In un brano tratto dal libro “La bellezza e il peccato. Piccola scuola di filosofia” di Maria Bettetini, si legge:” ….esistono uomini senza barba che usano parole difficili per divertirsi tra loro a fare i filosofi..”. Tutto vero la colta e fumosa articolazione della narrazione, sembra avere lo scopo di distrarre dal senso reale del discorso. Il sistema è talmente efficace che è stato fatto proprio dai pubblicitari. In Tv, vediamo immagini e filmati che non hanno nessun nesso con il prodotto che pubblicizzano, vendono un’illusione, attuano un inganno che, in una società davvero razionale e giusta, dovrebbe essere perseguito come sfruttamento della credulità popolare. Il messaggio è che possedere quel prodotto, significa cambiare il proprio status sociale. Da quando è nata, la critica d’arte, ha seguito, con rare eccezioni, lo stesso copione, ottenendo grande successo visto che ha creato, non artisti, questo sarebbe impossibile, ma personaggi. Gli artisti e i politici, sono gli unici “professionisti” che si autoproclamano tali, non sono necessari titoli nè una minima conoscenza specifica. Gli scrittori devono quanto meno possedere una certa capacità di scrittura, oggi per la verità sempre meno. Agli artisti plastici basta il supporto della critica per essere considerati maestri, a prescindere da capacità e percorso di conoscenza. Grazie alla potenza congiunta di critica e mercato si assiste a un fenomeno che è l’esatto contrario di quanto accadeva nei Paesi Bassi tra il ’600 -‘700. Allora artisti di grande valore Rembrandt, Hals,vivevano in ristrettezze, van Goye, commerciava in tulipani, Hobbema faceva l’esattore, van de Velde aveva un negozio di telerie, Jan Steen e Aert van de Velde erano bettolieri. Oggi succede il contrario. Dubuffet era commercianti di vini prima di dedicarsi all’arte, Franco Assetto era farmacista, Mario Merz vendeva giornali. Nessuno di loro ha praticato in atelier d’artista, frequentato Accademie, sono stati creati dai critici. Dubuffet non ha del tutto persa la propensione al commercio. Negli anni ’60 pose l’automobile al centro delle proprie opere e si guadagnò l’attenzione di Gianni Agnelli che promosse una sua mostra a Torino, allora capitale dell’automobile. Con queste premesse non può sorprendere il proliferare di Biennali e Fiere. Come non stupisce che i sarti, diventati “stilisti”, capaci come nessun altro di utilizzare al meglio pubblicità & marketing, siano oggi tra i maggiori sostenitori dell’arte contemporanea. Come diceva Warhol ogni artista deve essere anche un uomo d’affari. Il problema è che oggi uomini d’affari se ne vedono molti, artisti pochi.
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