Auto da fè.
La globalizzazione è frutto e conseguenza di una deriva identitaria, di una caduta culturale sotto la pressione di un pragmatismo privo di valori. La civiltà è conseguenza ed è caratterizzata da limiti. Leggi, sapere, dominio della natura, controllo dei propri istinti primordiali, tempo, economia. La libertà non potrebbe esistere senza i limiti che ci siamo autoimposti per evitare di cadere in preda di continui conflitti in cui prevale il più forte. E’ nota l’affermazione di Hobbes: “ Bellum omnium contra omnes”. Ed è quanto è sempre accaduto, oggi come ieri nonostante un’infinità di leggi, e progresso scientifico. Quando Shakespeare nel monologo dell’Amleto tra i mali che affiggono gli umani include le leggi, non è per chiederne l’abolizione ma una maggiore l’efficienza. Egli scrive : “…della legge gli indugi…”. A produrre stati di entropia è sopravvenuta la globalizzazione della quale il capitale è il maggior artefice. Lo scopo è ottenere una totale omogeneizzazione, una massa amorfa di consumatori . Città, villaggi, regioni, trasformati in punti di passaggio di uno sconfinato traffico di capitali che si trasformano in merce quindi nuovamente in denaro. Ciascun punto della Terra diventa un punto di appoggio del capitale. Alla globalizzazione è legata anche l’idea di velocità priva di necessità e ragione. Arrivare velocissimi in nessun luogo. Il pianeta globalizzato non esprime più differenze di luogo, abbigliamento, svago, consumo. La globalizzazione è essenzialmente ispirata da un’idea speculativa. I “bourgeoisie” sono coloro che mettono in moto la roulette. La questione principale della nostra epoca non è più la Terra che gira intorno al sole, bensì il denaro che gira intorno alla Terra. E’ stato Nietzsche, nel suo scritto sulla tragedia a coniare la formula di questa deriva, una sorta di teodicea estetica, insofferente ai limiti della legge e dalle riflessioni di una cultura non funzionale. “Per caso – questa è la più antica nobiltà del mondo” . Oggi più che mai vale l’affermazione di Malthus: “ il povero nasce in un mondo già occupato”. L’imperativo categorica dei pasdaran del progresso era già scritto sulla prua delle navi di Carlo V: “ Plus ultra”. Quale spazio potrà mai trovare l’arte in questa affannosa ricerca del nulla? Gli artisti in maggioranza hanno rinunciato, si sono messi in fila per avere la loro razione di benessere e quindi accettano le regole proprio quando fingono di infrangerle. Il genius loci, appartiene alla mitologia, oggi è quasi una brutta parola perché stride con globalizzazione. L’ubi consistam dell’arte è l’effimera forma celebrativa della mondanità. Le mostre sono un accrochage di oggettistica kitsch accreditata come arte dai truismi della critica.
piergiorgio firinu
Fons van Woerkom. Disegno a china. “A mutual agrement between them”. 1976