Archives for : gennaio 2022

Cognitività ed emozione  0

Il tema relativo alla lettura emotiva delle opere d’arte,trattata ampiamente in questi ultimi anni,cade in un equivoco di fondo;  trascura le ragioni psicologiche e culturali  che determinano il prevalere delle emozioni, soffermandosi prevalentemente sulle reazioni più propriamente fisiche.

Gallese e Freedberg, a esempio, non dicono espressamente che le risposte emotive esauriscono la nostra esperienza estetica, tuttavia nei loro scritti le risposte emozionali costituiscono l’aspetto centrale. Registrano il fenomeno ma non ne spiegano le cause.

L’approccio cognitivo all’arte presupporrebbe una preparazione anche di carattere filosofico che molti non hanno, scatta quindi il carattere precognitivo, ovvero emozional: non capisco ma mi piace.

Zeki addirittura sfiora il grottesco nella rozza esemplificazione che vuole l’arte sia godibile solo attraverso l’emozione, riduce oggettivamente l’opera d’arte a un teatrino di emozioni e trascura il fatto che le emozioni non sono suscitate solo dall’arte ma da una pluralità di eventi e situazioni.

Si dimentica che l’arte dovrebbe informare almeno quanto emoziona, proprio perché, in caso contrario, verrebbe messa sullo stesso livello di molte manifestazioni ordinarie, per esempio le evoluzioni di un acrobata  nel circo.

Quasi tutti gli studi in materia trascurano di attuare una distinzione di genere assumendo che uomini e donne abbiano la stessa reazione emotiva, sappiamo, che non è così,  soprattutto sopratutto viene trascurato l’aspetto fondamentale che ci riporta al livello di cultura dell’osservatore.

L’ esempio ci viene dalle modalità del passato della fruizione delle opere di pittura a carattere religioso. Come abbiamo tentato di dimostrare in altri scritti, la Chiesa si è servita delle immagini pittoriche per supplire allo stato di analfabetismo della massa della popolazione che non avrebbe potuto accedere alla lettura dei Vangeli e della storia religiosa.

Le opere esposte nelle chiese invitavano alla meditazione ed attuavano una suggestione capace di fare appello allo stato emozionale dei fedeli, unico modo possibile, visto che il popolo non era in grado di leggere la narrazione religiosa.

Immaginiamo il fruitore di opere moderne dotato di media cultura,non  esperto conoscitore dell’arte e neppure  del singolo artista. Quale può essere  il suo approccio se non di carattere emozionale, anche se tale approccio non permette di recepire tutte le informazioni contenute nell’opera.

L’artista è quasi sempre consapevole di questa realtà, in molti casi adatta la sua comunicazione in modo che possa essere letta anche su basi sintetiche ed emotive. E’ questa la ragione per cui c’è stato un enorme sviluppo dell’arte astratta che, com’è noto, si basa quasi esclusivamente sull’emotività.

Cosa accade quando ci troviamo di fronte a un’opera di linee e colori, pittura fredda, non in grado di suscitare emozioni?

La risposta fornita dai teorici si affida a sofismi che vorrebbero essere sottili, ma che sono altrettanto privi di senso quanto le opere della quali vogliono accreditare il valore. Sostengono che l’osservatore scorge nell’opera il gesto del pittore, l’atto nel momento in cui realizza l’opera.

A parte che questo può avvenire con maggior frequenza  anche nell’arte figurativa, ad esempio, nelle opere di van Gogh la traccia delle pennellate è ben visibile, tuttavia  le singole pennellate acquistano significato nell’insieme dell’opera. Non così l’arte astratta, specie  geometrica che non rileva la traccia della pennellata.

 

Non c’è dubbio che l’approccio emotivo riduce, se non annulla, la comprensione del contenuto cognitivo dell’opera, limita la reale comprensione dell’opera.

Fototo per neswletter 25 gennaio

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L’ansia del presente cancella il futuro.  0

Quando siamo travolti dall’ansia di futuro, viviamo un esperienza di annullamento del presente. Tutto ciò che attiene alla nostra esistenza è “passato”. La cultura, tutta la cultura, è memoria storica.  Parlare di futuro significa parlare del nulla, di qualcosa di cui  non sappiamo come sarà, se sarà.  Hume  disse  “ che il sole sorga domani è una mera ipotesi”. L’affermazione è ripresa da Wittgenstein  nel “Trattato logico-philosophicus” nella  preposizione 6.36311. Rende particolarmente spiacevole quest’ansia del nulla espressa dall’arte contemporanea. Essa  registra e amplificata questo nichilismo deteriore, che è  spreco di pensiero e fantasia, conoscenza approssimativa, segno del tempo. Erwin  Panofski, cultore e paladino del gesto, studioso appassionato  del disegno rinascimentale italiano, riusciva a leggere nelle opere d’arte un’infinità di significati, la cifra della sensibilità di uomini che non erano assillati dal progresso ma costruivano il futuro che noi stiamo vivendo.Il tempo esiste in quanto ho un presente. Nel presente ho la percezione del mio essere, il mio essere e la mia coscienza sono tutt’uno. Comunichiamo con il mondo  perché comunichiamo con noi stessi. Siamo presenti a noi stessi per possedere il tempo. Non è un caso che il nichilismo contemporaneo assuma l’aspetto di fuga dalla realtà. Cioè da se  stessi, non attraverso il sogno, il pensiero, neppure nell’arte si apre il varco verso l’oltre. Sono necessari additivi chimici per darci la forza di sopportare una realtà che non sappiamo vivere perché non sappiamo capirla.  Edvard Munch

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Il rapporto tra pensiero e linguaggio.  0

Diceva Roland Barthes: la letteratura non è altro che la ricerca della parola giusta. Ma qual è, come si trova la parola giusta, adeguata ad esprimere chiaramente ciò che pensiamo?

La parole si costruisce con il pensiero,in questo senso è uno strumento che ci aiuta a decifrare la realtà. Quando la si è trovata  la parola acquista una propria autonomia, diventa uno strumento con il quale costruiamo la nostra il nostro percorso di conoscenza.

Le parole sono ciò che noi pensiamo.Tutti  portiamo nel nostra memoria personaggi immaginari della letteratura che, in qualche misura, sono entrati a far parte del nostro vissuto. Non accade così per l’arte figurativa, perché l’immagine limita la nostra fantasia, ciò che vediamo è ciò che ricordiamo.

Tommaso d’Aquino definiva la parola una sorta di  specchio nel quale è riflesso il nostro pensiero,  l’immagine da forma alla cosa pensata. Il carattere peculiare di questo  specchio ha limiti che coincidono esattamente con quelli della cosa che in esso si specchia, solo quella determinata cosa, di modo che esso riflette la sola immagine. La profondità di questa immagine consiste nel fatto che la parola è qui concepita come il rispecchiamento perfetto nella cosa cioè come una sua espressione che ha lasciato ormai alle proprie spalle l’itinerario del pensiero al quale tuttavia deve la propria esistenza.

Come l’abilità del pittore consiste nel dare alle forme che crea una pluralità di significati, così colui che usa la parola dovrebbe poter dare alla propria narrazione la ricchezza di contenuto che la fantasia contiene.

Quando riflettiamo sul significato da dare al nostro pensiero attraverso le parole, ci rendiamo conto che la parola è essenzialmente imperfetta, nessuna parola umana può descrivere in modo completo ciò che proviamo dentro di noi. Rarissimi gli scrittori che si avvicinano alla interiorità dei personaggi che creano.

La poesia, forse più di ogni altra forma artistica, è lo strumento con il quale si attua il tentativo di forzare i limiti della parola, di vedere meglio le immagini dello specchio.

L’imperfezione della parola è conseguenza della incompiutezza della articolazione del  pensiero che la crea, ciò non è solo un’imperfezione della parola come tale, ma un rispecchiamento opaco di ciò che il pensiero intende. Per peculiare l’imperfezione,lo spirito umano, non possiede mai una perfetta presenzialità ed è  frammentato nelle diverse parti che costituiscono la riflessione.

Per questa essenziale imperfezione,consegue che la parola umana non ha mai un unico significato, ma si articola  necessariamente come una molteplicità di significati. La parola  acquista senso solo se collegata all’interno della struttura lessicale. Solo nel contesto linguistico la parola ottiene la propria possibile perfezione, si avvicina alla maggior compiutezza del pensiero.

La parola dunque è il prodotto del lavoro del pensiero, chi pensa la produce in se nell’atto stesso in cui pensa. Il pensiero a differenza di altri prodotti della natura umana, rimane l’elemento astratto dal quale sorge la relazione che ci consente di entrare in rapporto con noi stessi.

Ben vautier

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Il pregiudizio delle avanguardie.  0

L’arte non è solo qualcosa di passato, ma è capace di superare con la sua peculiare presenzialità di significato le distanze temporali. In questo senso è un esempio che appare sotto entrambi questi aspetti un caso di particolare e significativo nella comprensione di se.

Infatti non è un semplice oggetto nella coscienza storica, e d’altra parte la sua comprensione implica sempre una mediazione storica che la definisce.

Qual’è dunque nei confronti dell’arte il compito dell’ermeneutica? Possiamo citare Schleiermacher ed Hegel. Essi rappresentano due visioni diametralmente opposte nella risposta al problema ermeneutico. Due visioni che caratterizzano due possibilità e concetti di ricostruzione di integrazione.

Schleiermacher si pone nei confronti della tradizione esaminando la perdita di distacco di una coscienza che muove le riflessioni ermeneutiche

Il modo in cui essi definiscono il compito dell’ermeneutica è profondamente diverso Schleiermacher è teso a ricostruire nella comprensione della fisionomia originaria di un’opera d’arte e la letteratura che si sono tramandate dal passato e le successive elaborazioni le hanno strappate dal un mondo originario. Ciò vale per tutte le arti anche per le arti letterarie ma è particolarmente evidente nelle arti figurative.

Scrive Schleirmacher: la situazione naturale originaria è già violata quando le opere d’arte diventano oggetti di scambio Infatti Ognuna di  esse  attinge una parte del suo significato alla sua destinazione originaria. L’opera d’arte strappata dal suo contesto,se tale contesto non è storicamente conservato, perde di significato ?L’arte è,nel senso vero e proprio, radicata nel terreno culturale e ambientale in cui è stata pensata e realizzata. Vive assorbendo l’humus dell’ambiente a cui appartiene e perde significato quando è tratta fuori da tale ambiente,diventa un oggetto di scambio diventa cioè qualcosa che ha solo più vaghi richiami con il passato.

Ovviamente resta intatto il valore costituito dal riferimento storico che richiama.

Hegel con sfumature diverse si richiama alla stessa concezione convenendo però che il significato dell’opera è legato all’ambiente originario a cui appartiene. Pertanto,per cogliere il suo significato,sarà necessaria una specie di ricostruzione che avviene attraverso l’ermeneutica.

Sostengono un tesi diametralmente opposta Dilthey, e in parte Ranke e Droysen, i quali riconoscono nell’opera d’arte un significato atemporale, prodotto dell’esperienza estetica che appartiene al mondo

Se riportiamo queste diverse concezioni alla contemporaneità, appare evidente che non è possibile applicare tali teorie alle opere d’arte contemporanea in quanto nascono senza storie e senza reali rapporti con la cultura estetica ma si muovono in un galleggiamento semantico di effimera consistenza.

La pretesa di associare la realtà eidetica  alla intuizione creativa naufraga nel non senso di una narrazione dicotomica rispetto all’oggetto artistico di riferimento.

Tutte le avanguardie sono nate sul pregiudizio che ciò che l’arte era sempre stata fosse sbagliato. Il pregiudizio consiste nell’esprimere un giudizio privo di sufficiente conoscenza dell’oggetto o del tema che si giudica.

Piergiorgio Firinu “Fusioni” 1971

Opera di Piergiorgio Firinu

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