Il tema relativo alla lettura emotiva delle opere d’arte,trattata ampiamente in questi ultimi anni,cade in un equivoco di fondo; trascura le ragioni psicologiche e culturali che determinano il prevalere delle emozioni, soffermandosi prevalentemente sulle reazioni più propriamente fisiche.
Gallese e Freedberg, a esempio, non dicono espressamente che le risposte emotive esauriscono la nostra esperienza estetica, tuttavia nei loro scritti le risposte emozionali costituiscono l’aspetto centrale. Registrano il fenomeno ma non ne spiegano le cause.
L’approccio cognitivo all’arte presupporrebbe una preparazione anche di carattere filosofico che molti non hanno, scatta quindi il carattere precognitivo, ovvero emozional: non capisco ma mi piace.
Zeki addirittura sfiora il grottesco nella rozza esemplificazione che vuole l’arte sia godibile solo attraverso l’emozione, riduce oggettivamente l’opera d’arte a un teatrino di emozioni e trascura il fatto che le emozioni non sono suscitate solo dall’arte ma da una pluralità di eventi e situazioni.
Si dimentica che l’arte dovrebbe informare almeno quanto emoziona, proprio perché, in caso contrario, verrebbe messa sullo stesso livello di molte manifestazioni ordinarie, per esempio le evoluzioni di un acrobata nel circo.
Quasi tutti gli studi in materia trascurano di attuare una distinzione di genere assumendo che uomini e donne abbiano la stessa reazione emotiva, sappiamo, che non è così, soprattutto sopratutto viene trascurato l’aspetto fondamentale che ci riporta al livello di cultura dell’osservatore.
L’ esempio ci viene dalle modalità del passato della fruizione delle opere di pittura a carattere religioso. Come abbiamo tentato di dimostrare in altri scritti, la Chiesa si è servita delle immagini pittoriche per supplire allo stato di analfabetismo della massa della popolazione che non avrebbe potuto accedere alla lettura dei Vangeli e della storia religiosa.
Le opere esposte nelle chiese invitavano alla meditazione ed attuavano una suggestione capace di fare appello allo stato emozionale dei fedeli, unico modo possibile, visto che il popolo non era in grado di leggere la narrazione religiosa.
Immaginiamo il fruitore di opere moderne dotato di media cultura,non esperto conoscitore dell’arte e neppure del singolo artista. Quale può essere il suo approccio se non di carattere emozionale, anche se tale approccio non permette di recepire tutte le informazioni contenute nell’opera.
L’artista è quasi sempre consapevole di questa realtà, in molti casi adatta la sua comunicazione in modo che possa essere letta anche su basi sintetiche ed emotive. E’ questa la ragione per cui c’è stato un enorme sviluppo dell’arte astratta che, com’è noto, si basa quasi esclusivamente sull’emotività.
Cosa accade quando ci troviamo di fronte a un’opera di linee e colori, pittura fredda, non in grado di suscitare emozioni?
La risposta fornita dai teorici si affida a sofismi che vorrebbero essere sottili, ma che sono altrettanto privi di senso quanto le opere della quali vogliono accreditare il valore. Sostengono che l’osservatore scorge nell’opera il gesto del pittore, l’atto nel momento in cui realizza l’opera.
A parte che questo può avvenire con maggior frequenza anche nell’arte figurativa, ad esempio, nelle opere di van Gogh la traccia delle pennellate è ben visibile, tuttavia le singole pennellate acquistano significato nell’insieme dell’opera. Non così l’arte astratta, specie geometrica che non rileva la traccia della pennellata.
Non c’è dubbio che l’approccio emotivo riduce, se non annulla, la comprensione del contenuto cognitivo dell’opera, limita la reale comprensione dell’opera.
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