Pazzia necessaria  0

Condizione primaria di ogni forma di comunicazione  è la decifrabilità. La pretesa delle avanguardie di forzare simbologia  e significato, non era, non è, basata su elaborazione epistemologica, ma su una pregiudiziale rinuncia , forse anche per carenze culturali, alla non facile elaborazione di una storia di oltre 6000 anni. L’irrompere della rozza modernità si definisce anche nella scelta della propria definizione con il ricorso al termine militare di “avanguardia”. Il senso delle avanguardie è esplorare territori sconosciuti, e ritornare a riferire lo stato del territorio esplorato. Le avanguardie del Novecento  si sono accampate fuori dai confini del senso, un manipolo di guastatori  che ha dato origine a una nuova realtà sulla quale non si è attuata una necessaria igiene linguistica, limitandosi ad adattare il termine arte a qualcosa di radicalmente diverso. Ciò ha creato un’entropia  culturale che si sta rivelando ripetitiva e sterile. Si può apprezzare un bonsai di sequoia, ma non è opportuno denominarlo sequoia secolare. Al gigante Leonardo si è preteso affiancare il nano Warhol. Ognuno è libero di creare la propria piccola serra, ma non ha senso chiamarla foresta. Il riferimento non è ovviamente alla dimensione, ben consapevoli che è proprio con il gigantismo che si vuole occultare la mancanza di significato. Si è trattato di attuare una vera e propria negazione della funzione del linguaggio dell’arte. E non per ingenuità ma per inadeguatezza.  L’universo dei segni , passa attraverso ciò che prende corpo. Non basta dire che il concetto è la cosa stessa, finisce che è il mondo delle parole ad alterare le cose, confuse nell’hic et nunc del divenire continuo, in una inesausta ricerca di diverso significato . Il simbolo sterilizzato in logo, è affidato alle leggi del numero. La povertà delle forme non è ricerca dell’essenziale, ma la libertà che esercita il caso, non guidato da sensibilità e intelligenza, nutrita di sapere. Il sintomo qui è il significante di un significato rimosso dalla coscienza del soggetto. L’io dell’uomo moderno ha assunto la propria forma nella impasse dialettica dell’anima che non riconosce la ragione stessa del suo essere artefice del disordine  che pretende di denunciare. Pascal sosteneva: “gli uomini sono così necessariamente pazzi, che sarebbe essere pazzi di un’altra forma di pazzia il non essere pazzi”. Così ci trasciniamo tra perduti lumi e crescenti devianze, convinti di essere sulla riva giusta del  fiume.      aaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaprossimanews

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Arte e oggetti vari.  0

Più volte nel corso dei miei scritti mi sono posto, ed ho posto, la retorica domanda:di cosa parliamo quando parliamo d’arte? Davvero c’è chi pensa che i ready made, opere seriali, assemblaggi vari possano reggere il confronto con l’arte classica, o ci troviamo di fronte all’ennesimo richiamo ad Esopo, la volpe e l’uva. Consideriamo la tecnica raffinatissima messa in atto dagli antichi maestri che certo non discettavano di ontologia dell’arte e delle artificiose,spurie, teorie che giustificano l’arte contemporanea brutta nella forma e priva di significato. Se andiamo in qualunque museo dove è conservata l’arte classica possiamo osservare capolavori di cui pochissimi conoscono l’esistenza. E’ giusto che sia così, alcune “icone” dell’arte contemporanea sono notissime, ma pochi, a partire dagli stessi filosofi dell’arte, saprebbero davvero darne una giustificazione. Senza dubbio le bugie richiedono molte più parole della verità. Ma non solo le vere e proprie opere d’arte, anche oggetti d’uso o di culto raggiungono raffinatezze di cui gli artisti contemporanei, nella grandissima maggioranza, non saprebbero avvicinarsi. Nel Museo di Zurigo tempo fa ho visto un evangelario che risale, se non ricordo male, intorno al XII secolo. La copertina eseguita in oro sbalzato, è decorata con pietre preziose tagliate a cabochon, vale a dire pietre non sfaccettate inserite  rotonde nell’incastonatura. La lamina d’oro decorata con il sistema dello smalto cloisonné. Gli antichi maestri adottavano due sistemi  per decorare con lo smalto: lo champlevé e il cloisonné. Lo champlevé  ha il blocco di metallo con opposite  cavità che vengono riempite di smalto. E’ la tecnica più antica, ed è stata abbandonata perché bastava che l’oggetto così decorato subisse un forte urto perché la pietre fuoriuscissero dalla loro sede. Il sistema cloisonné offre maggior sicurezza, per questo è stato adottato, non solo in Europa ma anche in Oriente. Il sistema cloisonné prevede la creazione di un area  vuota,  sottilissime lamine metalliche vengono saldate all’interno , quasi si trattasse di campi cinti da steccati. Entro questi campi viene colato lo smalto liquido ad altissima temperatura. Lo smalto viene contenuto e protetto dalle partizioni metalliche. Mi sono dilungato nel descrivere questo piccolo oggetto e la tecnica con la quale è costruito perché fosse chiara la differenza tra il conoscere tecniche e applicarle, ed i sistemi odierni dell’arte in cui tutto viene fatto con incredibile pressapochismo. E’ possibile che critici e filosofi  dell’arte, soprattutto  statunitensi, ma non solo, conoscano le antiche tecniche e procedure per creare oggetti d’arte? Se la risposta affermativa devono avere seri difetti di percezione. Se la risposta è negativa si capisce perché esaltano  scatole di detersivi, scope, oggetti di uso comune. Lascia perplessi che accademie e scuole d’arte in Italia e in Europa, abbiano adottato  stili e sistemi d’oltre oceano buttando a mare secoli di saperi.

 

Piergiorgio Firinuaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaprossima-news

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Il senso dell’arte  0

Il senso dell’arte.

Il dibattersi per la sopravvivenza dell’arte forse avviene nelle forma sbagliata. Non basta dotare di motore una carrozza per trasformarla in automobile. Mancano tutte le componenti tecniche  che gli consentono di viaggiare. Vi sono aspetti del mondo dell’arte, o del sistema dell’arte, come si dice oggi, che non vengono indagati, forse per eccesso di autoreferenzialità, o forse perché nella frammentazione culturale, caratteristica del nostro tempo, l’arte interessa solo il mercato. La conferma viene dall’importanza data all’arte da giornali finanziari, e dall’abbinamento arte moda, non solo sotto l’aspetto operativo, ma finanziario. Siamo alla regressione utilitaristica che prevede forme più evolute di sopravvivenza. Se l’istinto significa effettivamente l’incontenibile  animalità dell’essere umano, non è detto che la ragione riesca a dominarlo, nell’arte come in ogni altra attività umana. Il simbolismo del pensiero trova  nella percezione visiva quella che Husserl definisce “rapporto di fondazione” . A poco serve utilizzare il linguaggio, che Lacan chiama “lo strumento della menzogna”  per cercare di ricreare una parvenza di verità.  L’appercezione  è un dato dell’intuizione che si richiama al concetto dell’oggetto. Per questo è definita oggettività e si distingue in modo netto dalla soggettività. Se  è la soggettività a prevalere, come avviene in moltissime opere d’arte contemporanea, l’ermeneutica dell’oggetto diventa impossibile,  in quanto manca la possibilità di decifrazione, vale a dire il collegamento di una certa parola ad una certa cosa.  Di qui la progressiva deriva verso forme espressive di materialistica banalità. Ma non vi è solo questo aspetto in cui, sotto traccia, agisce l’influsso antropologico che determina  aspetti concreti dell’ operatività dell’artista. Partendo dalla nota affermazione “ nihil est in intellectu quod prius non fuerit in sensu”   . Appare evidente che molte opere d’arte della cosiddetta avanguardia  non consentono una percezione sensibile. Se investighiamo  il rapporto della conoscenza  che precede il giudizio, o semplicemente la fruizione,  ci rendiamo conto che l’intelletto non ha una traccia da seguire e di conseguenza, accettazione o  rifiuto, sono scelte irrazionali, conseguenza dell’indottrinamento ovvero delle consuetudini. Di fatto è difficile provare un’emozione, o una qualunque sensazione osservando un cumulo di carbone, una putrella di ferro,  un qualunque comune oggetto elevato ad opera d’arte. Dovremmo dunque trarre la conclusione che l’opera “d’arte”  va  vista come un riferimento metaforico, soggiace  cioè a una forzatura ermeneutica  della quale è necessario accettare tout court le premesse.  Se investigo più profondamente il rapporto tra sensazione e conoscenza  scopro che dal cumulo di carbone e dalla putrella,  non ricavo, oggettivamente, nè conoscenza nè sensazioni.  Se anche mi affido all’immaginazione produttiva, il mio giudizio non cambia. L’unità sintetica della coscienza è dunque una condizione oggettiva di ogni conoscenza , della quale non soltanto io stesso ho bisogno per conoscere un oggetto, ma alla quale deve sottostare  ogni intuizione stimolata dalla forma che deve possedere contenuto gnoseologico percepibile la cui intrinseca capacità di comunicazione è una delle prerogative dell’opera d’arte.

Piergiorgio firinu venezia-2015-Kunellis-9

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Il fantasma della libertà.  0

L’arte, a ben vedere, nella sua esplicazione migliore, non è che la reinvenzione della realtà con pretese metonimiche. Fantasia e intelletto danno forma al pensiero. Il mito dell’artista “genio e sregolatezza”  è un pretesto per distrarre. La creatività non scaturisce dal disordine. Gran parte degli artisti appartengono alla borghesia: Kandinsky, Mondrian, Picasso, Man Ray, De Chirico, Piero Manzoni, Duchamp, l’elenco è lungo. Tutti borghesi mediamente colti e mediamente ricchi, secondo parametri  sociali, insignificanti se non per la possibilità di sbizzarrirsi  e creare la loro arte, o le loro provocazioni, per distinguersi dallo stuolo di aspiranti artisti  andato crescendo con l’avvento della modernità. Oggi gli artisti sono milioni nel mondo. Rimossi i paletti dell’estetica e della ragion sufficiente, che fungeva da filtro per  le pretese di molti, la frana “libertaria” ha data la stura al cattivo gusto, le teorie ancipiti elaborate dai cosiddetti filosofi dell’arte sono valse da giustificazione. Si è smarrito il filo d’Arianna che legava la storia dell’arte. Gli antichi usarono l’arte come riflesso della realtà, come racconto e simbolo di un divenire dialettico nello sviluppo è fruizione sociale. Nulla di tutto questo è rimasto. L’uso sofistico della filosofia  per dare alla propria ignoranza, anzi alle proprie illusioni e confusioni, la tinta di una qualche verità. Kant definiva la verità “accordo di una conoscenza con il suo oggetto”. Non pare che la cosiddetta filosofia dell’arte vada in questo senso, anzi non va da nessuna parte, si affida a tautologici truismi, in un mondo in cui la conoscenza si specifica nelle sue stereotipie. E’ molto difficile  se non  impossibile,  tentare una resistenza teorica  o tecnica, il  problema sempre più si appalesa. Anche perché, nelle Università e nelle Accademie, i giovani sono vittime di abbagli, a partire dal riferimento al linguaggio, frutto di impudenza e ignoranza. L’esperienza del soggetto matura in questo stato di cose. E’ questa la realtà  di oggi, come si presenta. Mancano gli strumenti  per infrangere l’illusione che riduce l’identità dei pensieri al pensiero dell’identità in un solipsismo culturale disarmante. La negazione che il reale è diventato il punto d’appoggio di ogni processo creativo, per questo tracima  in fatua illusione Non sarà cedere a un inganno prospettico  vedere la delineazione dell’immaginario , le cui forme non più associate al simbolico né al reale,  finiranno nella morta gora del nonsenso. E’ proprio questo il miraggio di quest’epoca in cui la sbandierata libertà non è che un fantasma che non spaventa più perché creduto reale. L’arte può riassumere il suo valore solo purgandosi da neologismi mondani  e prendendo coscienza che la cosiddetta filosofia dell’arte ha rivoltato come un guanto senso ed estetica. Ciò finisce per  situare l’esperienza a un punto in cui la negatività si autoalimenta.

Piergiorgio Firinu     aaaaaaaaaaaaaaaaanewsletter

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Decidere senza pensare  0

E’ imbarazzante rendersi conto del fatto che il procedimento di risoluzione dei problemi definito intelligente oggi per i computer , è essenzialmente lo stesso  che lo psicologo Edward L. Thorndike attribuiva agli animali nell’ultimo decennio dell’Ottocento per dimostrare che essi  non sono in grado di ragionare. Tutto ciò che fanno gli animali, argomentava Thorndike, è passare ciecamente  attraverso un certo numero di reazioni possibili, finchè non capitano su quella valida. E quanto più spesso si verifica la reazione valida, tanto più facilmente essa verrà connessa, nel cervello dell’animale, alla situazione problematica. Tale associazione non è più intelligente del comportamento dell’acqua piovana che si rovescia sempre là dove maggiore è la pendenza. Non si ha quindi il minimo intendimento. Ora, la cosa preoccupante, non è tanto il funzionamento del computer, il cui meccanismo tecnico risponde ad esigenze scientifiche e di necessità, quanto piuttosto che lo stesso comportamento si riscontra tra gli esseri umani oggi. Dalle decisioni politiche, agli abituali comportamenti sociali appare evidente che prescindono spesso da ogni forma di razionalità, si affidano ad  automatismi comportamentali. George Berkeley ha suggerito che si possa impiegare un qualunque triangolo per rappresentare tutti i possibili triangoli. Il rischio, con l’impulso massificante dei media e di tutte le forme di intrattenimento, si finisca per poter usare lo stesso metodo per gli esseri umani, ognuno dei quali risulterà identico ad ogni altro essere umano. Siamo ben oltre a 1984 di George Orwell che quando fu scritto venne indicato come appartenente alla tradizione narrativa utopistica, mentre oggi le “fantasiose” ipotesi contenute nel libro, si sono ampiamente avverate. Vale per il libro di Orwell l’affermazione di Samuel Johnson che definiva il risultato di un’astrazione come “ una quantità minore che contiene la potenza di una maggiore”. Gli strumenti di comunicazione di massa, salutati al loro sorgere come strumenti di democrazia, si sono rivelati come una forma coatta di indottrinamento  delle masse, per cui si procede come gli gnu, tutti in un’unica direzione, si tratti di teorie di genere, di orientamento politico, di comportamenti e scelte quotidiane. Ciò che appare terrificante è che non c’è consapevolezza di questo scivolamento di forme sociali degradate. Finiamo per imitare non solo comportamenti tribali primitivi, anelli al naso, tatuaggi, abbigliamento trasandato, ma rischiamo di imitare gli animali nel loro comportamento primario con la differenza che noi siamo privi dell’istinto che in qualche modo guida. Mi si permetta di citare il mio libro, pubblicato nel 1977: “La logica del quotidiano” quello che allora nel mio scritto appariva surreale oggi è il vissuto dalle masse.   aaaaaaaaaaaaaaaaaadecidere-senza-pensare

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Emozione e ragione.  0

Nella prefazione alla prima edizione della “Critica della ragion pura”, Kant scrive: “…questo lavoro di certo non è punto  all’uso del popolo…” . Ovviamente Kant non poteva immaginare che l’insorgere della retorica dei diritti,  delle pretese di genere  portassero ad abbassare il livello culturale di discenti e docenti . La cultura così detta di massa divulgata dai media crea situazioni psicosociali piuttosto spiacevoli . La libertà di pensiero con pretese di genialità  è una sorta di virus. Sull’inserto  culturale del Corriere della Sera,“Lettura”, una giornalista scrive un lungo articolo il cui titolo è “La conoscenza passa attraverso le emozioni”.  Dovremmo dunque archiviare  generazioni di filosofi,  l’elenco  dei reietti sarebbe davvero lungo,  che hanno sostenuto esattamente il contrario. L’articolo ha lo scopo di  promuove un  libro di certa Giuliana Bruno. Nella tradizione filosofica la parola esprime un concetto, o una determinazione dell’essere la cui definizione può avvenire esclusivamente tramite processo logico, come sostiene Wittgenstein,  esattamente il contrario di un atteggiamento emotivo. La ragione filtra l’emozione, per così dire la interpreta, l’emozione è un impulso  estetico, visivo, superficiale. Come ben ha scritto Kierkegaard  in “Aut-Aut, Diario di un seduttore” , nel confronto tra  personalità etica ed estetica. Scrive Kierkegaard : “…. godimento significa annullarsi nell’istante….” . L’emozione è un sentimento soggettivo, può indifferentemente includere o escludere per impulso superficiale, epidermico, qualcosa  su cui non abbiamo controllo.  E’ noto che l’atteggiamento emotivo è  soprattutto appannaggio femminile, ed infatti sono le studiose a  difendere il valore gnoseologico delle emozioni, arrivando a sostenere che la conoscenza passa attraverso le emozioni,  teoria spuria. La scienza, tesa al conseguimento di risultati precisi, non sa che farsene delle emozioni.  L’arte è l’unica “disciplina” in cui effettivamente l’emozione può avere una parte preponderante. Lo vediamo ancora una volta soprattutto sul cotè femminile, oggi predominante. Opere di body art e  una quantità di “creazioni” che ho citato in altri scritti e  non intendo qui trattare. Infine il cinema,  vera fabbrica di emozioni create attraverso la tecnica, effetti speciali, pornografia, la recitazione è residuale. Film e filmetti che la tv diffonde a getto continuo sono in larga parte prodotti a Hollywood (Babilonia) una città ad altissimo tasso di corruzione che si schiera sempre dalla parte del potere. Le uniche guerre vinte dagli USA sono quelle costruite negli studi di Hollywood. Dopo la seconda guerra mondiale conclusasi nel 1945 gli USA non hanno fatto altro che collezionare sconfitte, anche quando sembravano vittorie. In Iraq, l’intervento degli Stati Uniti ha lasciato una situazione di caos e guerra continua. Non sono fuori tema, proprio le guerre cinematografiche sono produttrici di emozioni. Gli USA  hanno perso da tempo ogni credibilità morale, ma Hollywood continua a creare eroi americani, onesti, buoni, coraggiosi, che sconfiggono i malvagi. Ogni rigagnolo di Los Angeles contiene dosi residuali di cocaina ed eroina tali che, confluendo nell’oceano, potrebbero  rendere euforiche anche le balene. Perché dunque ci commuoviamo di fronte alle menzogne con effetti speciali? Non ci affidiamo certo alla ragione, ma ci lasciamo andare all’emozione che ci rende ebeti spettatori di panzane colossali. Questo fa l’emozione. L’idea che le nuove generazioni crescano con la fantasia nutrita da finti eroi e puttane vere, non è pensiero che possa rallegrare chi non abbia rinunciato completamente alla ragione rifugiandosi nel  cinismo.   poster110

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Lessico e civiltà.  0

La grammatica generativo-trasformazionale  di Noam Chomsky ha un precedente riferimento in Aristotele, ripreso da Heidegger  in “Introduzione alla metafisica” , quando asserisce che “il logos non è autonomo ma fondato su qualcosa di originario”, cioè radicato nella dimensione che lo precede ontologicamente. Se dunque il lessico accompagna l’evoluzione umana ed ha quindi significativa incidenza antropologica, non si può escludere che possa avvenire anche l’inverso. I media, in particolare cinema e tv, trasmettono un lessico decisamente rozzo e volgare, intriso di richiami genitali. Tutto questo in quale misura incide nella complessiva involuzione di civiltà? Quali saranno la conseguenze sulle future generazioni ? E’ nota la boutade di Richelieu il quale  sosteneva:  “Ci vogliono due generazioni di vita tra persone civili prima di saper stare correttamente a tavola”.  Oggi simile boutade farà inorridire, con qualche ragione, gli antirazzisti di professione, tuttavia guardandoci attorno viene da chiederci quanto tempo dovrà trascorrere prima che si torni tutti a mangiare con le mani. Ritorneremo alle indicazioni contenute  nel libro “De civitate morum  puerilium” di Erasmo da Rotterdam,  nel quale consigliava di usare una sola mano per prendere il cibo dalla pentola, non sputare nel piatto, non toccarsi i genitali durante il pasto ed altri suggerimenti del genere, cose che a noi sembrano assurde ma evidentemente non lo erano al tempo in cui Erasmo scrisse il libro. Tra i frammenti di Archiloco c’è un verso che dice: “La volpe sa molte cose, ma il riccio ne sa una grande” . Gli studiosi non si sono trovati d’accordo sull’esatta interpretazione di queste oscure parole.  Oggi con la scolarità di massa l’istruzione è diffusa mentre la cultura      è in calo, considerata non più necessaria. L’acquisizione di un più elevato livello di coscienza di sé, che si compì nel corso del Rinascimento, è andato degradando con la modernità. Vi è notevole contraddizione  tra la tecnologia, che implica precisione funzionale, e la casualità improvvida dei comportamenti quotidiani. Prevale l’aspetto irrazionale che concede ampio spazio all’emotività con la motivazione che il mondo tecnologico contrasta con la prassi dei rapporti umani. Così finisce per prevalere il motto che Rabelais immagina posto sul frontone d’ingresso dell’Abazia di Teleme: “ Fa ciò che vuoi”. Siamo vicini al nocciolo delle peculiarità strutturali individuali che presiedono all’esperienza, la quale non è più vista come un percorso in qualche modo obbligato, legato alla crescita umana, ma come  stimolo ludico, ricerca di evasione. Tutto ciò si riflette ampiamente nel linguaggio dell’arte che ha abbandonato la traccia di conoscenza tecnica e culturale per affidarsi all’estemporaneo impulso provocatorio. La modernità ha confermato che gli esseri umani non sanno rinunciare ai miti, ne creano continuamente, in particolare di personaggi “trasgressivi” . Da quando Roland Barthes nel 1957 scrisse “Miti d’oggi” la realtà ha superato le più pessimistiche previsioni. La popolarità di un personaggio oggi si giudica dal numero di follower  sui  network. Lady Gaga pare abbia 43 milioni di follower, supera il Papa ed ogni altro personaggio. La cultura vera  non ha molto seguito. Incide su mentalità e comportamenti correnti  la squallida filmografia Made in Hollywood. La fine della nostra specie non sarebbe  una tragedia,  forse permetterà di  salvare  flora e fauna ormai residuali sul pianeta Terra..     aaaaaaaaaaaaaaaRocker-punk-1968

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Lo stato dell’arte  0

Lo stato dell’arte

Le rappresentazioni  sono inevitabilmente soggettive ; ciascuno di noi associa a una stessa espressione  una rappresentazione diversa, a meno che non sia suggestionato dalla lettura dell’opera del  critico/filosofo. I livelli di lettura di un’opera sono legati alla cultura del soggetto e  rispondono a un fattore psicologico. Husserl  distingueva tra l’io psicologico che appartiene al mondo,e l’io profondo; ovvero l’essere reale e l’essere ideale. Due realtà  dell’essere oggi  cancellate o fuse nel pesante  materialismo contemporaneo, e da una  distratta superficialità. L’io psicologico risulta inquinato  dalla predominanza di un pragmatismo funzionale che ignora tutto ciò che non è ludico, concreto, materiale. Non c’è spazio per nessun tipo di idealità, viviamo nella totale ignoranza dei fini della nostra esistenza. La nostra esperienza del mondo è ridotta ad   accumulo, possesso  materiale, consumo.  Cassirer sosteneva che l’uomo è un animale simbolico, ma la simbologia contemporanea è ridotta anch’essa a  volgarità e materialità. Le élite  sono costituite da soggetti  semianalfabeti, attori, cantanti, attrici porno. L’arte, che fu  tra le più elevate  espressione simboliche,  è ridotta anch’essa ad espressioni  laide alle quali  le teorie femministe hanno dato un contributo decisivo. Pensiamo al lampadario di tampax di Joana Vasconcelos, alle donne defecanti a carponi di Kiki  Smith, e  molti  altri simili “capolavori”.  Per Schopenhauer la demenza è essenzialmente perdita della memoria. Ed è’ ciò che sembra affliggere la nostra era,  con conseguente  rifugio nel solipsismo, nell’illusione di trovare soluzioni “pratiche”. Diceva Ennio Flaiano:” Colui che crede in se stesso vive con i piedi fortemente appoggiati su una nuvola”. Tutta l’arte contemporanea sembra avere fatta propria la boutade di  Oscar Wilde con  “Istruzioni per l’abuso”. E sempre di Oscar Wilde la profetica affermazione:” Tutti coloro che sono incapaci di imparare sono messi ad insegnare” . Sintesi della situazione delle scuole italiane, in primis delle Accademie. Si è smarrita la dimensione ontologica della libertà, l’esperienza del mondo non può essere vissuta senza una presa di distanza, come chi pretenda di vedere appoggiando il viso contro l’oggetto che vorrebbe osservare. L’uomo può acquisire la capacità di rispecchiare conoscitivamente tutta la realtà esterna, nonché se stesso, con una presa di distanza razionale .La vita umana è coscienza e autocoscienza sosteneva  Husserl.

piergiorgio firinuvenezia-2015--144-arte

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La filosofia dell’Unicorno  1

La filosofia dell’unicorno

La filosofia dell’arte procede in larga misura per deformazione  logica e forzature ermeneutiche basate su supposizioni. Anziché descrivere le opere il filosofo dell’arte le interpreta,  riconducendole alle proprie aprioristiche convinzioni. Uno degli espedienti abituali  consiste nel contestualizzare,  quasi che il contesto abbia  il potere di mutare significato e sostanza. Un asino è un asino in qualunque luogo o situazione  collocato. La contestualizzazione ambientale e storica non ha il potere di modificare l’ontologia , come pretendono molti filosofi dell’arte. Se noi collochiamo un’opera di Cesar in un deposito di ricuperi ferrosi, essa si confonde con il resto dei materiali, così come l’orinatoio di Duchamp  riportato in un magazzino di apparati igienici. La  contestualizzazione è dunque un’efficace espediente che, insieme alle forzature ermeneutiche , attua il tentativo di modificare l’ontologia dell’oggetto. Far credere che l’ottone sia oro non è abilità, è inganno. Dunque oggetti la cui ontologia è affidata al contesto, non possono essere considerate opere d’arte nonostante le spurie teorie che sostengono il contrario. Attraverso la parafrasi  proposta da Russel,  l’enunciato , il cui predicato non è formulato secondo le proprietà dell’oggetto, è un anacoluto logico e grammaticale. Un nome , nel senso ristretto di denominazione di un oggetto, non comporta di necessità la conoscenza. Il concetto semantico deve avere una fondazione epistemologica, basata sulla distinzione tra conoscenza diretta e conoscenza per descrizione. Ogni formulazione filosofica, dovrebbe partire da un riconoscimento formale e materico  e quindi  pervenire a una conoscenza diretta dell’oggetto, quale è realmente. S’indugia invece in forme metafisiche attribuendo all’artista il potere di modificazione ontologica con il semplice atto di scelta. La forma logica di un enunciato del linguaggio deve avere riscontro con la realtà sostanziale. Le presunte intuizioni dell’artista, in base alle quali il filosofo dell’arte formula teorie e giudizi, non sono che opinioni che nascono da un percorso epistemologico viziato dal pregiudizio, le distinzioni, e formulazioni arbitrarie che ne conseguono, sono un formidabile  esempio di manipolazione del linguaggio su errati presupposti ontologici. Russell era consapevole di questo quando sosteneva che “un robusto senso della realtà è indispensabile per un uso corretto del linguaggio,perché la logica non può ammettere  l’esistenza di un unicorno più di quanto lo possa la zoologia”.

piergiorgio firinu    aaaaaaaaaaaaaaaaunicorno

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Civiltà in squagliamento  0

La visita alla 56esimaBiennale d’Arte di Venezia del 2015, conferma, se mai fosse stato necessario, il successo delle deleterie teorie degli pseudo filosofi  made in USA. Gli oggetti esposti   nella sequenza di stand , fanno apparire l’esposizione simile ad un bazar, o un mercato di rigattieri. Il cosiddetto multiculturalismo appare una sorta di foglia di fico dietro cui c’è  il vuoto. Osservando le opere, si trova altresì conferma della  modesta  base culturale degli artisti, la loro approssimazione è disarmante,  le opere sono espressione  degli stereotipi correnti. La mostra è in gran parte uno spot sull’immigrazione, tema senz’altro importante ma non tale da poter caratterizzare una Biennale che anche per questo appare assorta dal contingente fenomenologico. Sicuramente  poveri  i  riferimenti culturali degli artisti. Si evince anche dalla lettura dei testi che accompagnano le opere. Certo, visto la tendenza  contemporanea, non c’è da aspettarsi che abbiamo dimestichezza con autori come Nietzsche, Kierkegaard, Dostoevskij, Hegel, Schelling, Dilthey, Rilke, Trakl. Heidegger. L’ elenco non è casuale, sono  autori che hanno tentato di approfondire l’essenza dell’essere, l’ontologia della forma nelle sue multiformi espressioni di cui l’arte è parte significativa. Di certo se la base culturale di questi nuovi, o seminuovi,  artisti, sono filosofi  delle ultime generazioni,  tutto appare molto più chiaro, anche l’uso inappropriato, se non decettivo, delle preposizioni esplicative che dimostrano marcata  ignoranza dell’etimo originario delle parole. L’opera di Helidon  Xhixha, a mio parere, è la perfetta metafora non solo dell’arte, ma dell’intera società contemporanea,la quale si liquefa non nel senso che diventa liquida, aperta , mobile, ma nel senso che si dissolve in fatuità consumistica,  orgogliosa della propria ignoranza. Ci allontaniamo dal pensiero  fondamentale  del l’occidente, la cui sedimentazione costituisce, o dovrebbe costituire, base e stimolo al pensiero creativo. Abbiamo l’ansia di andare oltre, senza tuttavia aver dimostrato di aver compreso le espressioni culturali autoctone e ancor meno quelle di altri popoli. La cultura non è più un percorso di conoscenza della coscienza comune, articolata in una socialità che solo grazie ad una effettiva consistenza culturale può aprirsi agli stimoli di espressioni diverse, anziché  limitarsi ad assemblaggi di improvvisati  e sociologismi d’accatto. Se è vero che non è compito dell’arte proporre soluzioni, è anche vero che rinunciando a priori ad ogni serio e fondato riferimento culturale l’arte rinuncia ad una incisiva  rappresentazione, ovvero all’apertura di senso verso un’ontologia che stimoli la coscienza di sè e una positiva relazione con gli altri.

Helidos-Xhixha

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