Archives for : aprile 2021

Il concetto di coscienza estetica.  0

 

Che ne è del concetto di simbolo espresso dall’opera d’arte? Schelling  sintetizza l’inadeguatezza  di talune forme allegoriche con le quali l’arte intende esprimere una coscienza mitica. Cassirer ha affrontato il tema in un ampio trattato sulla “Filosofia delle forme simboliche”. Il simbolismo estetico oggi non ha più diritto di cittadinanza in un’arte che ha ripudiato l’estetica, inconsapevole dell’abissale contraddizione con se stessa. L’arte non dovrebbe esprimere una rigida contrapposizione  tra il concetto di simbolo come qualcosa che si è sviluppato all’interno di una cultura che conservava carattere antropologico, e l’allegoria associata a un freddo intellettualismo.  La base dell’estetica dell’ottocento era la libertà dell’attività simbolica del sentimento, il  che non significa esprimere verità, sia pur  limitata alla tradizione mistico-simbolica, ma semplicemente stati d’animo, sensazioni, impulsi che però hanno alla base una maturazione culturale che  possa conciliarsi con  un’apparente spontaneità e  immediatezza. Dovremmo renderci conto che questi problemi costituiscono la base stessa dei concetti estetici rinunciando ai quali resta soltanto  una sorta di navigazione a vista durante la quale vengono buttati a mare i significati. Inoltrarsi su un terreno inesplorato senza capacità e volontà di reperire le tracce di un passato che costituisce ragione, nutrimento   e materia culturale nella quale l’arte trova il proprio humus  e la propria giustificazione d’essere. L’alternativa è  attribuirsi una totale autoreferenzialità. E’ quanto è accaduto con le avanguardie storiche. Alla base di tali atteggiamenti vi è la  presunzione di creare non solo l’opera, ma anche il contesto nel quale l’opera si radica. Il Paralogismo che ha ispirato l’operazione distruttiva  ha portato al fallimento. Purtroppo il milieu culturale che costituisce il megafono del mercato non accetta, o forse non vede, come l’arte sia ridotta in gran parte a Camp, affidata a tycoons  avventurosi che tengono in vita l’arte esclusivamente per ragioni di  mercato. Costoro  sicuramente  non si pongono problemi di carattere estetico /filologico inerenti al linguaggio dell’arte. Lo stesso concetto di coscienza estetica  è diventato problematico,  quindi  anche la visione dell’arte che lo indirizza e lo determina. Senza dubbio la deriva dell’arte è stata provocata dall’abbandono  della coscienza estetica .

 

Il Kitsch domina la scena sociale e estetica contemporanea.

Camp 500

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I cento talleri di Kant.  0

I cento talleri di Kant  sono l’esemplificazione  di come tutto abbia un valore stabilito per convenzioni. Viviamo in una realtà costruita, fittizia, La finzione non riguarda solo l’arte, rappresentazione teatrale, ma tutto ciò che, per consuetudine, consideriamo reale. Siamo  immersi in una realtà non realtà. L’attribuzione di significato avviene attraverso il pensiero che, per così dire, crea la realtà.

Hegel dedica centinaia di pagine alla geometria, al calcolo integrale, differenziale, infinitesimale. Tutte dottrine che esprimono  aspetti logici del pensiero. La cosiddetta filosofia dell’arte procede invece per apodismi, così come la critica dell’arte. Tali discipline si richiamano a paralogismi  basati su luoghi comuni trasformati in dogmi.  “L’arte non può essere sottoposta a giudizi di merito o di valore”. Questo assioma poteva essere considerato parzialmente vero quando l’arte  era mimesi, guidata da valori estetici. Nel momento in cui l’artista azzera l’epistemologia dell’arte e si avventura in ambito concettuale, entra di fatto nella materia filosofica- scientifica. Quindi, non solo si può, ma si deve sottoporre l’arte a considerazioni di sostanzialità logica per valutare se le intensioni dell’artista si sono realizzate nell’opera. Limitarsi a “Va bene così”, secondo il principio espresso ironicamente da  Ludwig Wittgenstein nel “Tractatus logico-philosophicus”, equivale rinunciare a chiarire il significato di quanto realizzato dall’artista,  relegando  l’arte  nel limbo confuso e velleitario di una ontologia priva di senso. E’ quanto è avvenuto dopo l’avvento delle avanguardie.

Ogni epoca costruisce, insieme subisce, la propria fenomenologia che coincide con gli aspetti culturali, sociali, psicologici. Il tema è trattato con efficace chiarezza da Max Horkheimer e Theodor W. Adorno in “Dialettica dell’illuminismo” . Nel testo i due autori esaminano le ricadute della filosofia degli illuministi  in ogni ambito sociale e culturale della modernità, inclusa la produzione artistica la cui deriva è iniziata con il romanticismo.

A partire dall’inizio del secolo scorso l’insignificanza dell’arte è stata spesso mascherata con forme di volgare provocazione, o presentata sotto l’aspetti ludici emotivamente percepiti. In queste forme è stata accettata da èlite incolte, amanti del kitsch, che hanno contribuito alla nascita e sviluppo del mercato dell’arte con il sostegno di una critica servile verso i mercanti, integrata da un uso  massiccio  di pubblicità e marketing.

 

Tom Waits. Senza titolo. Tom Waits-500

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La filosofia dell’avvenire che non c’è.  0

I filosofi si sono affannati a descrivere il mondo, ma non hanno avuta la capacità di cambiarlo, o quanto meno contribuire a migliorarlo. La corrente che orientò a sinistra la filosofia di Hegel si è trovata di fronte al fallimento decretato dalla storia.

Ludwig Feuerbach  rappresenta la dissoluzione della filosofia hegeliana è il termine di passaggio dall’idealismo al positivismo. Intanto sembra azzardato definire positivismo idee la cui incidenza sul reale è sbagliata ed errata nello stesso tempo. Nel suo libro “Principi della filosofia dell’avvenire” pubblicato nel 1844, egli sosteneva che, quando le masse fossero state liberate dalla miseria e dal bisogno, si sarebbero orientate verso la cultura e l’arte. Mai previsione fu più errata, come ciascuno può constatare ai giorni nostri.

La filosofia in tutto il suo corso storico appare a Feuerbach come una consapevole o inconsapevole teologia, cioè un’alienazione dell’essenza dell’uomo nell’essenza di Dio, e quindi una mistificazione dell’uomo. Anche la filosofia di Hegel,  la più grandiosa e conseguente di tutte le filosofie tradizionali, è essa stessa un’immensa teologia, è teologia razionalizzata, cioè  l’inversamente e il coronamento del pensiero teologico. Feuerbach invece tenta di creare una nuova filosofia, la trasformazione completa, assoluta, coerente, della teologia in antropologia. Per lui l’uomo non è quale si rivela nella comunicazione con Dio, ma quale viene configurato nella vita sociale e dalla comunicazione con gli altri.

Il grembo in cui si feconda e il bisogno, è l’atto essenziale della sua umanità, l’amore dei suoi simili.   Secondo Feuerbach, dove non vi è amore  non vi è verità. Non essere nulla e non amare nulla  sono tutt’uno.

Come dal singolo di Kierkegaard, recisi  i legami che lo uniscono a dio, nascerà l’esistenzialismo, l’essere per la morte  di Heidegger.  Così dall’uomo concreto di Feuerbach , quando l’essere sarà liberato dalla menzogna, nascerà  una spinta verso una maggiore elevazione delle masse. Oggi la menzogna è l’asse portante dell’intera società, dalla politica alla comunicazione, dall’arte alla promozione del consumo, siamo sommersi da messaggi decettivi.

Resta vera l’affermazione di Nelson Goodman: “ Mentre la scienza si giudica in base alla verità, l’arte si giudica in base alla soddisfazione”. L’esperienza estetica diventa una sorta di esercizio ginnico, dove sinfonie e arte rappresentano gli attrezzi che usiamo tanto per l’autopromozione sociale quanto per costruirci un’immagine di cultura spendibile sul mercato, campo nel quale il il falso e il truismo  costituiscono risonante banalità sostituendo le ipotesi elementari ed esitanti la cui conferma si realizza nell’opera.

George Frosz - 500

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La passione: patologia dell’anima.  0

la passione-500

L’età moderna ha tentato inutilmente di rimuovere antichi timori per l’incertezza, l’instabilità e la  indecifrabilità del destino in cui affonda il domani. La condanna medievale della passione, compresa la più intellettuale, la curiosità.

Le passioni sono una sorta di patologia dell’anima, crescono con il declino o il non controllo della ragione, cessano di apparire solo effetto della tentazione diabolica, per occupare uno spazio riconosciuto nella riflessione antropologica

Erasmo da Rotterdam segnala come un paradosso la necessità di ribaltare i modi consolidati, pensare la realtà, per tentare di capirla solo attraverso la follia  che egli pone come protagonista del suo notissimo “Elogio della follia” . Come spiegare ciò che muove davvero il mondo? Non certo la ragione,cara ai filosofi.

La filosofia non è riuscita a spiegare esaurientemente cosa significa la realtà dell’essere umano nel proprio sentire, l’ordine fittizio della commedia  umana che recita se stessa sulla scena del mondo sempre uguale nei millenni al di là delle lingue e dei costumi. Niente sembra risolvere in profondità il destino dell’umanità che si batte contro se stessa per le più effimere e crudeli ragioni.

E’ ardua la comprensione dell’esistenza di ogni essere umano, la verità non sta neppure nel tirare giù la maschera, piuttosto nel seguire lucidamente le millefoglie di autoinganno per smascherarle per capirle per risolvere in noi stessi questa difficoltà di comprensione e perseguire, rendere sopportabile la felicità disponibile più legata all’illusione che alla saggezza.

La spregiudicatezza di Erasmo sta nel mettere a fuoco con chiarezza la illogicità della maggioranza delle azioni umane. La difficoltà di comprendere le molte facce della verità  posta sul piano pluridimensionale dei desideri che gli umani vivono, temono, sognano.

Come scrisse Jacque Monod nel saggio “Il caso e la necessità” è praticamente impossibile stabilire sequenze logiche degli eventi.

Anche in pittura, anzi soprattutto nell’arte, esiste una buona dose di casualità. E’ noto l’episodio del pittore Apelle,  il quale frustrato nel suo intento di dipingere in modo realistico la schiuma alla bocca di un cavallo, al culmine dell’ira gettò la spugna intrisa di colori contro il quadro incompiuto. Ne ottenne con stupore l’effetto desiderato.

L’unico motivo per coltivare la riflessione per cui vale la pena di sviluppare le risorse logiche e dialettiche, è imparare il controllo di sè attraverso il pensiero, come suggerisce la filosofia buddista. Detto in altre parole, noi non possiamo dominare il mondo, la realtà che ci circonda, ma possiamo imparare a dominare noi stessi ed attrezzarci spiritualmente per affrontare le evenienze che la vita ci impone.

Purtroppo avviene esattamente il contrario. La nostra presunzione antropologica ci illude di avere il controllo della realtà, ci fa credere che le nostre scelte siamo sufficientemente motivate. Scambiamo  la nostra psicogorrea per profondità.

 

Immagine: Hans Memling. La passione, olio su tela, 1470

 

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