L’intento delle avanguardie era visto da Herbert Marcuse, sotto la luce del duplice carattere dell’arte nella società borghese. Egli riteneva che, poiché l’arte è separata dalla vita concreta, in essa possono trovare sfogo quei bisogni il cui soddisfacimento è impossibile nella vita quotidiana, anche a causa del principio di concorrenza che domina tutti i campi dell’esistenza. Per questo avanzava l’ipotesi che valori come umanità, verità, gioia, solidarietà, estromessi per così dire dalla vita reale, fossero conservati nell’arte. L’idea appare oggi una delle utopie andate in frantumi nell’urto dell’arte con il mercato. Il ruolo dell’arte nella società borghese, fino a ieri contraddittorio, si è risolto nel momento in cui di fatto ha posto termine alla protesta contro l’ordine esistente ed ha accettato nella sostanza e nella forma, le regole di produzione, mercato, consumo. Il duplice carattere dell’arte nella società borghese consisteva anche nella distanza del processo di produzione e di riproduzione sociale che conteneva una componente di libertà e un disimpegno dalla produzione ordinaria.Il tentativo delle avanguardie di riportare l’arte nella vita concreta si è rivelata un’impresa contraddittoria. Infatti la relativa libertà dell’arte di fronte alla vita pratica è al contempo la condizione di possibilità di una conoscenza critica della realtà. Un’arte che non sia separata dalla vita concreta, ma che da questa prenda in tutto e per tutto le mosse, perde con la distanza dalla prassi vivente anche la capacità di criticarla. All’epoca dei movimenti storici d’avanguardia il tentativo di superare la distanza tra arte e vita pratica poteva ancora rivendicare illimitatamente il pathos del progressismo storico. Nel frattempo però con l’industria culturale si è verificato un falso superamento del distacco tra arte e vita, per cui diviene anche evidente la contraddittorietà della posizione avanguardistica. Molte manifestazioni dell’avanguardia non hanno carattere di opera, ma sono eventi ai quali viene data un’impronta politica ritenendo sufficiente l’intenzione a prescindere da esiti e leggibilità. La firma che sancisce l’individualità dell’opera, cioè il fatto che deve la propria esistenza a quel determinato artista, una volta posta su un prodotto di massa diventa segno di scherno nei confronti di ogni pretesa di creatività individuale. Le provocazioni volte a smascherare come istituzione sospetta il mercato dell’arte, dove la firma vale più della qualità dell’opera su cui è apposta, e mettere in discussione il principio dell’arte nella società borghese è fallita clamorosamente. Una volta che lo scolabottiglie firmato da Duchamp è stato accettato come oggetto che merita spazio in un museo, la provocazione cade nel vuoto e si volge nel proprio contrario. Se oggi un artista firma ed espone una pietra raccolta per strada, non denuncia in alcun modo il mercato dell’arte, ma al contrario vi si adegua.
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