Se, come sostiene Sloterdijk “..la copia costituisce una dimensione più reale dell’individuo..” , a cosa è servito il delirio ideologico del femminismo, tracimato nell’arte con effetti disastrosi ? Aristofane con Lisistrata, donna ateniese del 411 a.C., dimostra come sia sempre stato forte il potere femminile, tanto che anche il filosofo Aristotele, subì lo scherzo di Alessandro il macedone, facendosi cavalcare dalla prostituta Fillide. Da Platone in poi la tradizione divide in tre l’umana natura: la testa, sede dell’intelligenza che vede l’insieme; il basso ventre abitato dal desiderio; in mezzo il cuore. Ignorando la distinzione, Rabelais immaginò sul frontone dell’abazia di Thélème la scritta: “ Fa ciò che vuoi”. La fiaba di Thélème è semplice, si confronta con tutte le ideologie. La scelta del femminismo sembra privilegiare l’aspetto ginecologico della donna. Rabelais ha cura di segnalare che gli operai, incaricati del cibo, delle costruzioni, dei lavori pesanti e sgradevoli, abitano fuori dall’abbazia di Thélemè. Qualunque sia il maestro che nutre le ideologie della convenienza, Ricardo, Keynes, Marx, Weber, Smith, o magari Hitler, traggono i loro vantaggi dalla manipolazione di persone e leggi. Atteggiamento fatto proprio dal femminismo, specie di matrice americana, che è arrivati a creare una sorta di sant’uffizio, denominato politically correct, strumento utilissimo per manipolare norme e leggi a proprio favore, mentre è del tutto indifferente alle realtà sociali che, in tutta la loro complessità richiedono cultura e buona fede che certo è merce rara specie per persone spinte da frustrazione, i problemi non si risolvono con slogan e ancor meno con la manipolazione della realtà. Vi sono condizioni di carattere fisiologico e psicologico che non andrebbero ignorate per bulimia di potere. La scienza riconosce alcuni stati di fatto che la politica e le leggi si ostinano ad ignorare, salvo quando tornano a vantaggio della parte femminile. In USA nel 1976, un tribunale del Texas assolse una donna la quale, dopo avere assassinato il marito, lo mise nel tritacarne. La motivazione della giudice che emise la sentenza fu: l’imputata era nel suo periodo, quindi non era in condizioni di controllare i propri impulsi. Le copie americane sono emblematicamente ritratte dal pittore Edward Hopper, appaiono spesso come Bouvard e Pécuchet , fino alla resa dei conti: il divorzio. La conclusione è scontata: marito privato della casa e della possibilità di vedere i propri figli. Un nuovo oscurantismo di genere scatena la violenza della parte impotente. Il motto di Théléme è declinato esclusivamente al femminile. Il saggio Pantagruel si oppone al matrimonio. Malizia e capacità di muoversi nei meandri della burocrazia giudiziaria e delle leggi di genere. Il corporale, per chi è chiamato a sentenziare, costituisce il sottosuolo delle libertà formali e giuridiche. La burocrazia non necessita né di forza tanto meno di intelligenza, basta astuzia e abilità nell’autovittimizzazione. Ogni dialogo s’invola di fronte all’assoluta mancanza di logica. La falsificazione della storia non riguarda solo la teoria, incide sulla carne viva delle persone, dei maschi predestinati a nemesi immaginarie. Il dio ingannatore di Cartesio ha dunque un sesso. Forse la sacerdotessa Bacbuc ha partorito prima del tempo le tesi di Feuerbach. L’arte deturpata dagli eccessi accelera il declino. 
Considerazioni sull'arte
La rosa è il fiore simbolo della fatuità del tempo che fugge, è anche il fiore dell’amore per antonomasia. Guillaume de Lorris, nel 1235, scrisse la prima parte del Roman de la Rose , in cui narrava le prove che l’Amante doveva affrontare per conquistare la Rosa, simbolo della donna. La seconda parte fu scritta da Jean de Meung tra il 1268 2 il 1285, questa parte ha un contenuto satirico verso il costume della società del tempo. Il poema, omaggio verso le donne, era motivato anche dal diffuso potere femminile, con buona pace della faziosità femminista nutrita di ignoranza, specie di matrice anglosassone e americana. L’importante ruolo della donna segna tutta la storia dell’Europa. Allora come oggi, vi era un doppio aspetto del potere femminile. Da un lato l’influenza che esse esercitavano su mariti, figli e cognati, dall’altra il potere diretto. Isabella di Baviera, Giovanna di Penthièvre, Valentina Visconti, Jolanda d’Aragona, Giovanna di Napoli sono alcune delle moltissime donne di potere. Ieri come oggi il maschio, per ossequio, o perché sedotto, aderisce al volere femminile, canta le lodi della donna, si fa un punto d’onore di essere “cavaliere servente”. Ovviamente le modalità cambiano radicalmente ma la sostanza resta. Arte e letteratura registrano omaggi alla donna, è frequente il richiamo alla Rosa, come simbolo della “fragilità” femminile. Bernard Le Bovier De Fontenelle scrisse: “ A memoria di rosa, non si è mai visto morire un giardiniere” . “Le rose che non colsi” suona come retorica ma significativa metafora del rimpianto. Scrive T.S. Eliot: “Passi echeggiano nella memoria, lungo il corridoio che mai prendemmo, verso la porta che mai aprimmo, sul giardino delle rose”. Il colore rosa è il colore femminile di riferimento. E’ nota la poesia di Gertrude Stein: “ Una rosa, è una rosa, è una rosa”. Si dice che Lorenzo De Medici, il commerciante banchiere che divenne nobile, amasse molto le rose e le curasse personalmente nel suo giardino. Forse furono le rose ad ispirare il suo celebre sonetto. Egli, nonostante la magnificenza della sua vita, morì all’ospizio nel 1501. In Inghilterra, tra il 1455 ed il 1485 fu combattuta una feroce guerra dinastica tra la casa regnante dei Plantageneti e Lancaster – York. Tale guerra fu detta “guerra delle due rose” perché entrambe le casate avevano un rosa nel proprio stemma dinastico. I Plantageneti una rosa rossa, i Lancaster una rosa bianca. Forse ignorava la storia, oppure conoscendola, usò l’ironia Danny De Vito quando titolò il suo film del 1989 “La guerra dei Roses”. Anche in filosofia appare il richiamo alla rosa, quando Hegel scrive a proposito della Germania e dell’Europa: “Qui è la rosa qui devi danzare”. Nonostante il rosa sia considerato il colore simbolo del femminile, vi furono femministe storiche che lo rifiutarono. L’autrice di “La mistica della femminilità” Betty Friedan non accettava la simbologia del colore rosa come riferimento femminile. La così detta rivoluzione femminista ha reso manifesto ciò che era sottaciuto. Anche per la “rivoluzione” femminista vale la maliziosa tesi di Paul Valèry: la “Rivoluzione” è diventata una routine.
Auto da fè.













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