Archives for : novembre 2023

Il gesto creativo.  0

A tutti i livelli di civiltà, fin dai tempi più remoti, una delle preoccupazioni fondamentali dell’uomo è stata la ricerca delle proprie origini. Questa inclinazione a ritrovare il riflesso di se stessi nelle profondità del passato è stata solo in parte soddisfatta. Anche oggi, in gran numero di persone, non sapendo dove sono diretti, nutrono lo stesso desiderio dei loro antenati di sapere da dove provengono; bastano tuttavia brevi riferimenti al passato delle grandi scimmie perché in genere siano tranquillizzati. Questo bisogno di scendere alle radici è così forte che non può essere determinato solo dalla curiosità. La preistoria è considerata da molti studiosi quasi un fatto personale; essa è forse la disciplina che conta il maggior numero di dilettanti, quella che ognuno crede di poter praticare senza una conoscenza specifica, in questo simile all’arte, campo nel quale si è scritto il maggior numero di sciocchezze. E’ stato invece trascurato, specie negli ultimi cinquant’anni, un aspetto importante, l’orientamento degli artisti a presentare manufatti in cui è ridotto al minimo, quasi annullato, l’intervento manuale. E’ noto agli studiosi che il cervello dell’uomo ha potuto svilupparsi in modo tanto considerevole grazie alla conformazione della mano. Questo fatto è stato studiato da André Leroi-Gourhan che ha pubblicato nel 1964 “Le geste et la parole. Technique et Langage”. La mano degli esseri umani possiede duttilità e abilità che non è concessa a nessun altro animale. Il cervello dell’uomo concepisce un’idea che la mano traduce ed esprime creando un oggetto concreto e tangibile. L’oggetto realizzato stimola il cervello e il pensiero di chi osserva spingendolo al desiderio di comprensione. Il venir meno del rapporto creativo mano-cervello, si traduce in sorta di menomazione, la riduzione dell’arte a puro atto mentale. Una sorta di parodia della concettualità  propria della filosofia. Non basta sostenere, come  alcuni neo-conformisti, che l’opera d’arte è ormai disgiunta dal valore estetico, non si tratta infatti di valore estetico, anche se questo è un punto in cui prevale il procedimento  apodìttico. Si tratta semplicemente del fatto che in tal modo l’arte è privata di uno dei suoi aspetti più caratterizzanti: l’intervento manuale. Anche nelle opere riprodotte  procedimento seriale, all’origine vi è intervento manuale, la riproduzione è la ripetizione meccanica di un tracciato in precedenza realizzato dalla mano, a meno che si tratti di fotografie. Nei ready made, e nelle mastodontiche opere prodotte in stabilimenti industriali non vi è traccia d’interveto manuale, ed è scarsissima la traccia originale dell’idea dalla quale l’opera nasce. La ricerca del nostro passato sarebbe impresa impossibile se i nostri antenati avessero semplicemente utilizzato le forme rozze di uso quotidiano a livello artistico. Gli artisti dell’antica Grecia, com’è noto, erano considerati nulla più che artigiani, eppure hanno  creato sculture di sublime livello, spesso in assoluto anonimato, le loro opere sono l’orgoglio della nostra civiltà e tutt’oggi le ammiriamo. Lo stesso sistema era in vigore nel Medio-Evo., nelle gilde costituite da artisti che hanno costruito, anche in quel caso per lo più in anonimato, i monumenti che costituiscono vanto della cultura dell’occidente. Vale la pena  notare che, nella misura in cui l’artista ha assunto rilievo, la sua firma è diventata più importante dell’opera stessa, l’arte è andata  declassandosi a merce ordinaria.

siamo nelle mani del destino.

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La filosofia del passato adattata al presente.  0

Le citazioni producono un effetto di straniamento, quasi una sorta di sottile frazionamento. E’ questa la ragione per cui Benjamin sosteneva che le citazioni sono come banditi da strada che sbucano e portavano via all’argomentante le sue buone ragioni. Ovviamente il paradosso di Benjamin non è sempre valido, se anche  fosse vero, l’espropriazione avrebbe comunque un effetto positivo, nel senso che indurrebbe l’espropriato a rimodellare pensieri e argomentazioni. Tuttavia non c’è dubbio che spesso si vogliono sostenere le ragioni del presente citando filosofi del passato. Le teorie elaborate secoli prima possono forse conservare una loro validità se argomentano su questioni attinenti alla natura umana, che, purtroppo, non è molto cambiata, tanto meno migliorata nel corso del tempo. Altra cosa se l’argomento riguarda questioni attinenti a una società radicalmente mutata. Esempio emblematico,la tolleranza. All’epoca dell’assolutismo monarchico e religioso, aveva buone motivazioni. Oggi in cosa consiste la tolleranza? Tolleranza verso chi coscientemente viola leggi e norme sociali che hanno lo scopo di difendere i più deboli, tirata in ballo per giustificare abiezioni di ogni genere, incoraggiamento a comportamenti disdicevoli.

L’apodittica affermazione: tutte le idee hanno diritto di essere espresse, va precisata. Espresse o applicate? Certe forme di tolleranza rivolte noi stessi, sono un colpo di maglio non alla verità, ma alla ragione. Si esclude a priori la necessità di sottoporre le idee al vaglio della razionalità. Deleterio rinunciare a priori al tentativo di arrivare attraverso la logica a raggiungere il punto più vicino alla verità, ciò è impossibile se si esclude a priori esista qualcosa che possa definirsi “verità”. Questo atteggiamento ispirato al cinismo,contrariamente a quanti sostengono, non a favore della convivenza, al contrario, è fonte di prevaricazioni e soprusi. La negazione logica, il ricorso al surreale può valere come espediente letterario, in opere di Jonesco e Beckett. La ragione è stata definita la più umana delle virtù, è senz’altro imperfetta, tuttavia,  usata con umiltà, resta l’unico strumento che abbiamo per orientare la nostra esistenza. Diceva Diderot “ chiedere di rinunciare alla ragione è come chiedere a chi trovandosi di notte in una foresta con un torcia accesa, venisse invitato a gettarla via per il fatto che non consente di vedere tutto e di vedere lontano”.  A proposito di tolleranza, diceva Chamfort: “dobbiamo essere giusti, prima che generosi”.  Per Montagne:“ Noi siamo, non so come, doppi a noi stessi,cosicché non crediamo in ciò che crediamo, e non riusciamo a disfarci di ciò che condanniamo”. L’epistemologia, cioè l’insieme delle nostre conoscenze, a partire da Cartesio e Locke, è stato gradatamente disgiunto da riferimenti logici diventando  sinonimo d’incertezza. L’informazione, l’abilità, l’apprendimento, finiscono per appiattirsi in una narrazione eristica a sfondo solipsistico ludico adottando acriticamente  la tesi di Hume secondo il quale “ la ragione è serva delle passioni”.

Dunque, conoscenza ed etica, ridotte a opinione, o peggio alla concretezza funzionale. In questo modo il materialismo ateo, che si finge compassionevole,porta al vicolo cieco del qualunquismo.  Il percorso verso la conoscenza dovrebbe tener conto del detto kantiano secondo cui non si può mettere in dubbio ciò che non si conosce. Vi è un mondo dei clown, soprattutto di matrice americana, di cui fa parte la “politically correct”, che rende incerto chi giudica chi, questo ci porta  alla “democrazia GALUP”, anche in Italia. Scriveva Kafka all’amico Brod: seguendo gli Usa, sembriamo essere diventati Hardy & Laurel, ma abbiamo cessato da un pezzo di ridere.artists Botero 500

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E’ illusione la creatività del dolore.  0

All’inizio del secolo scorso, di fronte allo sviluppo industriale e al dilatarsi delle metropoli, l’artista si trovò inglobato nella cultura di massa che condizionò anche il suo percorso esistenziale avviandolo a a un impegno politico. A poco servì “farsi diverso”, attuare scelte devianti e  il ricorso all’ “art pour l’art”. Tutti atteggiamenti che, per altro, non sempre trovano riscontro nelle opere.

La pretesa di dare significato simbolico alla propria devianza è un espediente che non ebbe successo visto che l’arte fini per essere sommersa dal conformismo che sopraggiungerà nell’arco di pochi anni.

Quando Arthur Rimbaud fa appello alla “sregolatezza di tutti i sensi”, non fa altro che anticipare quello che accadrà tra breve nel mondo dell’arte, dello spettacolo e finanche nella letteratura. Bataille esalta gli stati nevrotici e il dolore. Questa concezione, per cui il dolore è essenziale per perpetuare la vita, e la tesi che al piacere segue sempre un dolore, era già stata fatta oggetto di riflessione da Kant, ma in nessun caso il dolore risulta fonte d’ispirazione, nemmeno Sade riesce a trarre poesia dalla malvagità che resta prerogativa dei malati.

Nietzsche formula il suo contradditorio:

“Non appena gli esseri umani cercano di annullarsi nei sensi, non trovano altro che la follia, rinunciano a se stessi nella presunzione di essere liberi”.

Non pare che gli insuperabili maestri dell’arte greca avessero bisogno di particolari abbruttimenti del corpo ed esibizionismi esistenziali, per ottenere risultati dalla loro arte. Plinio scrive di Apelle:  “Dipinse persino cose che non è possibile dipingere, tuoni,lampi, fulmini dei quali alla vista pareva di sentire il rumore”.

Nella nostra società decadente, il gusto dominante sceglie il suo ideale dalla pubblicità, dall’estetica d’uso. Così il detto socratico secondo cui il bello è l’utile,si è, alla fine, ironicamente realizzato.

L’artista, come tutti gli esseri umani, deve fare i conti con la precarietà dell’esistenza e spesso, per debolezza o eccesso di sensibilità, soccombe. L’immagine romantica del “genio e sregolatezza” è uno stereotipo nel quale la sregolatezza prevale sicuramente sul genio.

La dualità degli istinti di vita e morte corrisponde esattamente alla posizione di Freud il quale affronta il tema in “Al di là del principio di piacere” e in “Il disagio della civiltà”. Egli ha una idea, per così dire ottimistica dell’arte, ritiene infatti che l’arte fornisca soddisfacimenti sostitutivi  alle rinunce imposte dalla civiltà. L’arte inoltre, secondo Freud, promuove sentimenti di identificazione, con il rischio però di soddisfacimento narcisistico.

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