Quando Hegel conferisce il primato dell’arte sulla natura considerando l’arte creazione dello spirito, apre suo malgrado, il vaso di Pandora i cui effluvi finiscono per far evaporare lo spirito a cui egli si riferisce, lasciando la nuda materia come realtà e rappresentazione. La bellezza è rifiutata in quanto non esiste più la spiritualità che essa può riflettere. La bellezza che, secondo Hegel , è parvenza sensibile dell’idea , disturba, in un mondo in cui l’idea è considerata estranea all’arte. Se così non fosse non si darebbe importanza alla triste boutade di Picasso “ho impiegato tutta la vita a imparare a dipingere come un bambino”. A meno di supporre che il percorso di conoscenza ed esperienza sia soltanto perdita di tempo, tanto ci sono i filosofi addetti alla ricerca di significati. L’artista come demiurgo che si pone al di sopra della natura ed acquisisce autoreferenzialità fino al punto in cui si ritiene esentato dalla creazione avendo titolo per decidere cosa è arte, può scegliere qualunque manufatto. Il bello soccombe al kitsch della modernità. Hegel ha fatto da battistrada a Duchamp, e a tutti gli arbitrii delle avanguardie tanto arroganti quanto culturalmente sprovvedute. Come la descrizione dello spirito non lo crea, anzi se mai lo corrompe con pleonastiche verbosità, l’arte non è chiarita, si piega sotto il peso dei paralogismi, il segno significante soccombe alla sofistica ricerca di un significato che non c’è. La filosofia dell’arte non crea e non aiuta a capire, piuttosto devia il senso, si presta ad inventare alibi all’insignificanza formale. L’arte “bella” non è mai stata solo simbolica o solo rappresentazione, ma costituiva la simbiosi di entrambi gli aspetti. L’idea espressa nella materia, l’edos. Da prima si è rinunciato al simbolo, poi si è considerata superflua la forma creata rifugiandosi nella triviale rappresentazione tautologica della realtà precostituita, ovvero al ready made . A questi passaggi la filosofia dell’arte ha tentato di attribuire significati. Con forzatura metonimica si è preteso di fare di un frammento la rappresentazione di un improbabile tutto. All’insignificanza dell’arte segue il fallimento della filosofia che la descrive.