Come è noto, l’espressione Darwinismo sociale è usata per indicare l’aggressività, richiama le ricerche antropologiche di Carlo Darwin, il quale ha documentato che l’aggressività fa parte del confronto che avviene nella evoluzione e porta al prevalere del più forte.
Schopenhauer nel suo testo fondamentale “Il mondo come volontà e rappresentazione”, esprime un’intuizione fondamentale, egli sostiene che, alla base della natura vi è una primordiale forza di volontà, mentre Bergson, limita alla sola specie umana questo slancio vitale che definisce “elan vitae”, in entrambi i casi l’oggetto è la forza incontenibile che proviene dalla natura..
Molto frequentemente la specie umana distrugge e divora se stessa. Gli antichi poeti avevano percepita la tendenza autodistruttiva che cova negli umani. Per Pindaro “L’uomo è il sogno di un ombra”. Sofocle esprime così il proprio pessimismo: “ Vedo che noi tutti non siamo nient’altro che larve di sogni, ombre morte” .
Quando la nostra specie sarà estinta, sul pianeta Terra, verranno generate altre forme di vita forse meno perverse e autolesioniste. La cultura, non solo dei filosofi, non da sempre suggerimenti positivi. Diogene invitava a mangiare carne umana, sostenendo che il cannibalismo è prassi naturale. Affermazione che trova conferma del dossografo.
Nella nostra era il processo di degradazione sembra accelerare. In Francia le donne hanno ottenuto che fosse scritto nel trattato costituzionale il loro diritto ad uccidere il feto, di fatto si sono attribuite il diritto di vita e morte della specie. Anche in Italia si moltiplicano i casi in cui le madri uccidono il proprio figlio. Chanfort sosteneva che quando una specie degenera inizia sempre dalla parte femminile.
Chissà di quale esperienza famigliare era stato vittima il critico letterario russo Nikoly Pisarev il quale sosteneva fosse lecito uccidere la propria madre nel caso fosse ritenuto necessario.
Il nostro autolesionismo di specie, si traduce anche in consumo compulsivo con le conseguenze che sappiamo sull’ecosistema.
La profonda confusione dell’arte moderna si rivela come una sorta di grande metafora della condizione della nostra epoca. Non abbiamo tanto a che fare con l’orizzonte del nulla, ma con quello della negatività, di una disgregazione alla quale fa da controaltare il vuoto della forma, e l’insignificanza.
L’anarchia dell’arte moderna costituisce un significativa rappresentazione
del volto della modernità avviata, non solo alla frammentazione degli orizzonti di senso, ma più in generale dell’Universo dei significati che mette in evidenza la carenza gnoseologica dei protagonisti del mondo dell’arte.
Dopo quasi un secolo si continua ad esaltare finte provocazioni che suscitano finti stupori mentre procediamo allegramente verso un ignota escatologia








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