La rosa è il fiore simbolo della fatuità del tempo che fugge, è anche il fiore dell’amore per antonomasia. Guillaume de Lorris, nel 1235, scrisse la prima parte del Roman de la Rose , in cui narrava le prove che l’Amante doveva affrontare per conquistare la Rosa, simbolo della donna. La seconda parte fu scritta da Jean de Meung tra il 1268 2 il 1285, questa parte ha un contenuto satirico verso il costume della società del tempo. Il poema, omaggio verso le donne, era motivato anche dal diffuso potere femminile, con buona pace della faziosità femminista nutrita di ignoranza, specie di matrice anglosassone e americana. L’importante ruolo della donna segna tutta la storia dell’Europa. Allora come oggi, vi era un doppio aspetto del potere femminile. Da un lato l’influenza che esse esercitavano su mariti, figli e cognati, dall’altra il potere diretto. Isabella di Baviera, Giovanna di Penthièvre, Valentina Visconti, Jolanda d’Aragona, Giovanna di Napoli sono alcune delle moltissime donne di potere. Ieri come oggi il maschio, per ossequio, o perché sedotto, aderisce al volere femminile, canta le lodi della donna, si fa un punto d’onore di essere “cavaliere servente”. Ovviamente le modalità cambiano radicalmente ma la sostanza resta. Arte e letteratura registrano omaggi alla donna, è frequente il richiamo alla Rosa, come simbolo della “fragilità” femminile. Bernard Le Bovier De Fontenelle scrisse: “ A memoria di rosa, non si è mai visto morire un giardiniere” . “Le rose che non colsi” suona come retorica ma significativa metafora del rimpianto. Scrive T.S. Eliot: “Passi echeggiano nella memoria, lungo il corridoio che mai prendemmo, verso la porta che mai aprimmo, sul giardino delle rose”. Il colore rosa è il colore femminile di riferimento. E’ nota la poesia di Gertrude Stein: “ Una rosa, è una rosa, è una rosa”. Si dice che Lorenzo De Medici, il commerciante banchiere che divenne nobile, amasse molto le rose e le curasse personalmente nel suo giardino. Forse furono le rose ad ispirare il suo celebre sonetto. Egli, nonostante la magnificenza della sua vita, morì all’ospizio nel 1501. In Inghilterra, tra il 1455 ed il 1485 fu combattuta una feroce guerra dinastica tra la casa regnante dei Plantageneti e Lancaster – York. Tale guerra fu detta “guerra delle due rose” perché entrambe le casate avevano un rosa nel proprio stemma dinastico. I Plantageneti una rosa rossa, i Lancaster una rosa bianca. Forse ignorava la storia, oppure conoscendola, usò l’ironia Danny De Vito quando titolò il suo film del 1989 “La guerra dei Roses”. Anche in filosofia appare il richiamo alla rosa, quando Hegel scrive a proposito della Germania e dell’Europa: “Qui è la rosa qui devi danzare”. Nonostante il rosa sia considerato il colore simbolo del femminile, vi furono femministe storiche che lo rifiutarono. L’autrice di “La mistica della femminilità” Betty Friedan non accettava la simbologia del colore rosa come riferimento femminile. La così detta rivoluzione femminista ha reso manifesto ciò che era sottaciuto. Anche per la “rivoluzione” femminista vale la maliziosa tesi di Paul Valèry: la “Rivoluzione” è diventata una routine.
Considerazioni sull'arte