Globalizzazione del sapere o psicogorrea?  0

 

Sappiamo cosa significa gnosi? Avere coscienza della pluralità dei punti di vista non significa che i  livelli di conoscenza si equivalgano. ”Chi sapesse tutto e fosse trasparente a se stesso non avrebbe più niente da conoscere ed esperire, sarebbe morto” . E’ quanto sostiene Stefano Velotti in “Storia  filosofica dell’ignoranza” . Quest’affermazione è icastica dimostrazione della psicogorrea di cui è preda la cultura dell’occidente. Intanto è assolutamente impossibile conoscere tutto, se non altro perché l’essenza della conoscenza è il divenire, quindi la conoscenza uscirebbe dal campo della cultura per sconfinare nel campo delle profezia,  immaginando ciò che avverrà in futuro. Ma soprattutto  il sapere è per lo più circoscritto in ambiti geografici  e settori specifici di conoscenza. Non basterebbe una vita per conoscere e comprendere la filosofia cinese. Nel 1956 Mondadori ha pubblicato: “ Storia della filosofia cinese” di Fung Yu-Lan. Da allora  leggo periodicamente questo libro e sono consapevole di non avere compreso interamente il pensiero che vi è esposto, troppe  differenze nella forma mentale con i dotti cinesi. Può darsi che ciò dipenda dalla mia modesta intelligenza, certo la raffinatezza e profondità delle teorie  filosofiche cinesi sono tali da assorbire il pensiero di menti molto più acute della mia. L’occidente è condizionato dal pragmatismo nel rapporto della realtà e  linguaggio. Vi è una dispersione  in domande retoriche che sembrano più tese ad attivare acquirenti di libri che affrontare davvero questioni importanti. In questo ambito colloco il libro  pubblicato dal Mulino “ A cosa serve la verità”, autori Pascal Engel e Richard Rorty. Pilato pose la domanda: “cos’è la verità” , alla quale non è stata data ancora risposta. Il pensiero debole, ovvero il relativismo morale, ha tagliato il nodo della questione, assumendo che non esiste verità. In questa babele di dotta stupidità, spicca la filosofia dell’arte che nel solco del relativismo, crea illusionismi verbali il cui fine sembra essere soprattutto pro mercato. L’elenco di autori  oggettivamente decettivi, sarebbe lunghissimo. Artur C. Danto, George Dikie, Tiziana Andina, Federico Vercellone, Nigel Warburton, sono  alcuni dei filosofi che, partendo da ottiche  diverse, hanno di fatto avvalorato la tesi:  siccome l’arte è morta, tutto è possibile. Un modo infelice di parafrasare ciò che Dostoevskij fa dire a Ivan Karamazov: “ Se dio è morto tutto è possibile” . In realtà, come già sosteneva Pasolini, il senso di morte pervade da tempo tutta la società dell’occidente, volgare e materialista.  L’arte si adegua essendo gli artisti imbevuti di  una cultura che inneggia al mito della  libertà di cui in realtà ignoriamo il significato. I media producono a ritmo costante nuovi idoli per incrementare e lucrare sulla dabbenaggine di massa, senza guardare troppo per il sottile. Qualche giorno fa giornali e tv hanno dato grande spazio a una poveretta che si è rifugiata nella scrittura. Amina Sboui autrice di “Il corpo mi appartiene” . Truismo povero come il bagaglio culturale di  chi l’ha scritto. Per propagandare il libro l’autrice è apparsa nuda coperta di tatuaggi, la scritta “Fuck”  a grandi caratteri sul seno. Questa è oggi la cultura di massa. Ogni commento è superfluo.

Piergiorgio Firinuaaaaaaaaaaaadonna-diabolica

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Il brutto nell’arte.  0

Il libro “Dopo la morte dell’arte” di Federico Vercellone, è scritto e argomentato molto bene. Peccato che le sue tesi  ricalchino  le teorie di Belting, Danto, Dickie,  siano contraddittorie, smentite dalla realtà fenomenica dell’arte.  Warhol, Oldenburg  e gli altri artisti della PopArt, propugnatori dell’arte cosiddetta “vicina alla realtà”, sono diventati rapidamente icone, venerate e costosissime , ospitate   nei musei.  Esattamente come l’arte che loro contestavano assumendo di produrre “arte democratica” . E’ il destino di tutte le avanguardie il cui fallimento è certificato dalla loro “finta” contrapposizione alla status quo che non è mai  modificato, solo sostituito dalle nuove teorizzazioni. E’ risibile il susseguirsi di libri sull’arte contemporanea, per lo più angiografie, testi che ricalcano i  Medioevali dibattiti  sul sesso degli angeli, in una sorta di metafisica  immaginifica e decettiva,  a favore del sistema dell’arte, ovvero dei mercanti, specie i mercanti  USA  dotati di cospicue risorse  finanziarie. Trattasi di un “hortus clausus”  gestito da una oligarchia finanziaria, di  spacciatori d’arte per soddisfare le manie di feticisti del possesso.  L’inganno si avvale dell’ assunto “tutto è arte”. Affermazione apparentemente  democratica, che però serve a rimuovere i riferimenti di qualità e valore. Mentre prima era possibile una distinzione, avendo come riferimento la qualità dell’opera, oggi la scelta è esclusivamente demandata alla ristretta cerchia di chi  domina il cosiddetto mondo dell’arte, ovvero essenzialmente il mercato. Risulta falsa la tesi di Belting, il quale sostiene che:”…qualsiasi  cosa stesse all’interno del museo era privilegiato nei confronti di qualsiasi cosa stesse fuori…”  Oggi in realtà non è cambiato nulla. Semplicemente nel museo sono entrati  Brillo Box,   scope, tavole apparecchiate, tubetti di dentifricio usato, prodotti multi seriali e cartellonistici. In breve, l’assoluta banalità si è fatta “arte”. Il Museo era una realtà inaccessibile alla maggioranza degli artisti ieri, esattamente come ai più  è inaccessibile oggi. La differenza consiste nel decadimento qualitativo delle opere ospitate nelle sale. Essere collocate nel museo equivale  ad una consacrazione, si leggono i curriculum degli artisti, oggi come ieri sono elencati i musei che li ospitano, prodromo all’accesso ad aste milionarie. Si è prodotto un frame eletti stico  di basso livello, che seleziona in base a criteri oscuri. Caduta ogni distinzione stilistica e di contenuto, il problema dell’artista non è più produrre opere di qualità, ma riuscire ad accedere alla ristretta cerchia di coloro che hanno il potere d’inserire le sue opere nel circuito commerciale, primo passo per ottenere l’accesso al Museo e quindi l’“incoronazione” di artista di successo. Non è affatto vero che ad essere andata in crisi è la mentalità idealistica e platonica dell’arte. Semplicemente  la differenza ontologica dell’oggetto artistico è il background  culturale che ha accompagnato la creazione artistica ha perso valore,non è più il riferimento.  Accostare a William Morris  e la Bauhaus al processo disgregativo dell’arte prodotta da Warhol & C. è vera falsificazione della realtà. Morris produceva oggetti utili e curava meticolosamente il design. Non spacciava tubetti di dentifricio usati e  cartelloni pubblicitari come opere d’arte.

aaaaaaacorpo-di-vecchia

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Tecnologia e superstizione.  0

Tecnologia e superstizione

Nel  periodo tra fine anno e inizio del nuovo  sono particolarmente attivi aruspici, indovini e maghi. La nostra era tecnologica non ha eliminato  la superstizione, presente in ogni civiltà fin dalla notte dei tempi. Babilonia fu la città in cui più ebbe sviluppo l’astronomia, di qui derivò la lettura delle stelle per oroscopi e divinazioni. Dione Cassio c’informa che Settimio Severo aveva fatto dipingere le stelle nelle volte delle camere del palazzo in cui amministrava la giustizia, fatta eccezione della parte del cielo in cui era possibile ricavare il suo oroscopo. Il Codice teodosiano proibiva magia e divinazioni, punite  con pene severissime, fino alla pena di morte come per l’omosessualità e l’adulterio. Bastò l’accusa mossa ad Aristofane, di aver introdotto  presso Parnasio, governatore d’Egitto, un indovino, per farlo sottoporre a  tortura e correre il rischio di subire la pena di morte. Per inciso erano puniti severissimamente coloro che urinavano sulla statue, la pena poteva arrivare alla morte se la statua raffigurava l’imperatore. Apuleio, accusato di pratiche magiche, fu accusato di veneficium. Erano particolarmente perseguiti gli oroscopi che riguardavano l’imperatore. Ammiano Marcellino racconta la vicenda di Assiria, moglie di Barbazione che scrisse una lettera cifrata al marito, comandante di fanteria (pedestris militiae) dopo aver consultato un esperto di oroscopi. Nella lettera informava il marito che l’imperatore, Costanzo II, sarebbe morto ed egli sarebbe diventato il nuovo imperatore. Denunciata dalla serva, fu giustiziata e il marito con lei. A causa di una stupida donna fu provocata una tragedia. I romani giustificavano la persecuzione dei maghi accusandoli di voler conoscere ciò che non è lecito all’uomo conoscere. Al contrario dei greci che sostenevano che il  dio Apollo proteggesse gli indovini. Anche Platone sosteneva che la divinazione era un facoltà concessa ad alcuni uomini dagli dei. Porfirio, nel III secolo d.C., era sulla stessa linea di pensiero  per sostenerla  scrisse “Filosofia degli oracoli” . Giamblico ebbe invece un atteggiamento critico, non solo contro la divinazione, ma anche contro la scienza. Vi era dunque disparità di opinioni, la caccia alle streghe non fu una  scoperta dell’Inquisizione della Chiesa Cattolica, come vorrebbero far credere alcuni studiosi. Le streghe di Apuleio commettono maleficium, ovvero azioni magiche e cattive. Esse sono temute. Per benevolenza avverte Lucio, l’eroe della Metamorfosi, che la sua ospite è una maga famosa: se ne guardi bene! Apuleio parte per la Tessaglia alla ricerca di ricette magiche, per questo verrà punito. Anche l’Antico testamento interdice le pratiche divinatorie e magiche: “ non abbiate commercio con gli incantatori e non contaminatevi a causa loro” (Levitico 19.31) Nel  Deuteronomio (18.10.12) “…Chiunque pratica queste cose  è abominevole davanti a Jahvè…”. Ancora Origene  ritiene inaccettabili gli argomenti avanzati dal pagano Celso. Ci sarebbe ancora molto da scrivere sull’argomento, questo breve cenno è solo indicativo di come, parafando Chamfort, gli esseri umani incapaci di vincere vizi e debolezze, hanno scelto di cancellarne nome e  significato, in modo da poter fingere  allegria anche nelle pratiche più sciocche.

piergiorgio Firinu aaaaaaaaaaaaareligione e magia

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Il mondo reale e l’immaginazione.  0

La filosofia può essere vista come una barriera che ci separa dall’abisso disorientante dell’inconsapevolezza.  L’ansia di spiegare il mondo cade in mille contraddizioni  e finisce per ridursi ad adattarlo ai nostri bisogni, se non ai nostri vizi. Le teorie di genere utilizzate per riscrivere la storia sono un esempio emblematico.  Già Voltaire sosteneva che la filosofia è inutile, anche se a tratti se ne serviva. L’umanità non sa, non può, gestire consapevolezza, infelicità e  virtù, chiama questa impotenza  libertà,  e se ne compiace. Arriva all’estremo con  Sade, che trasforma la perversione in filosofia, capovolge le tesi di Cartesio e trasforma dio in un essere profondamente maligno. Adorno e Horkheimer  collocano Sade in una posizione cruciale nella storia della filosofia, la dialettica dell’illuminismo si arena di fronte all’impossibilità, se non di eliminare, quanto meno  ridurre il male del mondo. Come accadeva tre secoli fà in Europa durante la guerra dei 7 anni, gli Usa oggi celebrano i loro massacri. E’ ormai radicato lo scetticismo sulla capacità umana di migliorare se stessa. Le strade del progresso sono ingorgate da cadaveri prodotti dalla tecnologia applicata alle guerre.  Nelle fenomenologia dello spirito Hegel  descrive lo sviluppo della coscienza umana come un processo naturale, la storia ha dimostrato che aveva  torto. Arte e cultura testimoniano il regresso, conseguenza dell’incapacità di gestire la libertà. Oggi nessuno saprebbe scrivere un Bildungroman, il modo in cui la saggezza popolare strutturava  l’esperienza, attraverso una serie di prove  con  cui tentava di sondare la verità del mondo. Anche gli adolescenti  oggi sono immersi nel pieno della realtà senza avere gli strumenti per comprenderla. Un tempo precedeva il passaggio la depurazione dalle scorie a cui provvedeva la famiglia che funzionava come filtro. Come può educare una generazione che non ha saputo educare se stessa. L’abolizione della schiavitù è solo apparente, ha mutato segno. Le notti delle città sono popolate da zombi che credono di esercitare la propria facoltà di essere liberi. Abbiamo disatteso il suggerimento di Seneca: la libertà comincia da noi stessi. In questo fertile humus  crescono abbondanti i funghi della perversione. Adolescenti che si prostituiscono, pedofili che non hanno difficoltà a trovare le prede. Anche la tortura è tutt’ora presente, non solo nei paesi in guerra.  Guantanamo e il carcere Abu Ghraib sono stati gestiti da un paese il cui presidente in carica ha ricevuto il Nobel per la pace. E’ dagli  USA che si diffondono teorie di genere che  hanno esasperato il confitto  e hanno dato il colpo di grazia a quello che restava della famiglia. Nel “Capitale” Marx, non cita differenze di genere. Egli  può non essere considerato un filosofo morale,  in quanto non affronta in modo teorico il tema. Tuttavia nel primo libro del Capitale,  cita fatti, luoghi, situazioni, dati, da cui emerge che a  morire sull’altare del progresso le donne sono minoranza, tutte dei ceti proletari. Molti di più gli uomini e i bambini. Questi ultimi mandati in fabbrica dalle madri costrette dal bisogno. Il problema quindi, oggi come ieri, è la distinzione di classe, non di genere. C’è da supporre che chi elabora teorie di genere scelga con cura i testi per non avere distrazioni ideologiche.  Gran parte della filosofia, soprattutto a partire dall’inizio del 19° secolo, è impegnata nel  tentativo di rendere coerente una visione d’insieme del mondo e della collocazione dell’uomo. Tentativo fallito. Saint-Simon e Fourier sognarono un mondo di armonia e felicità. La storia scelse un’altra strada. La filosofia, rifiuta di prendere atto della propria impotenza, sceglie di frammentarsi . Quasi ogni filosofo immagina un evento da cui la sua disciplina ha avuto origine. Spurio tentativo di giustificare la ripetizione del già detto.  Nel l’ermeneutica  dell’arte la filosofia non sembra non avere  altro scopo che inquinarla con paralogismi e truismi. Certe forme involute d’arte non avrebbero avuto lo sviluppo che hanno avuto senza il supporto di fanfaluche filosofiche che si perdono nel tentativo di spiegare gli effetti senza preoccuparsi di risalire alla cause. Alimentiamo le illusioni per paura della verità. La nostra società, purtroppo,  riflette l’arte. Siamo ridotti a  tale livello di artificiosità che anche i sogni sono  artificiali, prodotti industriali forniti dalla chimica e dalla tecnologia.      aaaaaaaaaaatracce di sole

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La difficoltà di essere liberi  0

3gennaio 2014Di questo passo il dibattito sull’arte si svolgerà negli obitori. I filosofi dell’arte, prendendo lo spunto da Hegel, dibattono sulla morte dell’arte. Gli artisti, quelli che sono in grado di condurre  un dibattito con qualche costrutto, dichiarano la morte della filosofia.  Di certo siamo a buon livello di paranoia che si manifesta in verbose insensatezze. Joseph Kosuth  nel 1989 scrisse  “L’arte dopo la filosofia. Significato dell’arte concettuale” . Nel libro  delinea icasticamente la situazione come è  vista da lui. Dal mio punto di vista, la pretesa dell’arte di dare “forma” alla filosofia approda ad un completo fallimento, sul piano epistemologico e ontologico. Premesso che l’impegno prevalente degli artisti sembra essere la provocazione, attuata in forme diverse. Il modo più grossolano avviene  attraverso immagini shook , laidi espedienti, come, rane crocifisse, letti sfatti, vagine partorienti, simulazione di fellatio, sesso per denaro come  opera d’arte e via imbruttendo. Questo tipo di provocazione è appannaggio soprattutto femminile, per ovvie ragioni che sfruttano le consuetudini reazionarie, seguono il mainstream.  Altro modo di provocare, più intellettualistico, consiste nel formulare teorie sottili e convincenti  in modo diaappagare la propensione ai luoghi comuni sotto specie progressista. La sfida ad Hegel  consiste semplicemente nel scegliere il bersaglio. Come i fantocci colpiti dalle lance nei tornei cavallereschi medioevali, certo non in grado di rispondere, consentivano ai cavalieri (filosofi) di esibire la loro abilità senza rischi. Qual è il  senso di richiamarsi al “ruolo pubblico” dell’arte? L’arte, diciamolo con chiarezza, non ha mai avuto un ruolo pubblico,è sempre stata appannaggio di una minoranza, forse non la più informata, di sicuro benestante. Fanno eccezioni le immagini sacre nelle chiese. Le  code agli ingressi  dei musei, sono frutto di pubblicità e marketing. Lo si è visto con l’esposizione della “Ragazza con turbante, più nota come “La ragazza con l’orecchino” del pittore fiammingo Jan Vermeer.  Kosuth definisce i filosofi contemporanei poco più che storici della filosofia, una sorta di Bibliotecari della Verità” . Tutto vero. Almeno riconosce ai filosofi un ruolo, mentre gli artisti si trovano estraniati da aporie ancipiti, né filosofi né artisti, solo produttori di oggetti e parole. Gli artisti che si considerano concettuali, trascurano un dettaglio,  il concetto, ancor che difficilmente antologizzabile,  presuppone una struttura lessicale  logica che lo supporti. La logica contemporanea è frammentata in dettagli che ne diluiscono il senso. Kosuth approfitta della situazione d’ignoranza dei filistei, conduce un gioco in cui le parole si disperdono nel non senso. Operazione  che finisce per essere controproducente, a meno che ci si accontenti dell’illusionismo delle parole fine a se stesse. In base all’empiria la forma deriva il significato dalla funzione. L’arte fa eccezione, estranea com’è ad ogni funzionalità. Da  tempo ha rinunciato alla mimesi, non offre alcuna testimonianza storica. Eliminato l’aspetto morfologico connesso all’estetica, l’arte si riduce a valore oggettuale  nel valutare il quale i procedimenti ermeneutici si equivalgono,  sicuramente non sono di competenza del produttore. L’inutilità dell’arte è quindi un fatto certo. A renderla discutibile, spesso gradevole, si aggiungono i fantasiosi  neologismi concettuali che tentano di darle valore, essendo spesso impossibile attribuirle significato.

piergiorgio firinu

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L’invenzione dell’anima.  0

L’invenzione dell’anima.

Platone, considerato erga omnes, il filosofo per eccellenza della ragione, poiché, per primo, l’ha stabilita al primo posto e ha insistito sulla funzione direttiva, è forse colui che nell’antichità ha parlato più diffusamente e con più sagacia dell’irragionevolezza e follia della umana spece. L’antica riflessione sull’universo mondo, parte dai quattro elementi primordiali: fuoco, acqua, aria, terra. L’anima è forse un’invenzione umana allo scopo di  distinguere la nostra dalle altre speci animali. Platone parla dell’ardore dell’anima in vista dell’acquisizione della conoscenza. Talete scrisse: “per quanto cammini non raggiungerai mai i confine della tua anima”. E’ noto che Talete era criptico nelle sue enunciazioni. Platone è apparentemente più lineare e semplice. Egli parla dell’irragionevolezza ( anoia) che appare come la malattia fondamentale dell’anima, poiché privato della ragione, l’uomo piomba nell’ignoranza  (amathia) che precede la follia  (mania).   La prima è la follia mantica (mantikà) che è un dono di Apollo. Per meglio chiarire il suo discorso Platone cita la profetessa  di Delfi e  la sacerdotesse Dodona e la Sibilla. L’altra forma della follia è telestica , dono di Dionisio. Solo la poesia, secondo Platone, ha il potere di sollevarci dall’angoscia che  l’ignoranza produce in noi. Platone s’inserisce nella tradizione culturale e storica della antica Grecia. L’opinione giusta (orthé doxa), non è prodotta dalla scienza, non comporta dimostrazione e si rivela modificabile mediante la persuasione. Qui Platone apre la strada ai sofisti che pure condanna. Poiché non sono guidate dalla ragione, talune opinioni dell’uomo risultano fallaci e restano nell’ambito del possibile che si adatta al presente. Nel  Fedro, Platone espone una classificazione dinamica che affronta e supera le apparenze e si colloca nel mito. Platone afferma e”è filosofo  colui che ama  il sapere e ama il bello” Questa affermazione si discosta  dal modello della città che Platone espone nella Repubblica  in cui trattava dell’unione indissolubile di filosofi e re, per poi dissociarli nel Fedro. Tale apparente contraddizione deriva dalla tolleranza per le funzioni effettive che entrambe le figure esercitano. Su un punto Platone non cambia versione, è nel considerare il sofista la controparte del filosofo,  l’artista, produttore di forme, un demiurgo, cioè un artigiano sullo stesso piano di falegnami, agricoltori, fabbri. L’artista infatti non si serve della ragione per produrre le sue opere, ma delle mani. La mancanza di ragione, oggi diremmo di razionalità, presenta  due aspetti: ignoranza e follia. La funzione dell’artista è comunque importante poiché, non essendo l’intelletto di tutti atto a comprendere l’intelligibile, limitandosi al sensibile, compito dell’artista è di contribuire alla comprensione dando forma al sensibile. Qui si ampia il discorso antropologico. Per Platone solo la ragione può contribuire all’ispirazione (epipnoia) . Tuttavia la ragione, nel tramutarsi in  forma/materia,  rischia di cadere nella soggettività, di sottrarsi alla eudoxia, entra in gioco il supporto dei sofisti, perchè tali devono essere considerati i filosofi dell’arte che creano idola fori, teorizzando per fini pratici e per un lucro diretto e indiretto. Molti di essi creano miti effimeri e deteriori, abbandonano la filosofia per la critica d’arte, pagati un tanto a scritto. Platone, è stata profetico. I sofisti di oggi sono filosofi e critici dell’arte che monetizzano il loro sapere in modo non certo adamantino.

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Elan Vital  0

Il principio della scienza è totale estraneità da sè, concentrazione sul dettaglio. In una parola: riduttività. Ogni scienza si occupa di un particolare settore, un frammento della realtà. Cosa significa l’affermazione di Derrick de Kerckhove: i bambini imparano senza leggere. Imparano cosa? I contenuti reperibili sui motori di ricerca sono parte di una cultura precedente acquisita sui libri. Sono stati messi in rete da coloro che hanno studiato con metodi tradizionali. Non c’è altro modo di apprendere se non attraverso la lettura e lo studio. Sapere non è ancora capire. Il nozionismo aborrito dal ’68, è ora in auge tramite il web. Motori di ricerca ed enciclopedie del web, forniscono dati succinti. La storia è ignorata. La cultura  contemporanea inventa neologismi privi di senso. Considerare la scoperta del tatto attraverso la tecnologia touch screen,  è una stupidaggine madornale, quasi  quanto  l’affermazione che siamo nell’epoca della post scrittura. Forse siamo nell’epoca della post intelligenza umana a cui tenta di supplire la tecnica. E’ un’ illusione. La nuova narrativa è per lo più espressione di sesso, crimine e noia. Anche gli esordienti sembrano assorti nel descrivere esperienze negative, conseguenza di un vuoto interiore che è prodotto, oltre che dalla precocità di esperienze di ogni genere, quasi tutte negative, anche dalla dispersione mentale facilitata dalla tecnologia. Rimpiangere, disprezzare, decidere,credere, pregare, imparare, riflettere, valutare, far di conto, ricordare, amare, odiare, gioire, essere tristi, ottimisti, pessimisti, incerti, convinti, fiduciosi, tutte queste, e moltissime altre reazioni richiedono l’attivazione di stimoli, di  valutazioni specifiche. Per questo il grande neurologo Gerard Edelman, sosteneva che noi viviamo in un presente ricordato, nel momento in cui ne diventiamo consapevoli è già trascorso. Immaginare i giovani annoiati,  appare  un ossimoro. E invece è realtà. Forse semplicemente non ci sono più giovani, ma individui con pochi anni. Neppure ai bambini è consentito di essere umani. Sfruttati dai media, in primis la tv di Stato alla quale paghiamo lo scotto di essere idiota. La breve esperienza dei bambini mette a rischio, oltre alla loro incolumità, anche nei confronti delle madri, la loro salute mentale. Le prime scorie che un tempo la famiglia filtrava,ora li compiscono direttamente. La famiglia non c’è più. Ho fatto un tentativo il cui esito è significativo. Inserendo su motori di ricerca la citazione di uno dei cardini della filosofia di Bergson:  “Elan vital”, appaiono una quantità di link relativi a  palestre e centri di massaggi. Questo è il mondo che la tecnologia ha in larga parte contribuito a creare.

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L’arte della natura, la natura dell’arte  0

 

 

Quando Hegel conferisce il primato dell’arte sulla natura considerando l’arte creazione dello spirito, apre suo malgrado, il vaso di Pandora i cui effluvi finiscono per far evaporare lo spirito a cui egli si riferisce, lasciando la nuda materia come realtà e rappresentazione. La bellezza è rifiutata in quanto non esiste più la spiritualità che essa può riflettere. La bellezza che, secondo  Hegel , è parvenza sensibile dell’idea , disturba, in un mondo in cui l’idea è considerata  estranea  all’arte. Se così non fosse non si darebbe importanza alla triste boutade di Picasso “ho impiegato tutta la vita a imparare a dipingere come un bambino”.  A meno di supporre che il percorso di conoscenza ed esperienza sia  soltanto perdita di tempo, tanto ci sono i filosofi addetti alla ricerca di significati. L’artista come demiurgo che si pone al di sopra della natura ed acquisisce autoreferenzialità  fino al punto in cui si ritiene esentato dalla creazione avendo titolo per decidere cosa è arte, può scegliere qualunque manufatto. Il bello soccombe al kitsch della modernità.  Hegel ha fatto da battistrada a Duchamp,  e a tutti gli arbitrii delle avanguardie tanto arroganti quanto culturalmente sprovvedute. Come la descrizione dello spirito non lo crea, anzi se mai lo corrompe con pleonastiche verbosità, l’arte non è chiarita, si piega sotto il peso dei paralogismi, il segno significante soccombe alla  sofistica ricerca di un significato che non c’è. La filosofia dell’arte non crea e non aiuta a capire, piuttosto  devia il senso, si presta ad inventare  alibi all’insignificanza formale. L’arte “bella” non è mai stata solo simbolica o solo rappresentazione, ma costituiva la simbiosi di entrambi gli aspetti. L’idea espressa nella materia, l’edos. Da prima si è rinunciato al simbolo, poi si è considerata superflua la forma creata rifugiandosi nella triviale rappresentazione tautologica della realtà precostituita, ovvero al ready made . A questi passaggi la filosofia dell’arte ha tentato di attribuire  significati. Con forzatura metonimica si è preteso di fare di un frammento la rappresentazione di un improbabile tutto. All’insignificanza dell’arte segue il fallimento della filosofia  che la descrive.

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L’arte è la Fenice.  0

L’arte è per Nietzsche un commovente ricordo delle gioie della giovinezza, l’artista come una reliquia. La pretesa dell’Illuminismo di svelare attraverso la ragione l’antico incanto del mondo è miseramente fallita,  non solo perché troppa luce, come il buio, finisce per impedire la visione, ma soprattutto per le troppe contraddizioni che l’euforia della ragione ha prodotto.  Mettere una prostituta sul trono e adorarla come dea ragione. Compiere massacri in Vandea. Pessimi viatici per la modernità. L’Illuminismo è stato un lampo subito spento dal fiume di sangue. Solo le anime belle come Kant hanno pensato che la ragione, pura o pratica, rimuovesse il grumo di stupida malvagità che da sempre incombe sull’umana natura. I disastri di una ragione priva di spiritualità le avremmo visti nel 19° secolo. I milioni di morti di Verdun,  massacri di civili inermi della 2° Guerra mondiale, Hiroshima e Nagasaki, sono state le prime spaventose avvisaglie di ciò che la belva umana, con l’ausilio della tecnica, era in grado di fare. Il massacro continua anche oggi. Anche  l’ arte si è lasciata permeare dalla tecnica, ha perso fiducia nella propria capacità di contrapporre al cinismo la propria visione del mondo. Martin Heidegger, non è stato ascoltato quando metteva in guardia contro la stupidità della tecnica, zittito da ciance su una “classicità tecnologica”.  Quella di Olafur Eliasson, più che un’opera d’arte, può essere vista come una sequenza di un film di fantascienza. Non testimonia di una nuova arte, ma della rimozione della differenza tra arte e tecnica. Se accostiamo  Brillo Box  alle sue opere e a quelle di Bill Viola, appare chiaro un riferimento univoco ad una ontologia dell’arte è improponibile. Siamo di fronte ad  espressioni che sono agli antipodi. Così l’arte, dopo lungo travaglio, levatrice la cosiddetta filosofia dell’arte, abortisce . La funzione simbolica dell’arte attraverso l’empiria è caduta nel vuoto di autoreferenzialità priva di valore. Non è in grado di rappresentare nè la disumanità, né la residua umanità. Da sempre l’arte segue zoppicando i tempi.  Come i poliziotti, arriva sempre in ritardo sul luogo del delitto. Vi è qualcosa di commovente nei tentativi di tenere in vita una cosa morta. La rianimazione avviene con una sorta di insufflazione, un bocca a bocca tra il cadavere dell’arte e la filosofia. Se l’arte è morta, la filosofia non stà troppo bene e cerca di tenersi sveglia ricordando le favole dei vecchi sapienti, quando ancora c’era spazio per l’ottimismo. Non è vero che la dichiarazione di morte dell’arte fatta da Hegel, lasci spazio a un nuovo inizio, che infatti non c’è stato. Lasciandosi permeare dalla tecnica, l’arte ha mutato natura. La fenice è risorta trasformata, qualunque cosa sia, non è più arte. E’ patetica,forse fraudolenta, la pervicacia nel voler usare il sostantivo arte per questa nuova cosa che oscilla dalla tecnica  ad esibizionismi corporali femminili,  vuoto assoluto di progettualità simbolica, nessuna idea propositiva, solo un bailamme mondano, una umanità sotto vuoto spinto.  .         william blake10

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Dove casca l’asino della critica.  0

Una delle prerogative dell’ignoranza di ritorno, sembra essere l’ossessione del senso comune, giudicato banale. Questa avviene in ogni ambito, ma raggiunge una dimensione ipertrofica nel campo della critica e filosofia dell’arte dove abbondano le più astruse elaborazioni verbali per costruire improbabili teorie. Proviamo a partire dall’inizio. Un laureato in giurisprudenza, ingegneria, medicina, e in tutte le altre facoltà che aprono la strada a prestazioni professionali, prima di poter esercitare la propria attività deve dare un esame che gli consente l’ammissione al proprio ordine professionale. Anche per fare l’usciere in una società o Ente, l’aspirante deve sottoporsi a un test dopo avere presentato credenziali e titoli di studio. Nulla di diverso accadeva nel Medioevo per essere ammesso alle corporazioni  degli artisti e a Gilde. Gli artisti, prima di poter operare, dovevano frequentare per anni la bottega di un maestro, in ogni caso le loro opere erano giudicate per la loro qualità, facilmente comprensibile anche un profano. Non c’è persona, per quanto ignorante, che non resti incantata di fronte a un’opera del Beato Angelico, Botticelli, Raffaello, Tiziano e via elencando. Oggi la “modernità” ha soppresso tutto questo. E’ vero che esistono Accademie e facoltà di estetica, ma i docenti sono in buona parte  gli stessi che hanno operato per ridurre l’arte nello stato in cui si trova.  Si dice: è considerata un’opera d’arte un manufatto scelto come  tale dall’artista. Ci si dimentica di chiarire chi è l’artista? Come acquisisce tale status? Dalla frequentazione dell’Accademia? A parte che le accademie sfornano ogni anno decine di artisti “virtuali”. Vediamo le credenziali di alcuni dei grandi maestri.  Mario Merz da ragazzo vendeva giornali per le vie di Torino. Alberto Burri era un medico. Andy Warhol un grafico pubblicitario, tanto abile da essere riuscito, senza cambiare metodo di lavoro, a far accettare come opere d’arte le sue realizzazioni grafiche e multipli. Dunque critica e filosofia dell’arte si sono prestate  a rimuovere  le basi stesse della preparazione di coloro che, in base alle loro elaborate teorie sull’ontologia dell’arte, dovrebbero decidere cos’è arte, cioè gli stessi  artefici delle opere. Ci troviamo di fronte a situazioni surreali. La metafisica, cacciata dalla filosofia/filosofia, ha trovato rifugio in una sottospecie: la filosofia dell’arte. Non è in predicato la libertà di chiunque di dedicarsi all’arte, anzi i dilettanti sono spesso maggiormente motivati. Cosa diversa è creare miti, intessere  esegesi fantasiose come è avvenuto per l’arte contemporanea , con disprezzo di ogni  plausibilità e logica. Gli orinatoi, i sacchi di rifiuti, la merda, spacciati per arte, sono conseguenza di questa “negligenza” iniziale che ha proliferato, nel senso letterale del termine,  in misura esponenziale. L’ incapacità di definire etimologia reale della forma, aggiunta a  mancanza di sensibilità hanno prodotto il disastro a a cui assistiamo impotenti. La tesi:  tutto è arte, da un potere enorme a mercanti e imbonitori. Basta entrare nel cerchio magico, possono essere utili sesso,  politica, amicizia,  genere. Quello che invece è superfluo è sapere cos’è l’arte e come si realizza un vera opera d’arte. Altro che collocare l’opera nella narrazione, come sostiene qualche filosofo, difficilmente in buona fede.  Va da sè che, arrivati a questo punto, la fitta trama di interessi , l’intreccio di teorie fantasiose e decettive, non è più dipanabile. Riportare l’orinatoio di Duchamp al proprio uso sarebbe considerato un sacrilegio, anzi anche solo a proporlo, si va incontro all’accusa di essere reazionari  e  ignoranti. Dunque, non possiamo far altro che ripetere con  Wittgenstein: va bene così.        cap canaveland500

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