Partendo dal presupposto che la classificazione,descrizione dell’oggetto non attribuiscono significato,come giustamente sostiene Carlo Michelstaedter in “La persuasione e la retorica”., se ne deduce che storia, critica e filosofia dell’arte ruotano semplicemente intorno alle apparenza dell’oggetto considerato opera d’arte, fermandosi inevitabilmente alla superficie. E’ un altro argomento a sostegno della diffidenza di Platone nei confronti dell’arte.
La distinzione tra forma, o estetica, e significato comporta un inevitabile rimescolamento ontologico per sfuggire al quale le avanguardie, e la critica di supporto, hanno ritenuto necessario abolire l’estetico, il bello, nella apodittica convinzione che fosse sufficiente immaginare un significato, per così dire concettuale.
In realtà non è sufficiente che una forma, un segno, rappresentino qualcosa, è necessario che ciò che rappresentano abbia un qualche valore attinente a cultura o storia, i nani da giardino rappresentano nani da giardino, cioè turismi formali.
Erwin Panofsky c’insegnò a leggere i vari aspetti rappresentativi di un opera e il richiamo dell’artista alla realtà storica nella quale l’opera è collocarla.
Questo era possibile quando la cultura dell’autore gli consentiva di creare un opera il cui contenuto comunicativo era di vasto raggio.
Sicuramente vi era ancora un oncia di ottimismo quando Hegel, dopo aver decretata la morte dell’arte, scriveva: “Si può sperare che l’arte torni a innalzarsi e perfezionarsi , ma oggi la sua forma ha cessato di esprimere il bisogno supremo dello spirito”.
Come scriveva Fontanelle, al tempo di Omero gli alberi non erano diversi di come sono oggi, diverso è lo sguardo con cui li osserviamo.