Destino necessario.  0

Sarebbe utile, per chi ne è capace, soffermarsi sulle scelte e gli atti che costituiscono la nostra vita. Sesto Empirico filosofo  dell’antica Grecia, scrisse: “la saggezza (phroneis) è una determinata scienza della vita capace di discernere tra il bene e il male e procurare felicità”. Socrate, padre di tutte le speranze filosofiche di felicità, aveva posto al centro della sua filosofia la distinzione tra il bene e il male. Problema che esula dal pensiero dei cinici. Da Antistene, Diogene, Cratete la  loro vita era improntata ad assoluta semplicità e parca di consumi. Così come la vita ha una sola e unica origine per tutti gli esseri viventi, anche la logica che determina ogni più piccolo accadimento corrisponde a una unica legge. Quando non siamo in grado di capire le ragioni di ciò che accade ci affidiamo a parole come “caso” e “destino”. Lo studioso di scienze naturali Jacques Monod, premiato con il Nobel insieme a Francois Jacob, nel 1970 scrisse un libro di grande successo: “Il caso e la necessità”. Nel libro egli sosteneva che la natura agisce in base a principi che non sempre siamo in grado di capire. Le scelte che noi compiamo ogni giorno non possono essere stocastiche, umorali, perché questo significherebbe rinunciare al tentativo di dar un senso alla nostra vita. Anche nell’arte vi una buona dose di casualità, specie nell’arte astratta, anche se artisti e critici insistono su un determinismo programmato. Si racconta che il pittore dell’antica Grecia Apelle dopo avere compiuto molti tentativi di dipingere la schiuma sulla bocca di un cavallo, irato e frustrato, gettò la spugna intrisa di colori contro l’opera incompiuta, ne ottenne con stupore l’effetto desiderato. Nell’Etica Nicomachea,  Aristotele tenta di chiarire la necessità dell’uso della ragione nelle scelte che compiamo, e nello stesso tempo coltivare quel minimo di saggezza che ci consente di accettare ciò che la sorte affida al caso. Aristotele nel trattato “Sul bello” usa la metafora della statua, lo scultore di una statua deve togliere, raschiare, lisciare, ripulire finchè nel marmo appaia la bella immagine  che si proponeva di realizzare. Così, per rendere la nostra vita bella, dobbiamo sforzarci di eliminare la menzogna, il superfluo, tutto ciò che è  inutile. Il cumulo delle cose di cui ci circondiamo appesantisce la nostra stessa esistenza, finisce per renderci schiavi di ciò che non è necessario, si tratti di oggetti materiali, di comportamenti  o di atti.

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Cattivi maestri.  0

La contemporaneità, in assenza di valori di riferimento, pone sul piedistallo miti assolutamente effimeri. Levi Strauss ha rivelato realtà che svelano la quinta essenza di un patrimonio ambientale universale  restituiti in un affresco fatto a loro dimensione. Libri  nei quali, senza riguardo alcuno alla realtà. vengono scorticati frammento per frammento sotto i nostri occhi in un progetto di possessività esorbitanti e vengono costretti a sputare fuori tutto il mondo interiore, pensieri, economia, famiglia il desiderio, sciorinare sotto i nostri occhi le situazioni imbarazzanti che il nostro residuale istinto ci mette di fronte. Intimità dispersa nel vissuto sociale. Nel 1937 Roland Barthes diede alle stampe  un libro dal titolo “Mithologies”,  pubblicato in Italia dall’editore Lerici nel 1962 con il titolo “Miti d’oggi”. Barthes prende lo spunto dall’attualità di allora che già lasciava intravvedere la deriva verso la quale  la società occidentale era avviata. L’economia, la famiglia, la libertà sessuale delle donne formano ormai l’aspetto caratterizzante della realtà sociale nella quale viviamo. Prassi,  incoraggiata dai mezzi di comunicazione e dallo spettacolo, debolezze e vizi resi  incoercibili. Le frenesie tenute a bada, fino alla metà del secolo scorso da un residuo di pudore borghese,  oggi ha rotto gli argini, viene a profilandosi  un  quadro di pratiche e rappresentazioni normalizzate e rese ordinarie mano a mano che l’indottrinamento sociale attuato da media e nuovi “maestri” va ad effetto. Rifiutare il  sapere, abbandonarsi al piacere. Ulisse avrebbe dovuto mettersi a ridere quando la sublime voce di Orfeo scatena la rabbia delle sirene e quando esse si indispettiscono a morte per non essere riuscite ad attirarlo nel loro covo. La realtà  oggi ha superato di gran lunga ciò Barthes narra nei miti d’oggi. Siamo al punto in cui  vengono scritti i libri che decantano il fallimento, lo  considerano un valore della società  contemporanea. Questa presa di posizione è legata al crollo  politico-culturale della sinistra. Quando lo strabismo ideologico, arriva  a valorizzare la resa, significa che non è più ipotizzabile un futuro per i giovani, almeno in Italia.”Elogio del fallimento” di Recanati  non è certo uno stimolo un’indicazione di speranza per il proseguimento di un impegno culturale sociale che possa accrescere la dimensione umana e conferire motivi per i quali valga la pena di affrontare la difficile realtà del mondo contemporaneo. Il fallimento della sinistra lascia sul campo scorie  di amoralità e devianze culturali dalle quali non sarà facile liberarci. La sinistra tenta di far  coincidere il proprio fallimento con il fallimento della intera società italiana,che tuttavia conserva ancora brandelli di positività. Dopo  73 anni di lavaggio del cervello praticato dalla cultura della sinistra con tale efficacia che i giovani arrivano a battersi  contro se stessi e non vedono il fallimento politico davanti ai loro occhi. Forse dovremmo fermarci e riflettere, tentare di escogitare possibili soluzioni per  dare un senso e un futuro all’esistenza delle generazioni che verranno. Non sarà facile, tanto più perché  i cattivi maestri non si arrendono al loro fallimento, vorrebbero usare la loro frustrazione per alimentare uno scontento sociale nella speranza che questo consenta loro di riconquistare consenso e potere. Cacciari, vecchio arnese della sinistra estraparlamentare,  ha emanato  un proclama contro i “populismi”. In realtà è un tentativo di lanciare un salvagente a una classe politica e culturale sommersa dai propri fallimenti.

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Narrazioni menzognere  0

In un tempo senza spessore l’arte soccombe sotto l’apparenza del contenuto, arretra davanti alla forma vuota. L’arte muore della morte del senso, non sopravvive allo svaporare del reale  nel simulacro. La funzione dell’arte è quella di introdurre il simulacro nel reale . Oggi, nella vacanza estetica,  in cui viviamo, la modernità dell’arte non più legata alla creazione ma alle pure imposizioni del mercato  sul quale dettano legge i collezionisti feticisti. I carapaci teorici, dopo aver dato l’avvio all’insensatezza della forma,  non hanno più alcun potere di intervento. L’arte agonizza da tempo, è tenuta in vita da flebo monetarie, il suo reale valore è quanto un detersivo e si regge sullo stesso supporto. Quando l’artista “moderno”  si trova per la prima volta davanti ai prodotti dell’industria, Baudelaire dichiara che ha un piede nel transitorio e l’altro nell’interpolare. La scenografia sulla scena del mondo è una via di mezzo tra un pornoshop e un supermercato. L’artista è un impiegato con tanto di curriculum e  lettera di presentazione. Non appartiene più a un momento nel quale la corrosiva immaginazione prende le distanze dal presente. Egli è legato al presente mondano in quella che Nietzsche definisce “fraternità astrale” . Un secolo dominato dalla gloria inviolabile di Picasso paragonato a Tiziano. Le aberrazioni della critica sono incoraggiate dall’industria culturale che sforna in continuazione testi “critici”.Warhol è accostato a Leonardo da Vinci. Chi scrive queste cose ha una cattedra universitaria ed è titolare della rubrica critica di un settimanale. La nostra epoca ha un terrore nevrotico di non essere al passo con il futuro. Husserl  ha immaginato una coscienza che osa dire il suo nome. La civiltà dei media ha sciaguratamente  creato una osmosi tra mercato, cultura, politica, unite da una costante narrazione menzognera. I nostri vecchi per indicare un bugiardo usavano dire: bugiardo come un cavadenti. Il cavadenti prometteva di non far male in realtà faceva molto male, non quanto, in senso metaforico, fanno le menzogne propagate dai media. aaaaaaaaaaaaaaaa-CAVADENTI

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Tempo di narrazioni menzognere.  0

In un tempo senza spessore l’arte soccombe sotto l’apparenza del contenuto, arretra davanti alla forma vuota. L’arte muore della morte del senso, non sopravvive allo svaporare del reale  nel simulacro. La funzione dell’arte è quella di introdurre il simulacro nel reale . Oggi, nella vacanza estetica,  in cui viviamo, la modernità dell’arte non più legata alla creazione ma alle pure imposizioni del mercato  sul quale dettano legge i collezionisti feticisti. I carapaci teorici, dopo aver dato l’avvio all’insensatezza della forma,  non hanno più alcun potere di intervento. L’arte agonizza da tempo, è tenuta in vita da flebo monetarie, il suo reale valore è quanto un detersivo e si regge sullo stesso supporto. Quando l’artista “moderno”  si trova per la prima volta davanti ai prodotti dell’industria, Baudelaire dichiara che ha un piede nel transitorio e l’altro nell’interpolare. La scenografia sulla scena del mondo è una via di mezzo tra un pornoshop e un supermercato. L’artista è un impiegato con tanto di curriculum e  lettera di presentazione. Non appartiene più a un momento nel quale la corrosiva immaginazione prende le distanze dal presente. Egli è legato al presente mondano in quella che Nietzsche definisce “fraternità astrale” . Un secolo dominato dalla gloria inviolabile di Picasso paragonato a Tiziano. Le aberrazioni della critica sono incoraggiate dall’industria culturale che sforna in continuazione testi “critici”.Warhol è accostato a Leonardo da Vinci. Chi scrive queste cose ha una cattedra universitaria ed è titolare della rubrica critica di un settimanale. La nostra epoca ha un terrore nevrotico di non essere al passo con il futuro. Husserl  ha immaginato una coscienza che osa dire il suo nome. La civiltà dei media ha sciaguratamente  creato una osmosi tra mercato, cultura, politica, unite da una costante narrazione menzognera. I nostri vecchi per indicare un bugiardo usavano dire: bugiardo come un cavadenti. Il cavadenti prometteva di non far male in realtà faceva molto male, non quanto, in senso metaforico, fanno le menzogne propagate dai media.

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Aporie  0

Dopo che i movimenti storici d’avanguardia hanno svelato l’istituzione arte come soluzione dell’enigma dell’effetto, o della mancanza d’effetto, dell’arte, nessuna forma artistica può rivendicare la pretesa di valere per un tempo indefinito, solo per se stessa. La pretesa è stata liquidata definitivamente. Non è stato ancora chiarito il significato dell’avanguardia per la teoria estetica contemporanea, questione a suo tempo affrontata da Adorno. Sull’argomento Burkhardt Lindner ha fornito uno degli spunti più interessanti, egli afferma che nel suo intento di superamento dell’arte nella prassi vivente dell’avanguardia può essere pensata come il più radicale e coerente tentativo di salvaguardare l’universale pretesa di autonomia dell’arte contro tutti gli altri ambiti particolari della società  conferendo ad essa un significato pratico. Ovviamente simili giudizi globali andrebbero definiti nelle loro sfumature. Il significato della cesura nella storia dell’arte, provocata dai movimenti storici, non è consistita nella distruzione dell’istituzione arte, ma nella impossibilità di considerare valide le norme estetiche. E’ sfuggito ai movimenti dell’avanguardia, che eliminando il riferimento si rendeva possibile ogni sviluppo dell’aporia. Anche per questo l’avanguardia ha fallito. Grafica-248

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Arcimboldo 2.00  0

Risulta di estremo interesse mettere a confronto le opinioni di quanti, a vario titolo, scrivono sull’arte. Le opinioni sono spesso contrastanti, non di rado basate su apodismi. C’è da chiedersi quale influenza abbiano tali scritti su gli artisti. Se influenzano il loro lavoro significa che l’arte non è cosi “spontanea” e autonoma come taluni sostengono. Se invece non hanno alcuna influenza vuol dire che sono in parte inutili. Di certo la mitizzazione dell’arte e degl’artisti, è andata sviluppandosi in misura inversamente proporzionale alla qualità delle opere. E’inoltre interessante notare che l’evolversi del progresso e dell’influenza della tecnica sulla società ha portato gli artisti a prendere le distanze dal cosiddetto realismo del quale Nietzsche scrisse: “ Essere fedeli alla natura, a tutta!” E poi? Quando è copiata la natura? Infinito è del mondo ogni frammento- Infine se ne dipinge quel che piace. – E che gli piace? Quel che dipinge!”. Forse consapevole del degrado ambientale l’artista ignora sempre di più la natura, forse è un errore. La società contemporanea omologa e appiattisce, è doveroso opporsi, per quel che è possibile. Ritrarre la realtà di oggi è un esercizio triste, ma non inutile. Arciboldo oggi costruirebbe le sue figure non con frutti della natura ma con strumenti tecnologici che aiutano l’essere umano e nel contempo lo degradano.aaaaaaaaaaaaArcimboldo_Spring_1563.jpg500

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Accanimento terapeutico al capezzale dell’arte.  0

La morte dell’arte, annunciata da Hegel, deve fare i conti con l’accanimento terapeutico  del mercato che non si rassegna alla rinuncia del lucro. Per questo il cadavere è tenuto in vita artificialmente da una pletora di “teorici” che inventano sempre nuovi punti di osservazione. Per Heidegger   l’opera d’arte non è il prodotto di un conflitto, ma il conflitto stesso. Soltanto che il conflitto ha cambiato natura. Non è più l’accadere della verità nella sua natura più profonda, ma piuttosto una rassegnata adesione alla richiesta di una civiltà dominata dal consumo. Annullato ogni afflato  religioso, abolite le regole di comportamento civile, ridotta la cultura a fini funzionali in vista di attività lucrose, i vari modi attraverso i quali la verità stabilisce se stessa, appaiono inutile ciarpame del passato. Si può dire quindi che l’opera d’arte ha i limiti della sua forma. Il godimento dell’opera d’arte non deriva dalla visione dell’opera stessa, tanto meno dalla comunicazione gnoseologica che trasmette, ma esclusivamente dalla capacità di conferire all’acquirente uno status sociale e una possibilità speculativa. L’artista oggi è un produttore di oggetti privi di valenza culturale. Questo mutamento radicale ha avuto inizio con le cosiddette avanguardie che hanno rifiutato l’esperienza estetica  perché considerata retaggio del passato. E’ come se uno scrittore volesse continuare a scrivere rifiutando  l’alfabeto perché residuo del passato. Per quanto possa apparire surreale è esattamente ciò che è accaduto. Il sostantivo arte non è però stato rimosso. Dell’artista al fin la meraviglia che il funambolismo continui a funzionare, con l’instancabile ricerca di spunti di provocazione e “originalità” sempre più difficilmente reperibili. L’artista agisce dunque all’interno di un circuito mondano del quale gli intellettuali, critici e filosofi dell’arte, sono gli aedi, essi  partecipano alla divisione del bottino. Qualunque cosa significhi una opera d’”arte” oggi, il collezionista raramente è interessato a conoscerla. DIGITAL CAMERA

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Il culto di Dionisio.  0

AAAAAAAAAAAAAAAAA-NEWSLETTERForse nessun libro ha descritto la folla come annullamento delle differenze con l’efficacia di  Elias Canetti in “Mass und Macht”. In ogni ambito della conoscenza la diffusione del sapere in senso orizzontale ha potenziato la tendenza a dare una interpretazione di comodo al pensiero e alla storia umana  a iniziare dal mito. Nietzsche e Rudolf Otto che  hanno trasformato il carattere odioso di Dionisio, sottacendone la vera natura fatta di violenza e malvagità. Euripide è indubbiamente estraneo a simile interpretazione. Solo il donchisciottismo masochista del mondo d’oggi poteva trovare dilettevole un dio che semina odio e distruzione. Il dio non ha essenza propria al di fuori della violenza. Se, al pari dell’Apollo di Delfi e del mito di Edipo, Dionisio è associato all’ispirazione profetica è soltanto perché nell’ebbrezza dell’abbandono dionisiaco si attua il rito sacrificale. Non vi è nulla nella tradizione dionisiaca antica che si riferisca alla cultura della vite o alla fabbricazione del vino. Tiresia definisce Dionisio il dio dei moti panici, dei terrori collettivi, egli incarna la più abominevole delle violenze, è sorprendente che venga associato, a partire da Nietzsche, alla gioia della festa, sia pure sfrenata delle Baccanti. Sotto il nome di Bromios, il Rumoroso, il fremente, Dionisio provoca un imprecisato numero di disastri. L’analisi  dei testi conferma le ipotesi che fanno del culto di Dionisio un invito al sommovimento sociale. L’opera di Erwin Rohde esprime forse la più chiara e completa intuizione sulla vera natura del mito dionisiaco. Gli uomini hanno sempre tentato di porre la violenza al di fuori di se stessi, in una entità separata, sovrana e redentrice, utilizzando una vittima espiatoria. La civiltà di massa ha creato le premesse per dare carattere collettivo alla ricerca del capro espiatorio. I genocidi programmati del secolo breve ne sono testimonianza. L’ispirazione tragica dissolve le differenze fittizie nella violenza. Demistifica l’illusione di una comunità innocente. Abolite le differenze di genere, nelle feste dionisiache era permesso alle donne di bere vino, esse rivelavano una violenza ben più terribile di quella maschile. Sono infatti le donne le principali protagoniste dei baccanali dionisiaci. Euripide avverte tale ambiguità e la sottolinea. Marie Delcourt-Curvers si chiede quale significato abbia inteso dare il poeta  allo scatenarsi delle Agave e delle sue compagne. La ripartizione manichea in buoni e cattivi si dissolve nel baccanale e tutto ciò che l’essere umano è nel suo profondo viene fuori nell’esternazione della più sfrenata violenza. Sul ruolo delle donne nelle società primitive è ritornato Lèvi-Strauss nel suo saggio “Tristes Tropiques”, studiando i villaggi sudamericani dei Bororo. Il dionisiaco contemporaneo si attua anche attraverso la femminilizzazione degli uomini  e la virilizzazione delle donne. L’idea accettata che gli uomini si comportino come donne e le donne come uomini provoca un preoccupate scompiglio. L’annullamento graduale delle differenze sessuali marca il regresso di una società confusa che non ha più neppure la capacità di avvalersi del rito per esorcizzare i radicalismi che rendono così effimero lo stesso concetto di civiltà.

 

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La grande letteratura Russa.  0

 

 

Come e forse più che la rivoluzione francese del 1789, la rivoluzione russa fu preparata e seguita dai grandi scrittori. Oggi, quando si parla di cultura, si tende a dare un gran peso all’internazionalismo e al multiculturalismo, soprattutto  si tende a negare  le radici nazionali della cultura. E’ curioso che la Russia abbia dato vita a una quantità di grandissimi scrittori, alcuni forse sopravalutati, come Leonid Andreev, di cui Piero Gobetti fu grande ammiratore e  che citò nel suo libro Il “Paradosso”. Ma non c’è dubbio che l’elenco degli scrittori che hanno lasciato il segno nella storia, non solo nella letteratura, sarebbe davvero lungo. Dostoevskij,Gor’hij, Tolstoj, Pastenak, Puschkin, Turgenev. Vi è un aspetto singolare; a tanti talenti letterari non fanno riscontro filosofi di pari levatura. Quando Lenin si cimentò con la filosofia scrisse: “Empiriocriticismo”. Non  certo un tema che possa aspirare  a rappresentare il vertice del pensiero filosofico. In compenso  molte opere di  Dostoevskij sono considerati i veri  e propri trattati di psicologia.  i Turgenev  a sua volta trasse ispirazione dalla filosofia di Schopenhauer . “Padri e figli”  è chiaramente ispirato alla filosofia del filosofo tedesco preferito dallo scrittore il quale  non apprezzava affatto Hegel. L’interesse per Schopenhauer, anche se non poteva diventare fenomeno di massa, fu assai diffuso  nella Russia del tempo di Turgenev. L’altro grande schopenhaueriano della letteratura russa fu Tolstoj.Se confrontiamo la qualità e i temi degli scrittori citati, altri se ne potrebbero aggiungere,  e  seli paragoniamo alla letteratura contemporanea mediamente considerata non abbiamo motivo di ottimismo. Gli aedi del progresso si affannano a valorizzare il presente, il dubbio è che non conoscano il passato o che non abbiano capito il presente che esaltano.

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Memoria e riflessione  0

Memoria e riflessione.
Dobbiamo tener presente l’analisi della coscienza nelle determinazione storica dei fenomeni culturali. Ciò significa che, quando un fenomeno artistico è contingente, cioè si situa nel presente, la sua percezione può essere di carattere emotivo ma non assume una vera rilevanza culturale. Sebbene sulla base della percezione sensibile il nostro interesse pratico ed emotivo possa essere risvegliato, si tratta di una sensazione transitoria che non ha rilevanza di carattere gnoseologico e si riduce a pura sensazione. Husserl tenta di risalire all’origine superando la idealizzazione dell’opera che costituisce particolare difficoltà per la soggettività dell’ego dell’artista il quale raramente sembra possedere un filtro critico, ma assume prevalentemente presunte positività trascurando le instantiae negativae. Bacone annovera tra gli idola tribus la tendenza a conservare nella memoria solo il positivo dimenticando le istantiae negativae. Qualcosa di analogo si verifica in rapporto al discrimine linguistico che determina le convenzioni. A partire dal Prometeo di Eschilo. L’ottimismo è un carattere dell’esperienza umana dal punto di vista del significato antropologico. La testimonianza più antica possiamo trovarla in Anassagora tramandateci da Plutarco . Platone attesta tuttavia, allo stesso modo di Aristotele, che si tratta di una tendenza a superare le forme di criticità non attraverso la riflessione, ma piuttosto in forma di superamento affidato alla amnesia. Temistio commenta e illustra questo passaggio richiamandosi alla difficoltà di apprendimento di cui parla anche Aristotele riferendosi ai concetti della scienza. Ecco dunque che quando l’artista produce un’immagine senza risvolti di carattere gnoseologico, sulla base di una epistemologia basata sull’emozione , il suo raccoglierli in serie successive conduce all’unità dell’archè, termine che significa insieme “comando” e “principio”. La negatività può anche avere un senso peculiarmente produttivo. Non può essere semplicemente illusione, riconosciuta come tale, ma una capacità di utilizzare la sensibilità consapevole per arricchire il proprio bagaglio di conoscenza. Su questo principio, analizzato da Hgel, richiama l’attenzione Heidegger , che se ne è sentito insieme attratto e respinto. In nessun caso comunque è stato risolto il difficile problema della lettura produttiva dell’opera d’arte il cui contenuto oggettivo resta di difficile definizione.

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