Archives for : ottobre 2015

Riflessioni sulla modernità  0

Prima o poi dovremo fare i conti con il dilagante conformismo che assume sembianze di progressismo. Nella filosofia buddista è oggetto di riflessione il vuoto che spesso contraddistingue l’esistenza, con l’invito ad averne consapevolezza. La nostra civiltà convive con il vuoto interiore. Cosa s’intende per “vuoto”, in sanscrito Sunyata. L’aggettivo vuoto, sunya, può significare privo di sè. Sunya deriva dalla radice Sui, gonfiato e letteralmente significa relativo a chi è gonfio. Quindi questa contraddizione ben si adatta alla espressione corrente : pallone gonfiato. Sinonimo di gonfio ma vuoto. Infatti la comune radice Sui, in greco Ky, pare adombrare il fatto che quello che è gonfio e apparente è vuoto dentro. Sebbene il vuoto sia di solito raffigurato nell’arte buddista con un cerchio, non lo si deve concepire come un semplice niente, uno spazio bianco. Per inciso va notato una delle ironie della storia. Proprio il buddismo il più anticommerciale di tutti i sistemi religiosi e filosofici, ha elaborato uno simbolo matematico importantissimo per il commercio e più in generale per l’intero sviluppo della scienza moderna. Senza l’invenzione dello Zero infatti non sarebbe possibile il sistema che permette il funzionamento dei computer e di tutto il meccanismo che regola le transazioni commerciali sull’intero pianeta. Il piccolo cerchio dello Zero, già noto agli arabi verso il 950 d.C. così come shife, vuoto, giunse in Europa verso il 1150 e fu chiamato cifra, in latino. Il vuoto è ciò che esattamente si situa tra l’affermare e il negare. Ecco dunque l’aggancio sociologico con una società agnostica che nega ciò che non conosce, identificando la verità con la scienza mentre in realtà la verità non può che avere una valenza mistica, insondabile ma reale. La dottrina del vuoto dagli artisti buddisti viene spesso espressa con immagini, cosa che tentano di fare oggi alcuni artisti che si pongono il problema dell’effimero. Coghi, Di Maggio, Sehgal e pochi altri, sembrano aver sufficiente sensibilità per capire il problema che assilla la società contemporanea. Gli artisti che hanno la consapevolezza della precarietà di ogni cosa, riescono meglio ad esprimere il tentativo di accettare la realtà nelle sue infinite effimere sfaccettature. parigi-pechino75

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Metafisica negata  0

Nel suo libro “La trasfigurazione del banale” Arthur C.Danto definisce la metafisica esecrabile filosofia, non si può negare sia coerente con la natura dei suoi scritti. Secondo Kant “la metafisica ha lo scopo peculiare d’indagare tre sole idee: Dio, la libertà e l’immortalità, in modo che il secondo concetto,unito al primo deve condurre al terzo …” Non c’è dubbio che sgomberato il campo dalla religione, dall’estetica, dando alla libertà una dimensione nella quale non c’è spazio per la responsabilità, anche l’utopia progettuale propria della creatività artistica si trova nel vuoto assoluto. Ne deriva che l’azione dell’artista si radica interamente nella materialità della forma che esprime se stessa in assoluta, ma vuota, autoreferenzialità. Noi percepiamo oggetti fisici attraverso un’esperienza che interagisce con le strutture del cervello condizionato dall’evoluzione che accumula una pluralità di esperienze. La visione dell’oggetto provoca la riflessione che traduce l’oggetto in concetto. Ma cosa accade quando la visione non coincide con il significato che l’artista, o per esso il critico, attribuisce all’oggetto sotto i nostri occhi? Il travisamento della realtà che critica e filosofia dell’arte attuano, non è anch’essa una diversa forma di metafisica? Nel 1982 Maurizio Calvesi pubblicò “La metafisica schiarita”, trattava nel testo l’opera di alcuni artisti, De Chirico, Carrà, Morandi, Savinio, tutti appartenenti al movimento denominato “Metafisico” che ebbe inizio del secolo scorso. Allora non eravamo ancora stati sommersi dalla marea dell’arte “filosofica” statunitense. Nel suo libro Calvesi si richiama alla cultura italiana ed europea, ai trecentisti toscani, al Rinascimento. La citazione di Papini e le sue aperture verso Schopenhauer, Nietzsche, Weininger e Vico. Sono trascorsi solo 33 anni, ma sembrano secoli se osserviamo la deriva dell’arte, soprattutto la totale sottomissione del mondo culturale e artistico italiano alla egemonia USA. Un tema che ho trattato in altre occasioni e sul quale sarà il caso di tornare per cercare di capire come sia possibile che un paese, con millenni di storia, abbia potuto abdicare non solo sul fronte politico, per il quale la giustificazione è la potenza militare, ma anche nell’ambito culturale dove i cannoni non servono. La resa si spiega solo con il travisamento della stessa idea di cultura. perestroyka72

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