Il rapporto che intercorre tra l’opera di avanguardia e metodi formali di teoria dell’arte, è stato stravolto con l’elusione dei tradizionali procedimenti tecnici e uso dei materiali. Ciò tuttavia non ha modificato l’approccio ermenèutico della critica d’arte, provocando una dicotomia tra oggetto e interpretazione che avviene ancora con criteri classici da buona parte della critica. Prassi e teoria dell’avanguardia hanno avuto, tra l’altro, l’effetto di diluire l’essenza significante in discipline diverse. Reinhard Brandt nel suo libro “Filosofia nella pittura”, ha analizzato opere di artisti classici con riferimenti filosofici. Appare evidente che le opere dei maestri del passato potevano essere apprezzate, indipendentemente dalla capacità d’interpretazione iconologia. L’arte d’avanguardia, avendo eliminato l’estetico, ha ridotto la forma a citazione concettuale, con la conseguenza che, l’osservatore non sempre in grado di percepire il significato sottointeso, perde ogni possibilità di comprensione e godimento. Senza dubbio, non è ancora emersa con sufficiente chiarezza l’inutilità della critica d’arte oggi. Essa ha un approccio classico a opere che sono la negazione di ogni espressione d’arte, intesa in senso tradizionale. A prescindere da capacità e intenzioni, i critici raramente sono in grado di svolgere efficacemente la propria funzione interpretativa, in quanto la lettura dell’opera richiede il ricorso a varie discipline, psico – sociologiche, politiche, filosofiche, e quant’altro serve a collocare l’opera nel contesto nel quale è possibile decifrarne il senso. L’analisi dell’opera non può essere attuata scientificamente, come ipotizza, tra gli altri, Peter Burger nel suo saggio “Teoria dell’avanguardia”, anche in ragione della estemporaneità di molte opere. Le forzature ermeneutiche della critica, finiscono per costituire anello di congiunzione con l’arte-arte, in questo modo accreditano una supposta concettualità, che forse era nelle intenzioni dell’artista, ma non è ravvisabile nell’opera. A ciò contribuisce il modesto bagaglio culturale degl’artisti, spesso non in grado di adeguare l’apparato concettuale alla sintesi della forma. C’è il rischio concreto di nobilitare la pura dissacrazione a concetto. Condizione necessaria per una possibile sintesi tra procedimenti formali ed ermeneutici è rendersi conto che nell’opera avanguardistica l’emancipazione del singolo elemento non raggiunge mai il distacco completo nella totalità dell’opera. Anche dove la negazione della sintesi diventa principio strutturale, deve comunque rimanere la possibilità di pensare a una unità, sia pure precaria. Addurre la complessità dell’opera per giustificarne la difficoltà di fruizione, è un espediente non accettabile perché significherebbe sminuire autonomia ed efficacia del linguaggio dell’arte. L’opera deve esprimere la totalità di senso, anche se è stata raggiunta l’unità dopo aver accolto la contraddizione. In altre parole, non è più l’armonia delle singole parti a costituire l’unità dell’opera, bensì il rapporto contraddittorio di elementi eterogenei. Per questo, dopo i movimenti di avanguardia, non si può pensare né di sostituire semplicemente l’ermeneutica con procedimenti formalistici, né di continuare ad affidare la critica a procedimenti intuitivi, ma adeguarsi alla mutata situazione storica.
Pierpaolo Pasolini, Senza titolo, 1971 ca-
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