Descrivere e discutere la parabola dell’arte moderna, da Baudelaire all’attuale postmoderno: è quanto fa Compagnon nel saggio “I cinque paradossi della modernità”. Egli esplora i fondamenti stessi del mutamento, le ragioni costitutive di un’arte e di una letteratura che da un secolo in qua si sono poste sotto il segno del nuovo, della rottura con il passato e la tradizione. I cinque paradossi dell’arte moderna sono identificati in altrettanti momenti cruciali della tradizione moderna: la superstizione del nuovo, verso il 1860, tra Baudelaire e Manet; la religione del futuro, che caratterizza l’epoca di Apollinaire e dei primi quadri astratti di Kandinskij; l’ansia della teorizzazione che trova espressione nel Manifesto del surrealismo del 1924; il richiamo alla cultura di massa, nella pop art del dopoguerra; la passione del rinnegamento, nel postmoderno degli anni Ottanta. Lo sconvolgimento di questa paradossale “tradizione del nuovo” che costituisce l’asse portante della vicenda artistica tra Otto e Novecento era basata sull’idea che in arte esistesse un progresso, che l’evoluzione delle forme artistiche avesse un fine. Il postmoderno, che rinnega questa tradizione, non è, come ad alcuni appare, la fine dell’arte, ma il fallimento di quelle dottrine che miravano a una spiegazione teologica dell’arte, e che sono state appunto alla base dell’arte moderna.
Considerazioni sull'arte
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