Domenica 15 gennaio 2017, Lettura, l’inserto culturale del Corriere della Sera, ha pubblicato una specie di forum tra direttori delle tre principali fiere dell’arte italiane. Due sono donne. Tutti hanno ricchi curricula in campo accademico e incarichi nelle istituzioni artistiche. Dunque, persone come si dice, qualificate. Sorge spontanea una domanda: qualificate per cosa? Forse semplicemente a svolgere il compito che svolgono abitualmente nei loro interventi sui media, vale a dire fungere da cassa di risonanza per il mercato? I curricula servono a dare un’impronta culturale alle fiere dell’arte? Ma non è solo questo. A destare preoccupazione, per chi ama l’arte, è la mentalità di questi “esperti”. Voglio citare un brano in cui, Ilaria Bonacossa, la direttrice di Artissima, esprime il suo pensiero: “ Gli artisti italiani hanno un rapporto, come dire, paralizzato con la classicità. Qualsiasi che abbia, che so, fatto l’accademia, è tenuto a conoscerla. Ho studiato negli Stati Uniti, dove gli studenti finiscono invece per conoscere la storia dell’arte a spot, seguendo un corso sul Rinascimento un altro sul Settecento mentre manca quello che c’è nel mezzo. Questo però da loro la possibilità di un approccio molto più libero, appropriandosi della storia dell’arte, specie di quella del dopoguerra, in modo decisamente più personale, informale. Può essere limitante, si possono prendere cantonate assolute, ma c’è più libertà nell’acquisizione della storia dell’arte, perché non è necessario sapere che prima di Botticelli c’è stato Giotto”. Mi scuso per questa lunga citazione che ritengo utile, a parte la prosa della “direttrice” un po’ così, per capire la mentalità di chi in qualche misura influisce su produzione e consumo dell’arte. In breve per la Bonacossa, non solo non è necessario studiare a fondo il nostro straordinario patrimonio culturale, ma il farlo diventa una sorta di handicap che ci svantaggia di fronte all’ignoranza degli studenti statunitensi. E’ a persone di questo genere che le istituzione affidano la direzione di Enti per l’arte. Traspare una sorta di servilismo culturale purtroppo molto diffuso tra i nostri intellettuali, nonostante la perdita totale di credibilità degli USA dopo le politiche criminali di questi ultimi decenni, continuano a vedere negli Stati Uniti un faro di democrazia, civiltà e cultura. Se a questo si aggiunge l’impronta femminista di matrice USA, abbiamo la cartina di tornasole per valutare le scelte delle “nuove” critiche d’arte”., ormai larga maggioranza. More solito, è sottinteso che la libertà è più importante della conoscenza. Durante i miei corsi alla Pepperdine University a Malibù, CA, ho avuto impressioni diametralmente opposte a quella di Bonacossa. Gli studenti vorrebbero essere guidati alla conoscenza, sono interessati a conoscere a “fondo”, non per spot, la storia dell’arte che in larga misura coincide con la storia del nostro paese. Purtroppo in USA, e non solo, prevalgono soggetti come Arthur C. Danto e George Dickie, seguiti pedissequamente dalla critica europea e da queste nuove leve ai vertici delle istituzioni dell’arte. Il mercato dell’arte è esploso perché la finanza statunitense ha intravisto la possibilità di speculazioni milionarie. Dopo che la merda è diventata oggetto d’arte era inevitabile l’archiviazione del detto:”Il denaro è lo sterco del diavolo” . Dunque, la strada è tracciata. Il percorso produzione – consumo ha il pieno avvallo di chi domina il mondo dell’arte.
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