Vi sono molti aspetti controversi nella filosofia di Schopenhauer, a partire dall’idea guida che assegna alla volontà la base stessa della realtà in divenire. Non essendo possibile qui affrontare per esteso questo tema, mi limiterò all’esame della definizione che il filosofo dà della intuizione. Schopenhauer sostiene che l’atto creativo si attua nel momento in cui l’intelletto si libera della volontà e agisce intuitivamente. In breve assegna all’intuizione l’unica modalità di creazione artistica. Tale ipotesi collide con una quantità di fattori. Innanzi tutto limita, ovvero non considera, la fondamentale funzione della epistemologia dell’arte, non considera cioè il know how, indispensabile all’artista, in cui sono comprese le conoscenze tecniche e la cultura che guida nella scelta e realizzazione delle opere. Raffaello Sanzio non avrebbe mai dipinto “La scuola di Atene” senza la guida di colti prelati. Di suo, seppe utilizzare al meglio una tecnica sapiente. La tecnica è essenziale per realizzare un’opera d’arte. Oggi che nei licei e nelle accademie questo insegnamento viene trascurato, ci ritroviamo con artisti che si affidano a strumenti tecnologici per creare opere che sembrano fare il verso alla realtà virtuale. Ben lungi dalla vera arte. Pensiamo al perfezionamento della prospettiva del grande artista rinascimentale Piero della Francesca, oppure alla scoperta della pittura a olio che il Vasari attribuisce a Jan van Eyck e che ha permesso una nuova prodigiosa maniera del colorire. Queste conoscenze non possono essere attribuite al pensiero intuitivo, ma vanno ascritte a studio, esperienza e ragione. Vi è nell’atto creativo un momento imponderabile che può definirsi intuitivo. Ma anche l’intuizione nasce da un humus fatto di sedimentato sapere.
Una persona priva di preparazione tecnica e di quel particolare genere di sensibilità che nasce dalla conoscenza, molto difficilmente produrrà un’opera che possa essere definita arte. Purtroppo nell’accanimento contro culturale iniziato all’inizio del secolo scorso si è voluto azzerare, spesso parodiandoli, 2000 anni di storia dell’arte. Pensiamo all’art brut di Dubuffet, al profluvio dell’arte cosiddetta naif, per non parlare delle opere dei Dada, Fluxus, e tutta una serie di cosiddette correnti artistiche la cui velleità ha purtroppo trovato accoglienza tra gli squilionari, specie statunitensi, con inevitabile approdo nei musei. Il paradosso è che non solo certa pseudo arte è stata celebrata nei musei, ma gli artisti che l’hanno prodotta sono stati, in non pochi casi, considerati geni. Dovremmo addentraci sulla definizione dell’individualità e della melanconia prodotta dalla solitudine del genio che, come già aveva rilevato Aristotele “ omnes ingenios melancholicos esse” secondo la lettura di Cicerone. Qui entreremmo in altro ambito legato alle forzature di una società che non sapendo elevarsi abbassa tutto al proprio livello. Siamo circondati da Sancio Panza che si credono Carlo V.
Piergiorgio Firinu