Davvero siamo convinti di saper dare senso e significato alla nostra vita? L’artista è forse colui che ha trovato una forma, se pur insufficiente, di terapia per le proprie frustrazioni e paure, così le brutte opere sono una sorta di maieutica del brutto che è dentro e chiede di essere esteriorizzato. Non si spiegherebbero altrimenti le orribili opere di Cindy Sherman, di Kiki Smith, Vasconcelos, Marina Abramovic, e molte altre. E’ la prova che, con l’avvento delle donne nell’arte, c’è stato un notevole impulso al degrado. Le teorie sul gender della filosofa americana Judith Butler non hanno certo contribuito a migliorare il mondo, ma solo a giustificare il peggio che in esso si manifesta, nell’arte come nella vita quotidiana. Ancora Francis Bacon si affidava al pennello, il rito della pittura filtrava per quanto possibile la realtà vissuta. Restava l’orrore immaginato e vissuto. Eliminato il filtro e la tecnica, resta solo più il brutto di forma e di pensiero. E’ nell’insieme dell’arte nella forma esecrabile in cui la vediamo e la accettiamo, è già espressa tutta la bruttura del nostro mondo. Il sesso, l’arte, il sentimento non vissuto ma rappresentato in films e teatri, tutto si traduce in denaro, unica realtà tra tanta finzione. Autori e filosofi del passato si sono ingegnati a rimuovere limiti etici e formali non prevedendo forse di ottenere tanto successo. Oggi vediamo la loro opera e la continuiamo, in una realtà informe. Ci vuole molta forza per vivere ed accettare la realtà degradata. Lutero ha detto una volta che il mondo è nato solo per una dimenticanza di Dio. Siamo il risultato di generazioni precedenti, della cultura e del costume sempre più soggetto a forzature. Goethe disse una volta di Shakespeare: “ Nessuno ha calpestato il costume materiale più di lui” . Siamo freneticamente assorbiti dalla brama di sperimentare il nuovo, senza tuttavia aver capito il vecchio. Lo stesso metodo che pervade oggi gli artisti che sfuggono l’unico vero maestro: la natura. Come se si potesse frettolosamente passeggiare nella storia calpestando il passato, confondendo i generi, scambiando diritti con vizi, libertà come forma applicata di demenza, nel senso inteso da Schopenhauer : “la demenza è essenzialmente perdita di consapevolezza di ciò che siamo realmente”. Per poter impunemente violare le leggi di natura, abbia tentato di abolirle. Sembra dominare l’idea della duchessa Delaforte che disse a Madame di Staël : “ devo confessarlo, mia cara amica, non trovo nessun altro che abbia sempre ragione, se non me”. E’ questa l’autosufficienza degli idioti che impronta di sè il mondo contemporaneo. Ben altra è la coscienza del valore degli altri gli uomini per chi è davvero degno. Aristotele disse di Platone: “ anche solo lodarlo non è permesso a persone dappoco” . Se lo sporco e il brutto è ciò che cerchiamo non abbiamo necessità di andare lontano abbia tutto dentro di noi. Ci siamo ormai convinti che tenere a bada i nostri vizi e le peggiori turpitudini è un attentato alla nostra libertà. Ho sempre cercato di vivere in una torre d’avorio, scriveva Ivan Turgeniev, ma una marea di merda si abbatte contro i muri fino a farla crollare. Flaubert a sua volta confessava a George Sand:” scoppio di rabbia, ma questo nell’arte non deve apparire”. Tempi lontani, oggi nell’arte appare di tutto di più, non abbiamo vie di fuga. Questo è ciò che abbiamo realizzato, il traguardo della modernità. Consoliamoci con Oscar Wilde: “ nessuno è abbastanza ricco da riscattare il proprio passato”. Requiem.
Considerazioni sull'arte