Richard Buckminster Fuller nel 1969 pubblicò il libro: “Operatting Manual for Spaceship Earth”, nel quale esprimeva all’idea che il pianeta terra non sarebbe molto più di una capsula all’interno della quale noi esseri umani dobbiamo sopravvivere.
La teoria di Fuller sembra aver costituito una delle fonti d’ispirazione dell’artista danese Olafur Eliasson, l’artista degli oggetti, le cui numerose installazioni e montages offrono la più lucida interpretazione del concetto di rivolgimento ambientale che si possa riscontrare nella produzione di arte contemporanea.
Soprattutto con la mostra “Surroundings surrounded”, realizzata in collaborazione con Peter Weibel nel 2001,.Eliasson si è candidato ad essere il primo artista di bordo di un isola assoluta in corso di costruzione. Nel titolo della mostra emerge in modo inequivocabile la svolta costruttivista; gli ambienti naturali mostrati dall’artista, interpretati grazie alla scienza e alla tecnica, non ci si trova di fronte a totalità eco-romantiche, ma a impianti di natura, spazi espositivi in laboratorio, vediamo imitazioni, pròtesi, esperimenti le cui presentazioni mettono sempre più luce allo stesso tempo la struttura naturale e l’effetto innaturale, in un all’ottica tecnico-scientifica.
Eliasson realizza anche la cascata artificiale,nel frattempo divenuta famosa, per lo straordinario frastuono. Dal punto di vista artistico,scientifico e tecnico, viene sfruttato anche l’effetto cornice della situazione museale. Qui la natura si rapporta al museo come il mondo della vita lo fa con il vuoto.
Resta la domanda di fondo: è arte tutto questo? O semplicemente la costruzione intelligente di effetti resi possibili dalla tecnologia, usata da un abile specialista in scenografia ed effetti speciali?
Per i critici sembra attuarsi in modo parossistico la nota frase di Ludwig Wittgenstein: “va bene così”.
Siamo oltre la profetica affermazione di Lissitzky secondo il quale il costruttivismo rappresentava il punto di passaggio dalla pittura alla architettura. Le costruzioni di Eliasson sono infatti costruzioni architettoniche in chiave tecnologica.
Assistiamo all’attuazione di una sorta di nemesi relativa al tendenza avviata dalle avanguardie del secolo scorso dell’uso del ready-made e del tutto è arte. Forse i teorici di simile teorie non avevano immaginato, previsto, che sarebbe stata la tecnica a sostituire il ready-made, in un capovolgimento di senso che non modifica però la questione di fondo: se tutto è arte si può fare arte con tutto
Questo conferma lo stato prefigurato da Elias Canetti di una “società in cui l’ogni uomo viene raffigurato che prega dinnanzi alla tecnica che lo condiziona.
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