Archives for : ottobre 2022

Dalla Utoia alla Distopia.  0

L’intento delle avanguardie era visto da Herbert Marcuse, sotto la luce del duplice carattere dell’arte nella società borghese. Egli riteneva che, poiché l’arte è separata dalla vita concreta, in essa possono trovare sfogo quei bisogni il cui soddisfacimento è impossibile nella vita quotidiana, anche a causa del principio di concorrenza che domina tutti i campi dell’esistenza. Per questo avanzava l’ipotesi che valori come umanità, verità, gioia, solidarietà, estromessi per così dire dalla vita reale, fossero conservati nell’arte. L’idea appare oggi una delle utopie andate in frantumi nell’urto dell’arte con il mercato. Il ruolo dell’arte nella società borghese, fino a ieri contraddittorio, si è risolto nel momento in cui di fatto ha posto termine alla protesta contro l’ordine esistente ed ha accettato nella sostanza  e nella forma, le regole di produzione, mercato, consumo. Il duplice carattere dell’arte nella società borghese consisteva anche nella distanza del processo di produzione e di riproduzione sociale che conteneva una componente di libertà e un disimpegno dalla produzione ordinaria.Il tentativo delle avanguardie di riportare l’arte  nella vita concreta si è rivelata un’impresa contraddittoria. Infatti la relativa libertà dell’arte di fronte alla vita pratica è al contempo la condizione di possibilità di una conoscenza critica  della realtà. Un’arte che non sia separata dalla vita concreta, ma che da questa prenda in tutto e per tutto le mosse, perde con la distanza dalla prassi vivente anche la capacità di criticarla. All’epoca dei movimenti storici d’avanguardia il tentativo di superare la distanza tra arte e vita pratica poteva ancora rivendicare illimitatamente il pathos del progressismo storico. Nel frattempo però con l’industria culturale si è verificato un falso superamento del distacco tra arte e vita, per cui diviene anche evidente la contraddittorietà della posizione avanguardistica. Molte manifestazioni dell’avanguardia non hanno carattere di opera, ma sono eventi ai quali viene data un’impronta politica ritenendo sufficiente l’intenzione a prescindere da esiti e leggibilità. La firma che sancisce l’individualità dell’opera, cioè il fatto che deve la propria esistenza  a quel determinato artista, una volta posta su un prodotto di massa diventa segno di scherno nei confronti di ogni pretesa di creatività individuale. Le provocazioni volte a smascherare come istituzione sospetta il mercato dell’arte, dove la firma vale più della qualità dell’opera su cui è apposta, e mettere in discussione il principio dell’arte nella società borghese è fallita clamorosamente. Una volta che lo scolabottiglie firmato  da Duchamp  è stato accettato come oggetto che merita spazio in un museo, la provocazione cade nel vuoto e si volge nel proprio contrario. Se oggi un artista firma ed espone una pietra raccolta per strada, non denuncia in alcun modo il mercato dell’arte, ma al contrario vi si adegua.E0702 KLENZE 9463

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Dal pensiero nasce l’idea alla quale la mano da la forma.  0

Il declino dell’arte, è stato anche  prodotto dalle teorie delle avanguardie, infarcite di aporie. Particolarmente negativa la teoria relativa alla rinuncia della fatica creativa della  manualità.

Il creare può essere rappresentato solo come espressione concreta del fare, di cui nasce il sostantivo arte, il pensiero che prende forma. L’arte è in equilibrio tra il mondo delle cose e il mondo dei significati. L’artista dovrebbe possedere la conoscenza che gli permette di passare dal mondo della percezione al mondo della ragione, cioè dello strumento attraverso il quale dare forma al proprio pensiero.  Il concetto di creare si fonda sull’analogia con l’attività dell’artigiano,  la stessa filosofia, lo stesso Platone, non riesce a concepire Dio se non come l’ immagine mitica del demiurgo.

In Egitto il dio Ptab veniva venerato come il grande dio dell’inizio, come il dio originario, ma allo stesso tempo il suo agire è paragonabile all’agire umano, viene considerato protettore degli artisti e degli artigiani. Questo principio è giunto al suo pieno sviluppo con la conoscenza filosofica, esposta nel Timeo di Platone.

Hume scriveva: “Il fatto che la mia volontà muova il mio braccio, non è per nulla più comprensibile e più intellegibile che se essa potesse fermare il corso della luna”.

Questa grande fiducia nelle possibilità del fare con le proprie mani, sembra essere radicata nella memoria atavica. I Pangure della Guinea ritenevano che nello strumento che l’uomo costruisce passa una parte della sua forza vitale, la quale ora si può manifestare ed agire in modo indipendente.

Quando Hegel decreta la fine dell’arte, è in corso la prima rivoluzione industriale, il filoso intuisce che si avvicina la fine della manualità, sostituita dalla macchine,quindi l’agire magico dell’arte verrà sostituito dall’agire tecnico. In particolare la mano della quale Aristotele diceva: “Più intelligente deve essere colui che sa opportunamente servirsi del maggior numero di strumenti; la mano costituisce non uno ma più strumenti, è uno strumento preposto ad altri strumenti”.

L’intervento dell’uomo dà al mondo la sua determinata forma e la sua determinata impronta, se mancano sensibilità e spiritualità, il mondo si avvia alla sterilità. Attraverso l’uso della mano guidata dalla intelligenza l’uomo impara a conoscere il proprio corpo e le sue capacità creative.

Linguaggio,mito,arte, hanno rivelato ciascuna un proprio mondo e hanno fornito nutrimento alla creatività umana. Abbandonata la manualità, anche la creatività che ispira la forma, arranca e finisce per arenarsi,arrendersi alla tecnica, al materialismo che costituisce l’esatto opposto di ciò a cui si riferisce il sostantivo arte.  le-mani

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Mario Merz, il teorema di Fibonacci.  0

Che un soggetto di un ordine tra elementi si possa ricondurre analiticamente all’esistenza di una relazione asimmetrica transitiva tra di essi e che si presuppone necessariamente una relazione di questa forma, è stato mostrato particolarmente dal Russell, esso prende il nome dalla terminologia del presupposto fondamentale di Richter.

Una diversità  è data dalla caratteristica di ciò che costituisce l’elemento specifico della forma, il fenomeno primitivo logico. Conformemente a questi presupposti Richter giunge alla conclusione che nella sfera logica non c’è né ci può essere alcuna serie. Manca quindi l’elemento più importante è assolutamente indispensabile per la costruzione del numero. Non già questa la conseguenza, bensì la premessa che qui scaturisce viene contestata dalla critica gnoseologica dell’idealismo logico.

Il concetto della logica idealistica è completamente diverso, anche se molto si richiama Muller e allo stesso Richter.

Poteva certo sembrare che, da questo punto di vista, la polemica forse è stata ridotta a una semplice distinzione terminologica e fosse quindi sterile polemica.

Riguardo al suo valore oggettivo infatti chiunque è  libero di pensare di usare il termine logico nel modo che ritiene, se ne giustifica l’ontologia. Per esempio, l’artista è libero di definire concettuale la propria approssimazione formale,ma trascurando di definire le motivazioni della scelta cade in un anacoluto formale.

Significativa è a questo riguardo l’opera di Mario Merz che si richiama al matematico  Leonardo Pisano detto il  Fibonacci  ( 1170 – 1242). L’opera riproduce una serie di numeri la cui valenza estetica è nulla il cui significato sotto il profilo artistico e una pura ipostatizzazione.

Dovremmo  considerare il  significato: “opera concettuale”. Osservando ciò che contiene  la terminologia di Richter,Peirce, Boole, Frege, Peano,Schroder, la logica stessa della sua forma classica,  come nella moderna elaborazione avuta ad opera degli autori indicati, non può più essere definita come teoria dell’oggetto,dal punto di vista storico, non è mai esistita una scienza della logica che si sia limitata a ciò che si chiama “oggetto puramente logico”.

Una tale limitazione compare solo all’inizio della logica in Parmenide, per il quale in realtà l’intero problema della logica si esaurisce nell’identità e nella diversità dell’essere e del non essere, ma già il sofista platonico va oltre questo fenomeno primitivo dell’uno e dell’altro, il concetto della comunanza delle idee si trova in una posizione centrale che per la prima volta rende possibile una scienza logica, questa comunanza che si fonda su un rapporto di dipendenza sistematica dei concetti e dei giudizi nel rapporto di premessa è conseguenza che tra loro sussiste. La successione logica che ne deriva può essere dedotta dalla semplice identità e diversità.

Dunque l’arte concettuale si traduce in ossimoro per la contraddizione che si realizza tra concretezza estetica che assume ogni realizzazione formale, e l’estraniazione logica  alla base della formulazione del concetto.1972_01_01_MarioMerzFibonacciIgloo 500

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Superstizione e storia.  0

La superstizione accompagna  tutta la storia umana, è presente in ogni società. Si potrebbe dire che le stesse religioni sono la razionalizzazione della superstizione. Le religioni giudaica, cristiana e islamica, le cosiddette religioni del libro,nel momento cui si fanno istituzione diventano strumento di potere, tuttavia restano superstizione. Ciò a cui i praticanti credono non ha alcun riscontro, ne prova certa. Infatti è necessario l’appello alla Fede, che non è conoscenza ma appunto superstizione.

Vi sono vari livelli e tipologie di superstizione,alcuni popoli primitivi avevano una paura folle dell’arcobaleno perché pensavano che l’arcobaleno fosse una rete gettata in cielo dallo stregone malvagio per catturarli, quindi quando vedevano l’arcobaleno venivano colti dal terrore  e correvano a rifugiarsi  in luogo nascosto.

Superstizione e conoscenza s’intrecciano nel mito. Secondo Schelling la coscienza è solo il termine della natura, Ne consegue che, quanto più l’umanità si allontana dalla natura, tanto più la coscienza si affievolisce. Siccome il pensiero è in qualche mondo condizionato dalla coscienze, che vuol dire anche consapevolezza e limite. Questa perdita rischia, oltre a rimuovere i freni inibitori, di privare cultura e arte delle ragione per le quali esistono.

Ciò che noi chiamiamo natura è un sistema nascosto in una meravigliosa scrittura cifrata  che indusse Galileo a chiedersi se per comprendere la natura bastasse la matematica.

L’umanità ha abbandonato la superstizione,rimosso ogni inibizione e insieme ogni ideale che guida verso la realizzazione di ciò che da senso alla  esistenza. Tuttavia non si sente affatto libera. Resta la concreta esistenza animale con i suoi bisogni primari, la  storia ha perso significato nella dissolvenza di un futuro quanto mai nebuloso. L’arte e cultura privi di spiritualità ispiratrice, si riduce a riti mondani e sterili virtuosismi.

A ben vedere la superstizioni teneva aperti spiragli verso il possibile. Democrito sosteneva che “il senno dell’uomo è il suo demone”. Tanto più che la ragione non è in grado di spiegare tutto e tutto comprendere.

La ragione incompleta uccide la poesia senza sostituirla, accenta una forma ancor più distruttiva della superstizione che alimentava la fantasia degli uomini primitivi, una sorta di sottomissione alla tecnologia.

Anche la luce, uno dei riferimenti dell’arte pittorica, è stata snaturata. Già prima di Omero esisteva il culto della luce. La luce del giorno che risveglia alla vita, “venire alla luce” significa nascere. Euripide chiama pura la luce del giorno. Oggi viviamo per lo più sotto la luce artificiale, perché i ritmi di vita non sono più naturali, alba e tramonto non regolano più la nostra vita

La percezione del mondo non è più affidata alla coscienza con la quale vi era quanto meno una possibilità di attuare  un un tentativo di distinzione  tra apparenza e realtà. La civiltà dell’apparenza e dell’edonismo è prevalsa, il predominio del conformismo  tutto confonde e tutto ingloba in una confusa esistenza della quale non conosciamo più significato e scopo.

 

 

 

 

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