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Ubi arte ibi motus  0

Nel 1956 Sellars scrisse “Empirismo e filosofia  della mente”. Un tentativo di caratterizzare gli eventi mentali  come costrutti esplicativi che svolgono un ruolo nel nostro schema concettuale in virtù della loro utilità descrittiva.  Sellars tentava di scalzare la tesi secondo cui la conoscenza dei propri eventi mentali  è intrinsecamente privilegiata e pone un ostacolo alla scoperta empirica che gli eventi mentali sono neuronali. Il materialismo ha guadagnato larghi consensi negli anni Sessanta, le questioni sollevate dalle pretese ideologiche del naturalismo rimanevano fortemente controverse. Putnam sollevò una grave obiezione alla teoria dell’identità di tipo del genere reso popolare da Smart. Putnam rilevò come sia implausibile  che una sensazione come il dolore sia identica a un unico stato neuronale in tutti gli organismi che provano dolore, considerata l’enorme diversità delle fisiologie. Egli inoltre osservava come sia altrettanto implausibile pensare che ogni dato tipo di pensiero, per esempio, il pensiero che tre x tre fa nove o che la situazione attuale è pericolosa, sia realizzato dallo stesso stato fisico in ogni essere pensante. La teoria dell’identità di tipo sembrava insostenibile non solo considerando la possibilità di esistenza su altri pianeti, le varietà di animali superiori, fino ad arrivare alla possibilità dei robot pensanti, ma soprattutto in ragione della plasticità del cervello. Gli stati mentali sembrano essere multirealizzabili, realizzabili cioè in modi diversi. Queste teorie filosofiche furono alla base dello sviluppo di alcune correnti artistiche. La body-art, con esperimenti sulle possibilità di reazione al dolore del corpo umano. L’effetto sulla stessa plasticità del corpo sottoposto a eventi che mettevano alla prova la resistenza fisica e la sopportazione di condizioni particolarmente critiche. L’ambiziosa pretesa di dare forma plastica a valori concettuali è stata in gran parte frustrata dalla approssimazione culturale dell’approccio. Così come il tentativo di usare il corpo umano come “oggetto artistico”  in molti casi è stato travolto dalla deriva pornografica. Restano comunque validi tutti i presupposti anche se attendono chi sappia darne una convincente realizzazione. Per esempio l’esperimento effettuato in California, che consisteva nel tentativo di “smaterializzare” l’opera  d’arte, e/o creare un’opera collettiva. L’esperimento avveniva in questo modo: un gruppo di non più di 10 artisti ascoltava la mia voce fuori campo che esponeva la dettagliata idea di un’opera d’arte. Ogni artista, partendo dall’imput   ricevuto realizzava un’opera. Curioso osservare come, avendo lo stesso riferimento vocale, ogni artista realizzava un’opera diversa. L’opera non era costituita dal singolo lavoro, ma dall’insieme dei lavori, dal momento che tutti partivano dalla stessa idea da me suggerita. Mi era parso un modo efficace per realizzare un’opera collettiva, consentire un confronto diretto sui diversi modi di concepire una stessa indicazione teorica espressa in forma vocale diretta. In questi miei esperimenti alla UdC  riscontravo una grande disponibilità mentale degli artisti a  percorrere il tracciato di una utopia progettuale da me pensata e da loro realizzata in perfetta sintonia mentale. Ogni opera era frutto della creazione di forme che scaturivano da una sensibilità assolutamente individuale. Malauguratamente il fattore economico ha finito per prendere il sopravvento sulla ricerca teorica disinteressata. La materializzazione dell’arte, il logo personalizzato, erano condizioni richieste dal mercato per poter impostare le operazioni di marketing. Il risultato oggi lo abbiamo sotto i nostri occhi.    anonimo

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