Il cervello del serpente  2

Erroneamente si asserisce che il senso è la misura delle cose. L’intelletto umano è come uno specchio ineguale rispetto alla natura; esso mescola la propria peculiarità con ciò che osserva, e in questo modo le trasfigura, le deforma, riflettendo la propria impronta. Le “idola specus”,  rimanda alla caverna di Platone. Bacone  tenta di definire gli errori nel pensiero  dell’uomo, in questo caso la critica antropologica tracima nella critica sociale; ciascuno di noi,oltre alle aberrazioni comuni al genere umano, ha una spelonca, una grotta particolare in cui la luce della natura si disperde e si corrompe; e a causa delle proprie personali debolezze e propensioni  ciascuno tende a giustificare azioni indegne e per questo si accanisce nel considerare un optional la morale. La cultura di per se non nobilita, in molti casi fornisce strumenti dialettici per giustificare le proprie aberrazioni. Ed ecco dunque la necessità di eliminare riferimenti etici con spurie teorie apodittiche. La sensazione stimola i sensi più della ragione. E’ noto infatti che nella pittura il colore è affidato all’emozione, il disegno alla ragione. Ma la ragione deve essere nutrita di nozioni che la illuminano, non obliterata da sensazioni che l’annullano. Noi attribuiamo molta importanza alla percezione nuda dei sensi e non ci preoccupiamo più di tanto di sottoporre al vaglio della ragione le nostre sensazioni.  Bacone rileva l’importanza sociale del linguaggio, ma rifiuta le deformazioni, gli “idola fori” , che tendono ad adeguare non il comportamento all’etica, ma l’etica ai comportamenti. Nè valgono certo, a ripristinare il naturale  rapporto tra l’intelletto e le cose , argomentazioni, più o meno dotte, che  spesso sono volte a prestabilire alibi di carattere antropologico e sociale. Abolito il principio di  “ragion sufficiente”, ogni comportamento è giustificazione in se stesso. Accantonato il filtro che ragione ed etica esercitano sul debordante impulso alla trasgressione propria degli esseri umani, che sono innanzi tutto animali, tanto che molti comportamenti sono indotti da quella parte basica del cervello detta “cervello del serpente”. Anche il linguaggio è il riflesso della nostra approssimazione logica, usiamo parole che hanno significati volgari, ed è per superare i limiti della nostra istintuale banalità che i linguaggi della cultura e dell’arte hanno, o meglio avevano, lo scopo di elevare lo spirito umano, intendendo con spirito tutto ciò che ci sottrae, o tenta di sottrarsi, al forte condizionamento dei nostri sensi, all’attrazione di ciò che materiale. Condividiamo con gli animali la pressione dei sensi, senza avere l’istinto che in loro frena, guida, corregge. E’ un grave errore affermare che il senso è la misura di tutte le cose. L’uomo ha la possibilità di superare i limiti della propria natura animale, ma solo se si sforza di usare l’intelletto e  in questo modo tenere a freno gl’impulsi primordiali.      caverna rossa500

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Cinque milioni di sfumature del nulla  4

Quando Martin Jay scrisse “L’immaginazione dialettica” aveva in mente la Scuola di Francoforte. In realtà l’immaginazione dialettica pervade tutta la storia della letteratura, con in più una ricerca di precisione espressiva che  Roland Barthes  riassume nella frase: “ La letteratura non è altro che la ricerca della parola giusta”. Alfonso Sastre  esprimeva un elogio morale alla precisione nel suo testo “ La Rivoluzione e la critica della Cultura”. Ma in cosa consiste la ricerca della parola giusta? Per dire cosa? Descrivere mille e un modo per accoppiarsi, come prevale nella letteratura a predominanza femminile di oggi? Oppure  dovremmo continuare nella ricerca continua, a volte frenetica, della spazio, di un varco verso il cielo aperto dell’immaginazione, del sogno che oggi appaiono così disperatamente obsoleti? Melville inventava il capitano Achab per cercare il vello vivo della balena bianca, Moby Dick, è la forma che per lui assumeva la ricerca di un varco verso spazi indefiniti. Il pessimismo di Giacomo Leopardi aveva ancora un appiglio guardando al passato, ad un Asia che non avrebbe mai visto. Più rassegnato e prosaico, nella sua precisione scritturale, Robert Musil, definisce l’uomo  senza qualità. Percorsi mentali nei quali il tracciato della memoria era costituito dalla scrittura. Ne castello di Kafka si perde l’ottimismo, prevale il peso di una umanità senza sogni, che cerca una via d’uscita, vagante per trovare soluzioni impossibili. Anticipava ciò che in effetti sarebbe seguito.  Il  nostro tempo, affidato sempre più ad un baluginante intelligenza emotiva, cangiante come il colore del cielo, molto  meno rasserenante. L’apparenza e la superficialità femminile come prassi. Si è persa la volontà, forse la capacità, di proseguire nella ricerca del filo conduttore che dia un senso ad esistenze allo sbando.  Quando si pensa al valore di una parola, si pensa soprattutto alla proprietà che essa ha di rappresentare un idea, ed è questo uno degli aspetti della linguistica teorizzata da Ferdinand de Saussure. Il problema è che per rappresentare un’idea è necessario avere un’idea da rappresentare. Nel dominio delle apparenze le idee finiscono per non avere cittadinanza. Nella letteratura e nell’arte contemporanee, sono scarse le idee, prevalgono le sensazioni, provocazioni, sessualità, storie laide nelle quali il vivere si traduce in  vizio. Il delitto costituisce il filo conduttore delle storie. Si è rinunciato a porsi la domanda:   qual’ è il fine dell’esistenza? Domanda alla quale scrittori, intellettuali, artisti, hanno rinunciato a tentare di dare risposte.

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