Vi è diversità tra i concetti dell’intelletto e i concetti della ragione. Nel primo caso la base è l’esperienza sensibile soggettiva che prescinde dalla conoscenza dell’oggetto. Nel secondo caso si tratta di una elaborazione astratta della ragione che presuppone quantomeno un tentativo di conoscenza dell’oggetto. La ragione ci consente di dar forma al pensiero.
Se riportiamo queste considerazioni alla prassi della critica e Filosofia dell’arte, ci rendiamo conto che il processo analitico dell’opera non è mai riferito all’oggetto in quanto oggetto, ma più generalmente al significato astratto dell’insieme che l’artista si propone di rappresentare.
La produzione di una estetica attraverso la filosofia ha portato ad un eccesso di intellettualizzazione dell’arte allontanandola dalla natura e dal bello estetico.
Incidono poi aspetti estranei all’opera, come le considerazioni personali sull’artista, riconoscimenti di critici e filosofi dell’arte, in breve una narrazione che si basa su aspetti che tendono a valorizzare l’artista in quanto curriculum professionale e solo di riflesso la sua opera.
E’ un procedimento corretto? Mi sia consentito avere delle riserve sul metodo che, purtroppo, ha consentito creare una sorta di mitologia su artisti mediocri come Picasso del quale il filoso Alexandre Kojève scrisse: “Picasso riesce a fare un quadro solamente una volta circa su cento in cui mette dei colori su una tela. E’ ancora più imbarazzante il fatto che la stragrande maggioranza dei suoi ammiratori sono assolutamente incapace di distinguere – nella sua opera – i quadri dalle tele imbrattate”. (Quodlibet 2005, pag.31)
L’Osservatore comune generalmente esprime un giudizio basato quasi esclusivamente sulla sensazione, in teoria soggettivo, spontaneo. In realtà non c’è dubbio che la suggestione della critica e dello stesso luogo in cui è esposta l’opera, hanno un ruolo determinante.
In astratto l’apprezzamento sensibile dell’osservatore non necessità di un riscontro, la sensazione ha valore solo come tale, cioè nessun valore, questo a prescindere dalla sensazione che può essere quasi sempre appagante.
D’altra parte non è certo che la lettura razionale dell’opera,che si scontra con la difficoltà di superare le contraddizioni che la ragione ha con sé stessa, abbia la capacità di arrivare al nocciolo del problema di capire se c’è e qual’è il significato.
Una conclusione potrebbe essere che quando la critica d’arte si limita ad illustrare dati oggettivi nell’opera potrebbe avere una qualche utilità per l’osservatore sul piano per così dire tecnico, lasciando spazio al godimento estetico che non necessità di una motivazione teorica. Quando invece la filosofia ha la pretesa di definire significati indimostrati e indimostrabili, allora non è più utile e si riduce a una narrazione supponente senza raggiungere un esito gnoseologico.
Il piacere dell’’opera nasce dall’accordo tra immaginazione e intelletto.
Non sono approdati a molto gli studi che hanno affrontato il tema di conoscenza e sensibilità attraverso i quali si forma il gusto. Pensiamo a “Critica del giudizio” di Kant. Resta inesplorato il campo della sensibilità che determina le nostre scelte, a volte accantonando la ragione.
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