Archives for : maggio 2021

Non è l’artista che decide cosa è l’arte. Ma è la qualità delle opere che determina chi è un artista.  0

Cosa abbiamo in mente quando pensiamo al significato di un’opera d’arte? Per semplicità usiamo come esempio una classica opera pittorica su tela. Essa è costituita da telaio di legno, colore, tela.  Il materiale costituisce l’opera ma non esprime il suo significato. Il significato deriva dalla forma è contenuto  sulla tela. Come si desume il significato? Basta l’abilità con la quale è realizzata la figura, se si tratta di un’opera figurativa, o la gradevolezza emotiva di una pittura astratta?

Sappiamo che l’opera astratta non viene giudicata in base alla disposizione dei colori, esistono opere in bianco e nero, altre costituite di solo linee. Dunque qual’ è il riferimento del critico per esprimere la propria valutazione? Spesso nel descrivere le opere di Hartung i critici usano l’espressione: “Esprime la forza del segno”. A quale forza si riferiscono non è dato sapere.

L’arte, è noto, nasce come magia evocativa nei Graffiti delle Grotte di Addaura, Altamira, Lascaux. Questi ritrovamenti sono i più conosciuti, ma sono molti i reperti di pittura rupestre, anche in Italia.

Con il progredire delle tecnica del disegno l’arte si misurò con la mimesi, come narrano gli aneddoti sulla pittura di Parrasio, Apelle, Apollodoro, Aglafonte, Zeusi e  altri grandi artisti dell’antica Grecia.

Leggendo “Le vite – Dei più eccellenti pittori, scultori e architetti” di Giorgio Vasari, abbiamo un ampio spaccato di cos’era l’arte, possiamo agevolmente confrontarla che quello che è diventata.

A  partire dalla fine dell ‘800 la pittura  abbandona la mimesi  precisa e lascia ampio spazio alle articolazioni delle figure e del paesaggio, la tecnica pittorica, le pennellate, la disposizione del colore, viene messo in primo piano, le pennellate volutamente esibite. Pensiamo agli Impressionisti.

Con l’avvento delle avanguardie la tecnica del disegno e della pittura  perde importanza, viene introdotto il ready made, entra in campo l’arte concettuale, inizia la tendenza ad usare la provocazione come prassi. Gli artisti abbandonano l’epistemologia propria dell’arte, accumulata in duemila anni. L’arte da allora, si affida alla convenzione espressa nella tesi: è arte ciò che l’arista decide debba essere considerato arte. Una tautologia le cui conseguenze sono manifeste. Forse è vero il contrario; non è arte ciò che l’artista decide sia arte, all’opposto l’opera nella sua concretezza nel suo valore che qualifica la persona come artista.

Va da se che simili spurie argomentazioni  approdano a pura convenzione catafratta in una presunzione involutiva che rinnega se stessa.

Quando ci riferiamo all’oggetto libro, lo consideriamo Istintivamente come oggetto, compatto,  unico. In realtà il libro è costituito da singole pagine, dall’inchiostro usato per la stampa, dalle parole poste in sequenza. Togliendo una di queste proprietà l’oggetto a cui ci riferiamo è ancora un libro? Allo stesso modo l’arte, privata dei suoi elementi costitutivi non è più arte se non per forzate convenzioni.

Sappiamo che in molte case esistono biblioteche costituite da libri finti, cioè solo la copertina Hanno una funzione estetica esibiscono un inganno è quanto avviene per molta arte moderna, non rappresenta nulla è solo apparenza senza contenuto né significato

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L’umorismo degli antichi filosofi cinici.  0

In “Ecce homo” Friedrich W. Nietzsche scrive:” Il cinismo è quanto di più alto può essere raggiunto sulla terra; per conquistarlo servono i pugni più forti e le dita più delicate”. Come sempre Nietzsche esprimeva ottimismo. Il cinismo oggi si fonde con l’intimismo ed ha carattere soprattutto femminilizzato, i contemporanei  non possiedono  la capacità di essere coerenti con le proprie scelte.  Da Antistene a Diogene a Cratete, dal IV secolo a.c.  al V secolo d.c. per un millennio c’è stata una filosofia cinica. Capi politici, gendarmi, delatori, per Diogene erano tutti meritevoli d’impiccagione. Una volta gli chiesero  quali fossero secondo lui le bestie più feroci. Senza esitazione rispose: esattori delle tasse e sicofofanti. Platone considerava Diogene un Socrate diventato matto.  La Fontaine ricorda che Diogene  si considerava alla stregua del lupo che condanna il cane  perché paga il cibo quotidiano al prezzo della libertà. E’ chiaro che, questi brevi cenni della filosofia cinica, nessun politico moderno può considerarsi un cinico. La cultura dell’occidente è stata inquinata, o filtrata, secondo i punti di vista, dalle infinite elaborazioni ideologiche il cui unico scopo è forse quello di creare uno spazio mentale nel quale  collocare i pensieri che contraddicono la realtà. Non è un caso che se gli empiristi classici, Locke, Berkeley, Hume, si affannarono per dare un senso alle azioni di personaggi politici il cui livello di ignominia non è mai stato esecrato dalla cultura successiva, così che i massacri e la sottomissione di altri popoli finiscono per essere celebrati con decorazioni ed encomi e sono prodromi alla presa del potere prima della “aristocrazia” e poi della borghesia.  L’ironia e l’umorismo degli antichi filosofi cinici ha perso gradatamente diritto di cittadinanza in un consorzio civile e nelle classi intellettuali che hanno da prima modificato gradatamente il significato del linguaggio, per poi lasciare libertà di dominio a elementi umani sempre più compromessi con la verità. Come scrive Oscar Wilde ne “La ballata del carcere di Reading; “E questo posso dire: che ogni legge creata dall’uomo per l’Uomo, dal tempo che il primo Uomo assassinò suo fratello ed ebbe inizio la pazzia del mondo, rende paglia il frumento e tiene in vita gli sterpi: allora si ingrandisce il male”.  Schopenhauer, misogino convinto, seppe distinguere il “Mondo come realtà e rappresentazione”, sulla scia delle ombre nella caverna di Platone. Le parole sono come l’ombra di Alessandro Magno, tolgono luce, distolgono e confondono, per obliterare la naturale cattiveria del genere umano.  L’uomo contemporaneo non conosce più la tristezza che presuppone il pensiero, ma solo la disperazione che il vuoto interiore produce.   Gustav corbet

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Monadi inespressive.  0

 

Nel momento in cui l’artista abbandona la mimesi e si orienta alla rappresentazione di concetti, come scriveva Hegel , finisce per trattare il legno di ferro. Estremizzando la volontà di esercitare  la propria  libertà creativa senza possedere la capacità di controllo degli opposti, si arena nel nulla.

Una cosa è l’elaborazione universale dell’arte, diverso realizzare una singola  opera che esprima un concetto leggibile. Le determinazioni del concetto, l’universalità, la particolarità, sono certamente diverse, resta invariata la natura del segno e ciò che dovrebbe essere designato.

Come sostiene Heidegger : “Si chiama concetto qualcosa che non è se non la determinazione della rappresentazione”. Quando Kazimir Malevic  con il quadrato nero crea un’opera accolta con entusiasmo dalla critica, in realtà realizza un opera non opera. Senza espressione non c’è concetto ovvero significato.  In pratica è stata l’anticipazione formale del nichilismo contemporaneo del quale Malevic non è certo l’unico esponente.

Esiste una epistemologia basica possedendo la quale è possibile realizzare una pluralità espressiva.

Ogni categoria, attività, professione include l’osservanza di canoni che costituiscono l’essenza stessa dell’operare in un determinano campo. Rifiutando in toto i canoni si rifiuta l’essenza stessa della materia alla quale i canoni si riferiscono. Detto in altre parole rifiutando canoni ed epistemologia dell’arte si attua un rifiuto dell’arte nella sua sostanziale realtà. E’ ciò che avvenuto con le cosiddette  avanguardie.

Accade allora che si creano tante monadi quanti sono gli artisti. Il nome di monadi, espressione già usata dai pitagorici, ripresa da Leibnitz che la pone a cardine della propria filosofia. Nella realtà contemporanea le monadi potrebbero costituire la cifra dell’egoismo elevato a sistema nel quale, sotto l’aspetto culturale, è inclusa l’arte nelle singole cellule che si contrappongono. L’anarchia creativa  portata all’estremo, ignora il principio sintetizzato da Hegel nella preposizione : “ La verità è quando il sapere concorda con l’oggetto”.

Il concetto, in quanto tale, non può essere fissato attraverso figure spaziali e segni. Ecco la ragione per cui la pretesa di usare l’arte, facendone una difettosa espressione filosofica, rende l’arte velleitaria e ne falsifica il ruolo.

 

Immagine : Kazimir Malevic. “Quadrato nero”, 1914/15

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Contesto e pensiero.  0

 

La causa e l’effetto. Il pittore che stende i colori sulla tela dando ad essi una certa forma  compie un movimento. Questo moto non determina la forma, tanto meno il contenuto che è determinato dalla cultura e dal pensiero dell’artista. Quindi l’essenzialità dell’opera è influenzata da ragioni estrinseche al gesto. L’ipercinesia sociale è per lo più inutile spreco di energia.

La storia dell’arte non è costituita da gesti, ma da pensieri che danno senso alla narrazione dell’arte ed  all’operare dell’artista.

Lo studioso che esamina un’opera la colloca in una determinato contesto. Questo non significa che il contesto conferisca necessariamente significato all’opera. Ogni opera può essere letta a più livelli,considerato che  l’arte è politica e storia, utile riflettere sulla realtà e valori sociali dell’epoca in cui l’opera è stata realizzata.

Se trasferiamo queste considerazioni all’arte moderna e contemporanea, constatiamo che la maggior parte delle opere non contengono alcun riferimento al momento storico in cui vengono realizzate.

In quanto il valore intrinseco il tema è più complesso, perché rientra nel mai risolto interrogativo di cosa realmente esprime il sostantivo arte. I tentativi di trovare una corretta definizione, si sono arenati in una tautologia:  è arte ciò che l’artista ritiene sia arte.

Il potere demiurgico attribuito a un individuo non ha alcun fondamento reale. Pensiero,cultura,  idee politiche dell’autore influiscono in varia misura a determinare l’azione dell’artista. La serie di relazioni che condizionano natura, contenuto e forma dell’opera sono risultato del background dell’artista. L’opera riflette pensieri, consci e inconsci. Il valore di un artista consiste nella capacità di sintetizzare ciò che è contenuto nel proprio intelletto. Detto in altri termini: non basta pensare l’opera, è necessario saperla realizzare in modo che possa essere percepita, letta,  dal maggior numero di persone.

Il più delle volte la critica si limita alla lettura formale dell’opera, la filosofia tenta di individuarne le ragioni che la ispirano. Questo in teoria. Nei fatti sappiamo che critica e filosofia svolgono lo stesso compito: dare un significato all’opera, spesso con eccesiva propensione ad enfatiche esegesi, più che altro utili a una ricaduta mercantile.

La faticosa, spesso inutile, ermeneutica delle intenzioni dell’artista, a cui si dedicano sia la critica che la filosofia,  è uno degli aspetti surreali del mondo dell’arte. Non solo perché dovrebbe essere evidente che la lettura tracima dall’oggetto al soggetto. Dalla studio della forma al tentativo di capire la psicologia che la ispira. Finisce per essere maggiore l’esercizio creativo impiegato nella decifrazione dell’oggetto, di quanta immaginazione l’artista abbia impiegato nel realizzarlo.

Parafrasando Shakespeare potremmo dire: ci sono più cose nella mente dell’artista di quante l’opera ne esprima. Purtroppo neppure la TAC riesce a leggere i pensieri, è molto improbabile riescano a farlo  i pur volenterosi critici e filosofi.

 

Banksy. Senza titolo.

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