Dal mito di Narciso lo specchiarsi è sempre stato motivo di confronto, attrazione, della umana vanità. Nel “ Diario del seduttore” Kierkegaard ha scritto: “ E’ appeso uno specchio alla parete opposta, ed ella non vi fa caso, ma vi fa caso lo specchio”. Michelangelo Pistoletto con la sua idea dell’azione interattiva tra l’opera e chi guarda, ha dato forma a una delle ossessioni della modernità. Il fascino dello specchio non è tanto il fatto di potersi riconoscere, questa anzi è una possibilità che a volte suscita angoscia, quanto piuttosto l’arguzia misteriosa e ironica del raddoppiamento. Ci rendiamo conto di essere legati a una persona quando riscontriamo in lei i nostri stessi difetti, le nostre stesse qualità. Un gioco senza fine di segni che ci consentono di identificarci, quindi capire noi stessi attraverso l’altra/tro. Bisogna diffidare dell’umiltà degli specchi. Umili servi delle apparenze, possono riflettere gli oggetti che stanno di fronte a loro con apparente neutralità. In realtà vi è un gioco di luce, l’eccesso di chiarezza che mette in risalto quello che sul nostro volto non vorremmo vedere. L’arma aguzza e ingannevole della verità fatta apparenza, uno stato di sospensione della pura immagine della fisicità. Raramente lo specchio riflette l’espressione degli occhi, non vi è possibilità di “spiritualità” nelle apparenze, simile a un gioco di dadi che rotolano a caso verso significati imprevisti. Per questo i pornografi amano gli specchi, sono riflessione della pura materia, più reale del reale. Non è pensabile un boudoir senza specchi. I piccoli volgari frammenti di bravura libertina vanno raddoppiati. Il gioco della seduzione ha bisogno di conferme. Ossessionati dalla disillusione Kleist, Holderlin, Novalis, Kafka, hanno scritto pagine memorabili sullo specchio. Il doppio del nulla. Si dice che gli occhi sono lo specchio dell’anima, non è la loro unica funzione. Se cosi fosse vivremmo in una società di ciechi.
Michelangiolo Pistoletto. Lo specchio. 1963-1964
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