecchiume, di fatto butta via, insieme al bambino, anche l’acqua e la bacinella che contiene entrambi, azzera cioè, non un bagaglio di conoscenze, ma un metodo mediante il quale si attua il percorso che indaga l’ontologia dell’arte.

 

I filosofi del tardo Medioevo, Occam, Hobbes, Zabarella, Grossatesta, affrontarono la questione se l’approccio al sapere dovesse privilegiare la sensibilità o la logica. Detto in altri termini, se dovesse prevalere il metodo naturale o l’artifizio logico costruito dall’uomo del quale si serve anche la scienza per indagare la natura delle cose. Oggi sembra prevalere l’opzione sensibile, cioè emotiva,  che trascura il bagaglio di sapere a vantaggio della percezione immediata.

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Le suggestioni di una società deviante.  0

Nicola Cusano nel 1463 scrisse De ludo Globi, un testo di carattere pedagogico educativo in cui vengono affrontati i temi del gioco e di ciò che costituisce una sorta di temperante evasione del pensiero.

 

L’arte delle origini aveva anche questa funzione, nel senso di rappresentare la realtà nei suoi aspetti positivi e gioiosi, senza pretese universalistiche. Nella misura in cui si è preteso di attribuire all’arte significati escatologici, la natura essenziale dell’arte è mutata.

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Il personaggio diventato noto quale simbolo di generosità verso gli artisti Gaio Cilnio Mecenate, fu soprattutto generoso verso il letterati come Orazio e Virginio, aveva meno interesse nei confronti di pittori e scultori, questo perché pittura e scultura erano considerate attività artigianali senza particolare valore culturale.

 

La scrittura invece aveva capacità di creare personaggi e mondi nei quali il pensiero si perdeva in fantasie e si arricchiva di conoscenza.

 

Quando Goethe, nel 1808  creò Faust, eroe borghese, narrò la favola dell’alleanza tra il dotto avido di piaceri e il demone disposto a concederglieli. Ebbe grande successo nella società dell’epoca, perché metteva in risalto la corruzione che allora era sicuramente inferiore a quella della società contemporanea.

 

La massa di cariatidi che reggono Il Portico del capitalismo, convinti di fruire di piena libertà nel momento in cui, il sistema del consumo compulsivo, ha aggiunto nel registro dei diritti, la trasgressione.

 

L’assioma di Nietzsche secondo cui le culture evolute si basano sulla schiavitù si esprime oggi attraverso  una serie di condizionamenti imposti dalla civiltà che crea sempre nuovi bisogni e forme di dipendenza.

Le suggestioni di una cultura deviante, si esprimono attraverso una simbologia che ha valore d’uso  psichico, e crea la realtà alienata descritta da Bloch.

L’Occidente, nella prospettiva di universi culturali diversi, di religioni e civiltà con diverse simbologie, è visto come l’impero della pornografia e parodia di un potere femminile che si limita ad annullare  gradatamente le regole di  civile convivenza che egli stesso si è date, a favore di un solipsismo che si traduce in darwinismo sociale.

Quando una civiltà è immersa in  stati crepuscolari per il dissolversi del futuro, le masse si abbandonano alla corrente  in una condizione di  trance  della normalità. Anche gli artisti, la cui creatività s’inaridisce, si affidano alla reiterazione della provocazione, riducendo l’opera d’arte a frammento privo di significato.

Rebecca Horn, Cornucopia.

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Tecnologia, pensiero, creatività.  0

Richard Buckminster Fuller nel 1969 pubblicò il libro:  “Operatting Manual for Spaceship Earth”, nel quale esprimeva all’idea che il pianeta terra non sarebbe molto più di una capsula all’interno della quale noi esseri umani dobbiamo sopravvivere.

La teoria di Fuller sembra aver costituito una delle fonti d’ispirazione dell’artista danese Olafur Eliasson, l’artista degli oggetti, le cui numerose installazioni e montages offrono la più lucida interpretazione  del concetto di rivolgimento ambientale che si possa riscontrare  nella produzione di arte contemporanea.

Soprattutto con la mostra “Surroundings surrounded”, realizzata in collaborazione con Peter Weibel nel 2001,.Eliasson si è candidato ad essere il primo artista di bordo di un isola assoluta in corso di costruzione. Nel titolo della mostra emerge in modo inequivocabile  la svolta costruttivista; gli ambienti naturali mostrati dall’artista, interpretati grazie alla scienza e alla tecnica, non ci si trova di fronte a totalità eco-romantiche, ma a impianti di natura, spazi espositivi in laboratorio, vediamo imitazioni, pròtesi, esperimenti le cui presentazioni mettono sempre più luce  allo stesso tempo la struttura naturale e l’effetto innaturale, in un  all’ottica tecnico-scientifica.

Eliasson realizza anche la cascata artificiale,nel frattempo divenuta famosa, per lo straordinario  frastuono. Dal punto di vista artistico,scientifico e tecnico, viene  sfruttato anche l’effetto cornice della situazione museale. Qui la natura si rapporta al museo come il mondo della vita lo fa con il vuoto.

Resta la domanda di fondo: è arte tutto questo? O semplicemente  la costruzione intelligente di effetti resi possibili dalla tecnologia, usata da un abile specialista in scenografia ed effetti speciali?

Per i critici sembra attuarsi in modo parossistico la nota frase di Ludwig Wittgenstein: “va bene così”.

Siamo oltre la profetica affermazione di  Lissitzky secondo il quale il costruttivismo rappresentava il punto di passaggio dalla pittura alla architettura. Le costruzioni di Eliasson sono infatti costruzioni architettoniche in chiave tecnologica.

Assistiamo all’attuazione di una sorta di nemesi relativa al tendenza avviata dalle avanguardie del secolo scorso dell’uso del ready-made e del tutto è arte. Forse i teorici di simile teorie non avevano immaginato, previsto, che sarebbe stata la tecnica a sostituire il ready-made, in un capovolgimento di senso che non modifica però la questione di fondo: se tutto è arte si può fare arte con tutto

Questo conferma lo stato prefigurato da Elias Canetti di una “società in cui l’ogni uomo viene raffigurato che prega dinnanzi alla tecnica che lo condiziona.

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Aria di Parigi.  0

La storia dell’arte non sempre narra i fatti che portarono alla realizzazione di un’opera,anche se in alcuni casi sono molto significativi.

Marcel Duchamp trascorse le feste di Natale del 1919 dalla sua famiglia a Rouen. La sera del 27 dicembre contava di imbarcarsi a Le Havre a bordo del piroscafo La Touraine per raggiungere New York. Poco prima di partire si recò in una farmacia in rue Blomet dove convinse il farmacista a prendere un’ampolla di media circonferenza, ad aprirne il sigillo versare il liquido che conteneva, poi a chiudere questo recipiente bombato. Arrivato a New York Duchamp consegnò questa ampolla vuota che aveva portato con sé, alla coppia di collezionisti Walter e Louise Arensberg, come regalo del visitatore ai suoi ospiti, spiegando loro, che visto che i suoi fortunati amici possedevano già tutto, aveva voluto portar loro 50 centimetri cubi di Aria di Parigi.

Così un volume d’aria delle coste francesi entrava nella lista dei primi ready-mades.

Duchamp non si preoccupò minimamente del fatto che il suo oggetto di arte estemporanea  costituisse di fatto una falsificazione, non era infatti riempito di aria di Parigi, ma con quella di una farmacia di Le Havre.

Non solo, nell’atto di designazione celò l’origine reale, ma quando, nel 1949 per un incidente l’ampolla di Aria di Parigi della collezione Arensberg, andò distrutta, Duchamp incaricò un amico di tornare nella stessa farmacia di Le Havre ed acquistare una stessa ampolla con la quale ripetè l’operazione che aveva computo nel 1919.

Dieci anni più tardi, nel 1959, nella hall di un hotel di New York, Duchamp spiegò al giornalista che lo intervistava: “l’arte un sogno che è diventato inutile” ; “Trascorro bene il mio tempo ma non saprei dirle cosa faccio… io sono un respiratore”.

Commenti e considerazioni sarebbero inutili come l’arte del sogno a cui fa riferimento l’artista, ma ciascuno può trarre le proprie conclusioni.

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Individualismo e creatività.  0

In che modo l’individualismo creativo dell’artista può essere catalizzatore del sentire collettivo? Come può l’arte rappresentare la totalità se la società contemporanea è frammentata e confusa? L’identità ridotta a una protesi dell’evidenza di se in una società della totale incertezza.

Le teorie dei filosofi che affrontano temi sociali sembrano attribuire alla massa la consapevolezza del proprio agire. La realtà smentisce simile ottimistica visione. La globalizzazione collide con la cultura, a partire dalla lingua. Secondo una ricerca UNESCO esistono 6700 linguaggi e un numero non censito di dialetti. Questi datti, se da un lato confermano la molteplicità culturale del passato, mettono in evidenziano la difficoltà di comprensione tra i popoli, considerato che ad ogni linguaggio corrisponde una cultura e una storia.

Vi è un’inevitabile estraneità tra creatività e storia. Ciò che ha da dire la storia dell’arte sul problema della prospettiva nella pittura, non tocca minimante il problema delle guerre di conquista dell’Europa e il commercio degli schiavi e tutte le evenienze di oggi.

L’arte tratta  di universi simbolici separati, ciascuno può essere caratterizzato per se , non c’è comunicazione. Ovidio parla dei fieri dell’arte, della creazione dell’opera d’arte la cui epistemologia consente la realizzazione  formale del pensiero sottostante. Vi è un’arte che esprime il significato dei fenomeni, questa è per così dire un’arte filosofica. Un’altra arte tenta di esprimere il confronto tra forma e realtà

La pretesa contemporanea di seguire esclusivamente la libertà, ci sottrae al determinismo che regola l’ambito fenomenico,che si applica la mera apparenza delle cose  nello spazio in base alla ragione pratica. Nietzsche ritiene che sia necessaria una presa di distanza dalla confusione della massa e cercare di dal pensiero la capacità di agire.

Hegel sosteneva: “L’arte non vale più per noi come il modo più alto in cui la verità si da esistenza”.  Difficile immaginare che l’arte s’innalzi  e si perfezione se abbiamo cessato di credere ai valori che l’ha esprimono. La storia d,

ell’arte è un regressivo percorso di rinuncia a tutto ciò che trascende la bieca realtà ontologica.    25-individualismo-e-diritti-acquisiti

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Ermeneutica della forma.  0

Il rapporto che intercorre tra l’opera di avanguardia e metodi formali di teoria dell’arte, è stato stravolto con l’elusione dei tradizionali procedimenti  tecnici e uso dei materiali. Ciò tuttavia non ha modificato l’approccio ermenèutico della critica d’arte, provocando una dicotomia tra oggetto e interpretazione che avviene ancora con criteri classici da buona parte della critica. Prassi e teoria dell’avanguardia hanno avuto, tra l’altro, l’effetto di diluire l’essenza significante in discipline diverse. Reinhard Brandt nel suo libro “Filosofia nella pittura”, ha analizzato opere di artisti classici con riferimenti filosofici. Appare evidente che le opere dei maestri del passato potevano essere apprezzate, indipendentemente dalla capacità d’interpretazione iconologia. L’arte d’avanguardia, avendo eliminato l’estetico, ha ridotto la forma a citazione concettuale, con la conseguenza che, l’osservatore non sempre in grado di percepire il significato sottointeso, perde ogni possibilità di comprensione e godimento. Senza dubbio, non è ancora emersa con sufficiente chiarezza l’inutilità della critica d’arte oggi. Essa ha un approccio classico a  opere che sono la negazione di ogni espressione d’arte, intesa in senso tradizionale. A prescindere da capacità e intenzioni, i critici raramente sono in grado di svolgere efficacemente la propria funzione interpretativa, in quanto la lettura dell’opera richiede il ricorso a varie discipline, psico – sociologiche, politiche, filosofiche, e quant’altro serve a collocare l’opera nel contesto nel quale è possibile decifrarne il senso. L’analisi dell’opera non può  essere  attuata scientificamente, come ipotizza, tra gli altri,  Peter Burger nel suo saggio “Teoria dell’avanguardia”,  anche in ragione della estemporaneità di molte opere.  Le forzature ermeneutiche della critica, finiscono per costituire  anello di congiunzione con l’arte-arte, in questo modo accreditano una supposta concettualità, che forse era nelle intenzioni dell’artista, ma non è ravvisabile  nell’opera. A ciò contribuisce il modesto bagaglio culturale degl’artisti, spesso non in grado di adeguare l’apparato concettuale alla sintesi della forma. C’è il rischio concreto di nobilitare la pura dissacrazione a concetto. Condizione necessaria per una possibile sintesi tra procedimenti formali ed ermeneutici è rendersi conto che  nell’opera avanguardistica l’emancipazione del singolo elemento non raggiunge mai il distacco completo nella totalità dell’opera. Anche dove la negazione della sintesi diventa principio strutturale, deve comunque rimanere la possibilità di pensare a una unità, sia pure precaria. Addurre la complessità dell’opera per giustificarne la difficoltà di fruizione, è un espediente non accettabile perché significherebbe sminuire autonomia ed efficacia del linguaggio dell’arte. L’opera   deve esprimere la totalità di senso, anche se è stata raggiunta l’unità dopo aver  accolto la contraddizione. In altre parole, non è più l’armonia delle singole parti a costituire l’unità dell’opera, bensì il rapporto contraddittorio di elementi eterogenei. Per questo, dopo i movimenti di avanguardia, non si può pensare né di sostituire semplicemente l’ermeneutica con procedimenti formalistici, né di continuare  ad affidare la critica a procedimenti intuitivi, ma adeguarsi alla mutata  situazione storica.

 

Pierpaolo Pasolini, Senza titolo, 1971 ca-Pierpaolo Pasolini 500

 

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Il furto dell’essere.  0

Non è sostenibile la tesi secondo cui esistono diverse realtà nell’esistenza di ciascuno di noi, privato, pubblico, professionale. Sembra più che altro un espediente retorico che porta alla frammentazione sociale.  Diciamo piuttosto che gli umani fanno pace con le proprie colpevoli abitudini. “Le vite” del Vasari descrivono i dettagli della vita dei singoli artisti. Le loro vite incidono sulla loro arte.

Oggi è diventato tutto molto più difficile, attraverso la tecnologia siamo soggetti al furto dell’essere. Gradatamente rinunciamo al pensiero pensante per adagiarci sull’adeguamento alla funzionalità dello strumento che usiamo, inconsapevoli di essere prigionieri in una formalità operativa che  condiziona il nostro agire. Il cedimento alla tecnologia ci porta all’aridità creativa.

Cosa ne è stato della filosofia che da Talete in poi ha formato il pensiero della civiltà occidentale? Iniziamo a capire cosa significa il fatto  che le evidenze europee, insieme alle loro regole linguistiche, antropologiche, filosofiche, giudiziarie, valgono solo per l’’Occidente e non riflettono affatto il common sense dell’intera umanità.

Amiel ha collegato questo ritrarsi del pensiero occidentale al vuoto che si è venuto a crearsi  per la rapidità con la quale è mutato il nostro mondo e la società. Siamo afflitti da cronofagia. L’attuazione di un opera d’arte che un tempo richiedeva mesi, anni, oggi, adottando le modalità della tecnologia, è pressoché istantanea. Ma il corpo umano è soggetto a propri tempi, il ciclo circadiano  detta le proprie regole, la rapida modifica dei ritmi di vita non è senza conseguenze sull’intelletto e sul corpo. La nostra vita scorre suscitando nostalgia del mondo che non sappiamo più vedere, capita che la memoria ci metta di fronte al panorama di ciò che andato perduto. A poco serve una cultura velleitaria che tenta di fermare i rivoli di un esistenza che si disperde in suggestioni estemporanee. L’intelligenza solipsistica può esistere solo frammentando gli spazzi privati in una dilatazione di senso che includa esclusivamente forme  di evasione dal pensiero consapevole. Il percorso della dissoluzione della ragione accompagna la decrescita e declino della civiltà.

Martin Lutero nel testo “Contro i profeti celesti”,scrive: “La ragione è la più grande delle puttane del diavolo, bisognerebbe metterla sotto i piedi e distruggerla”. Ci sarebbe quindi da supporre che la filosofia, principale frutto del pensiero raziocinante e immaginifico, sia esercizio vano. La volontà di Schopenhauer, ansia di potenza di Nietzsche, lo slancio vitale di Bergson, i flussi di Deleuze, sono tutti esercizi mentali che non approdano a nulla se non, qualche volta, alla pazzia.      PROSTITUTA

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Escatologia dell’arte.  0

L’arte esprime il proprio tempo a volte anche a prescindere dall’oggetto che raffigura. Tra il  tardo Medioevo e il Rinascimento  la pittura rappresentava soprattutto opere di carattere religioso. Con l’avvento della Borghesia e del cosiddetto Romanticismo , sono subentrati ritratti di borghesi, paesaggi, interni. Dalla fine del ‘900 le avanguardie hanno in pratica cancellato due millenni di arte imponendo un’arte rozza e volgare. La Modernità ha imposto il materialismo, il genere, la struttura, l’inconscio, la massa. Tutto questo era già in discussione sotto aspetti meno grossolani e dirompenti,  Con il prevalere del dominio del cliente in  un mercato deregolamentato del senso, le scelte erano  à son goùt, senza impacci di carattere culturale.

Hans Sedlmayr  denuncia la pratica della modernità, con la sopravvenuta perdita del centro. Nelle arti figurative dei secoli XIX- XX le  questioni morali vengono ad assumere un valore irrilevante, prevale   l’assioma secondo cui, l’arte essendo libera, non è legata a nessun tipo di condizionamento etico. L’arte è autonoma, anche dal proprio significato. L’assunto  trascura un dettaglio, l’artista è inevitabilmente condizionato dal proprio contesto e dalla propria cultura. In questa situazione, l’arte getta il guanto di sfida al mondo reale, ma non si accorge di scivolare verso un materialismo ontologicamente squallido. Andy Warhol, accanto a Marilyn Monroe, dipinge Lenin e Mao, Escatologia dell’arte. Joana Vasconcelos presenta un lampadario fatto con tampax. E’ tutto un potpourri da vendere agli squilionari il cui cinismo e pari all’ignoranza.

In Italia diventa icona dell’avanguardia Piero Manzoni, Figlio di un produttore di carne in scatola, Mazotin. L’artista  defeca in una bacinella e riempie dei propri escrementi novanta scatolette di metallo del peso di 30 grammi. Su ciascuna scrive “Merda d’artista. Contenuto netto gr.30. Conservata naturale. Prodotta e inscatolata nel maggio 1961”. Tutto viene rigorosamente numerato, etichettato e firmato. E’ l’ingresso ufficiale della merda nel mondo dell’arte occidentale.

L’operazione artistica di Manzoni è resa possibile dal precedente di  Duchamp che nel 1913 presentò uno scola bottiglie come opera d’arte, seguito dal orinatoio nel 1917. Duchamp fu finanziato a sostenuto dalla ereditiera americana Katherine Sophie Dreier. Così l’Occidente unito ha creato un nuovo mondo dell’arte prontamente monetizzato dai mercanti ebrei. Castelli, Guggenheim, Sonnabend.         lampadario di tampax

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La filosofia dipinta.  0

La fondazione della filosofia si proponeva la depurazione dell’intelligenza , suo compito fornire la chiave con cui armonizzare l’approccio alla realtà.

L’’Atlante Farnese è uno splendido esempio della possibilità del connubio della filosofia e dell’arte, entrambe le discipline impegnate nel dare significato al reale.  L’opera ha ispirato una quantità di ipotesi ermeneutiche e considerazioni filosofiche. L’immagine del Titano gravato dal peso del globo di cui non sa nulla e che non può vedere. Era l’Epoca in cui gli artisti possedevano una base culturale e con essa potevano interpretare la storia. Attuavano la suggestiva tesi linguistico ontologica teorizzata da Heidegger, secondo la quale l’opera d’arte “erige un mondo”.

Tralasciando confronti imbarazzanti, è difficile negare che l’arte moderna abbia rinunciato ad esprimere la conoscenza del mondo, per quanto possa essere percepito dall’artista.

In passato sono state molte le opere pittoriche che hanno raffigurato filosofi. Esempi importanti : “La Scuola di Atene” di Raffaello Sanzio. “ I tre filosofi” di Giorgione, e altre. Quasi sempre la pittura si limita a rappresentare situazioni ed espressioni intorno alle quali si sono affollati  tentativi ermeneutici. Franz Hals, volendo rappresentare l’epistemologia cartesiana, decide di non rappresentare il filosofo con un libro di filosofia, ma sullo sfondo oscuro di una biblioteca, quasi a indicare la difficoltà della conoscenza di accedere alla luce.

Nel momento in cui l’arte si è per così dire accartocciata nell’autoreferenzialità, la filosofia non è più stata necessaria, è subentrata la sociologia fatta propria dalla critica d’arte in una narrazione tautologica con pretese olistiche.

L’artista contemporaneo, immerso nella mondanità e nel consumo, non ha la capacità nè la volontà di sottrarsi a quello che Sartre definiva in un dramma: “L’infermo sono gli altri” , tema approfondito ancor meglio da Melville. Le tesi secondo cui l’arte è un percorso di liberazione, non più attuale. L’artista è “gli altri”, si limita a rappresentare ciò che gli altri vogliono, fanno, pensano, cronista passivo di una realtà che lo coinvolge al punto da privarlo  della capacità di rappresentarla se non per insignificanti, ripetitivi dettagli.        MAN_Atlante_500

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